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domenica 18 dicembre 2011

4x4



Al mattino prediligo svegliarmi presto. Si tratta dell’unico momento della giornata nel quale posso assaporare il silenzio. Non ci sono voci e urla, o rumori metallici di serrature che si aprono e si chiudono. Un po’ di vera pace, sebbene di breve durata e fuggevole.
Mi alzo e mi muovo al buio, per non disturbare, per non svegliare i miei compagni. Lo faccio per loro, ma soprattutto per me stesso. Loro amano rimanere svegli fino a tardi, la sera, anche se non sarebbe consentito. Parlano, e giocano a carte circondati da una luce fievole. Io non partecipo mai. Vado a letto presto, e quasi sempre riesco ad addormentarmi subito. Preferisco pensare, piuttosto che parlare, e il momento prima di prendere  sonno è quello più adatto per lasciar fluire, in piena libertà, le riflessioni. La maggior parte delle persone medita sulla giornata appena trascorsa, la ripercorre, la analizza. Poi pensa al giorno dopo, a come potrà essere, a che cosa potrà fare. Per me non è così. So che cosa farò domani. Farò ciò che ho fatto oggi, e ciò che ho fatto ieri. No, le mie considerazioni riguardano tutte un passato lontano, di cui mi sforzo di rammentare traccia. Non possiedo futuro, ma soltanto passato. Il presente, invece, non mi interessa.
Mi alzo e uso il bagno. I servizi igienici sono separati dal resto dell’ambiente da un muretto basso. Non c’è porta. Per una volta, l’unica in tutta la giornata, potrò godere di un po’ di privacy. Non che mi importi più di tanto, in un luogo dove la massima promiscuità è normale e continua, tuttavia mi sembra di ritrovare un po’ della dignità perduta, quel decoro che non dovrebbe essere sottratto a nessun essere umano, a prescindere dalla sua condizione.
Guardo in alto, verso la piccola finestra. Il vetro è opaco e sporco, la prima luce dell’alba fatica a farsi strada. Mi accontento. Nella penombra, mi avvicino alle brande dei miei compagni.
Osservo Idriss, la sua pelle scura, il cranio lucido. Dorme con la bocca aperta e sembra indifeso. Idriss è alto quasi due metri, ed è grosso. In piedi può apparire come un individuo temibile, dal quale è meglio stare alla larga. Ho scoperto al contrario che è una persona buona, migliore di me, anche se ha sbagliato. Sull’altro lato c’è Mimmo. Un corpo piccolo e tutto nervi. Si agita nel sonno, non trova mai pace, proprio come quando è sveglio. Lui è malvagio, cattivo, anche se ho imparato a sopportare le sue sfuriate, a indirizzare e a guidare i suoi frequenti scatti d’ira, a renderli meno pericolosi per sé e per gli altri. Non avevo scelta, l’ho dovuto fare, il compagno non si sceglie, è imposto.
Un equilibrio precario, una convivenza a volte difficile che fino ad ora sono riuscito a reggere. Ma proprio ieri, durante la “passeggiata”, sono venuto a conoscenza di quella cosa. Sono rimasto sbalordito. E attonito. Eppure so che è tutto vero, quella circostanza si verificherà proprio oggi. L’inferno quotidiano si trasformerà in qualcosa di peggio. Il mio senso di oppressione aumenterà, la mia ansia crescerà a dismisura, non riuscirò a controllarla. Soffocherò.
Quanto spazio occupa un corpo umano? Quale quantità di volume sottrae agli altri in uno spazio chiuso? Mi sono tormentato tutta la notte con queste domande alle quali non sono stato in grado di rispondere. Non ho quasi dormito.
Avevo soltanto due soluzioni possibili, ho scelto la seconda. L’altra la riservo per il futuro.
Torno al mio lettino. Infilo la mano nelle maglie della rete ed estraggo il cucchiaio, o almeno quello che una volta era un semplice cucchiaio. Un anno di paziente lavoro lo ha trasformato in un punteruolo affilatissimo. Ne saggio la punta, il filo, e sono soddisfatto.
Riceverò in questo modo il nuovo compagno di cella, quando più tardi di sicuro arriverà. Gli farò assaggiare la mia arma rudimentale ma efficace. Lui sarà libero, io ne subirò le inevitabili conseguenze. Sarò messo in isolamento, e mi ritroverò solo.
Finalmente solo, e con tanto spazio tutto per me.  

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