Powered By Blogger

mercoledì 7 dicembre 2011

LA MANOVRA



In un primo momento non ne volli assolutamente sapere di accettare.
Fino a quel momento, il compito era sempre stato svolto da mia moglie. Lei è un’abile amministratrice, capace e sempre attenta a gestire nel migliore dei modi le risorse della famiglia. Ma alla fine aveva dovuto rinunciare, non ce l’aveva più fatta ed era stata costretta a gettare la spugna. Seppure a malincuore, si era arresa.
La riunione fu convocata dopo cena e, a tratti, fu drammatica.
Sia mia moglie che i miei tre figli fecero subito il mio nome. Di fronte ai ripetuti dinieghi insistettero a lungo, in maniera accorata. Non ebbi la possibilità di sottrarmi alle mie responsabilità. Acconsentii e assunsi immediatamente  il ruolo di Ministro dell’Economia Famigliare. Per i miei cari rappresentavo l’ultima speranza, toccava dunque a me cercare di impedire la bancarotta, di tentare di risollevare le sorti della malandata situazione finanziaria domestica. Un impegno gravoso, ai limiti dell’impossibile. Il mio primo atto fu pertanto quello di annunciare una inevitabile e dolorosa stretta, una manovra economica dura e che sarebbe entrata in vigore già a partire dall’indomani. Non c’era tempo da perdere. Armato di un taccuino e di una penna mi ritirai nel mio studio, vale a dire in bagno, perché uno studio vero e proprio non l’ho mai avuto.
Seduto sulla tazza cominciai a fare un po’ di calcoli. Attraverso la porta distinguevo le ombre di mia moglie e dei miei figli che passeggiavano nervosamente nell’ingresso, avanti e indietro. La loro attesa era spasmodica.
Compresi subito che sul fronte delle entrate non esistevano assolutamente margini di alcun genere. Mia moglie non aveva mai lavorato, i ragazzi studiavano e comunque non avrebbero avuto, ancora per molto tempo, la possibilità di svolgere un’attività lavorativa. L’unica entrata certa era rappresentata dal mio stipendio di impiegato che, per alcuni anni, non avrebbe avuto in ogni caso nessun aumento.
Mi toccava quindi redigere una manovra costituita esclusivamente da tagli alle spese.
Nell’economia di una famiglia abbastanza numerosa come la mia, gli esborsi per il cibo rappresentano una voce rilevante. Decisi che avremmo acquistato soltanto alimenti principali, generici – pane, pasta, carne, formaggio, olio, frutta, verdura e così via – e non più generi semipronti o pronti, o scatolame. Bandito per sempre il ricorso alla gastronomia e pure ai ristoranti. Rinunce terribili. Uscii dalla stanza da bagno una sola volta, quando andai a ispezionare gli armadi di tutti noi. Troppi vestiti, constatai. Era necessario bloccare gli acquisti di capi di abbigliamento per almeno due anni e, in ogni modo, era doveroso utilizzare fino alla loro completa usura quelli esistenti. Un paio di scarpe invernali e un paio di calzature estive per ogni componente, non di più. Qualsiasi tipo di vacanza, purtroppo, abolita. Tuttavia mi resi conto ben presto che avrei dovuto dare l’esempio. Stabilii – seduta stante! – di rinunciare al mio unico vizio, la colazione al bar. Calcolai che, attraverso quel provvedimento, avremmo potuto recuperare almeno cinquecento euro, somma tutt’altro che trascurabile da utilizzare per compensare l’inevitabile aumento delle spese fisse – acqua, luce, gas, telefono, mutuo, tasse sull’abitazione - sulle quali era impossibile intervenire. Naturalmente toccava anche ai miei figli contribuire con rinunce. Decisi che avrebbero dovuto fare a meno dei telefoni cellulari. Ero consapevole dell’incredibile impopolarità della decisione, tuttavia non esistevano valide alternative. Non tolsi invece nulla a mia moglie. Non era giusto – equo? – farlo. In fondo era la persona che, tra noi, più lavorava e più contribuiva all’andamento della famiglia. Rimandai anche la sostituzione dell’auto a data da destinarsi. La macchina era vecchia, aveva più di dodici anni, ma non eravamo nella condizione di acquistarne un’altra, neppure usata. E la benzina sarebbe stata opportunamente razionata. L’automobile doveva essere utilizzata solo in casi eccezionali. Feci ancora ulteriori ritocchi al mio piano, alla mia piccola ma grande manovra poi, finalmente, mi presentai di fronte ai miei cari e la illustrai. Mi aspettavo delle reazioni, qualche protesta, almeno qualche mugugno, invece mia moglie e i miei figli assentirono con aria grave. Mi resi conto che avevano capito. Per il momento, la famiglia era salva, anche se i sacrifici che ci attendevano nel prossimo futuro sarebbero stati molto dolorosi.
Me ne andai a letto, stremato. Nulla sarebbe più stato come prima. Addio benessere, addio spensieratezza. Mi sentivo comunque un po’ rasserenato ma anche in parte sconfitto.
Con le decisioni assunte avrei garantito un minino di sicurezza ai miei cari, sebbene da pagare a caro prezzo. Però una domanda mi tormentava, mi assillava impedendomi di prendere sonno. Che cosa avevo fatto per il mio Paese? Mi risposi che lo avevo danneggiato. Con il nostro nuovo stile di vita avremmo contribuito a una ulteriore contrazione dei consumi, altre fabbriche sarebbero state costrette a chiudere, avremmo avuto nuovi disoccupati e di conseguenza le prospettive di occupazione delle giovani generazioni sarebbero ancora diminuite. Allora formulai mentalmente un pensiero, quasi una muta preghiera, rivolta all’attuale governo, e pure a quelli che sarebbero venuti dopo. Fate qualcosa, permettete a me e a quelli come me di poter contribuire ad aiutare il Paese. Distribuite in modo giusto le risorse, date a tutti, ma soprattutto a chi è svantaggiato, la possibilità di concorrere a salvare questa terra antica, di farle ritrovare se non il vecchio splendore almeno una condizione di normalità, e di nuova serenità. In tal caso noi, che l’abbiamo sempre fatto, non ci tireremo certo indietro. Amen. 

Nessun commento:

Posta un commento