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domenica 11 febbraio 2024

TUTTO BENE, O QUASI (Seconda e ultima parte)


 Appena scendo dal tram mi trovo immerso in una grande confusione. Non sono più abituato a frequentare luoghi così affollati. Ho un po’ di timore a inoltrarmi in mezzo alle bancarelle, anche perché dietro ai banchi vedo solo arabi e cinesi. E tutti urlano a squarciagola.

Scorgo una signora anziana che cammina verso di me, appesantita da due enormi sporte. La fermo e mi presento. Lei accetta di parlare, se non altro per riposarsi un attimo.

"Vedo che ha fatto una grossa spesa" dico.

"Ma va là! È tutta roba mezza marcia che ho raccolto sotto ai banchi. Quella che buttano via".

"Ah! Allora non è vero che c’è la ripresa".

La donna riflette un attimo, poi inizia a frugare dentro una borsa e dopo un po’ estrae due zucchine. "Guardi come sono belle. Queste le ho comprate" dice orgogliosa.

"Sul serio?"

"Certo, fino a qualche mese fa non me lo sarei potuto permettere. Ma adesso le cose stanno andando meglio, sono riuscita a risparmiare qualcosa e mi posso finalmente permettere un po’ di verdura sana".

La donna, sbuffando, riprende il suo faticoso cammino. Prendo nota di ciò che ho appena sentito.

Un ragazzo mi urta e si ferma per scusarsi. Ne approfitto. "Sono un giornalista, ti posso fare una domanda?"

"Quale giornale?" chiede.

Lo dico, a bassa voce.

Sul volto del ragazzo si disegna una smorfia di disprezzo. "Va bene" risponde a malincuore. Se potesse mi sputerebbe in faccia.

"Qual era la tua condizione all’inizio della crisi economica, e qual è quella attuale?"

"Be’, all’inizio ero in cerca di lavoro, ma non si riusciva a trovare niente".

"Già, purtroppo. E adesso?"

"Sono disoccupato".

"Ma allora non è cambiato nulla! È tutto uguale".

"Non è vero".

"Per quale motivo?" lo incalzo, come devono fare i veri giornalisti.

"Perché ora ho qualcosa in più".

"Cioè?"

"La speranza. Prima c’era solo disperazione".

"Interessante" commento mentre scrivo sul notes.

"Ehi, posso dirti una cosa?"

"Certo, dimmi".

"Il tuo è un giornale di merda". E poi se ne va.

Quanto è dura svolgere il lavoro sul campo! Ma io non mi scoraggio e proseguo la mia indagine. Sto apprendendo informazioni molto utili, anche se in contrasto con il punto di vista del mio direttore. È dovere del giornalista intellettualmente onesto dire comunque la verità.

Mi avvicino a un tipo che sta fumando appoggiato a un enorme suv. Indossa occhiali a specchio e un abito molto elegante.

"Scusi, lei che lavoro fa?" lo abbordo da vero giornalista d’assalto.

"Non ho capito" risponde.

"Le ho chiesto qual è la sua occupazione".

"Ma che cosa sta dicendo? E che domande fa? Non vede che sono ricco?"

"Ah, chiedo perdono". Questo è tutto scemo, considero.

"Lei è per caso un pennivendolo?" mi chiede.

"Come ha fatto a capirlo?"

"Ce l’ha stampato in faccia! Ah, ah! Buona vero? E poi, quel ridicolo taccuino".

Cerco di ricompormi. "Dunque, lei mi stava dicendo che è ricco".

"In realtà sono molto ricco, per la precisione".

"Chiedo scusa. Sarei interessato a un suo parere riguardo la crisi economica. Negli ultimi tempi ha notato un miglioramento? Le cose stanno andando meglio?"

"Macché!"

"Per quale motivo?"

"È tutta colpa del bonus".

"Ah, interessante. Lei ritiene che la corresponsione del bonus non abbia provocato la prevista ricaduta, vale a dire l’aumento dei consumi? Si tratta di un incentivo troppo esiguo? Mi dica".

"A quanti l’hanno dato ’sto bonus del cazzo?"

"Be’, ha interessato un’ampia platea di cittadini" rispondo.

"Appunto, troppo poco a troppi".

"Quindi?"

"Lo dovevano dare a noi ricchi, il bonus".

"Eh?"

"Certo, dovevano dare tanto a pochi. Come crede lo abbiano impiegato quei pezzenti che lo hanno ricevuto?"

"Lo avranno utilizzato per pagare le bollette o le rate del mutuo".

"Bravo! Lei per caso è laureato in economia?" Tento di rispondere ma mi accorgo che quella del tizio è una domanda retorica, perché subito prosegue: "Se a me avessero dato un bonus di, diciamo mille euro, mica l’avrei messo sotto il materasso. Me lo sarei bevuto subito. Champagne! È così che si incrementano i consumi".

"Ma i profitti sarebbero andati ai produttori francesi".

"E chi se ne frega! Ho l’impressione che lei non sia affatto laureato in economia. Comunque adesso devo andare. Ehi, le piace il mio suv nuovo di zecca? Sessantamila euro sull’unghia!"

"Sì".

"E allora se lo compri anche lei! Mi stia bene, pennivendolo".

 

Si è fatto tardi e decido di rientrare in redazione. Ormai ho le idee chiare su ciò che scriverò. Alla faccia di Orazi e delle sue psicosi complottiste. Quando arrivo il salone è quasi deserto. Ma i miei colleghi non lavorano mai? Chi è che fa il giornale, in realtà?

Per circa un’ora maltratto la tastiera. Poi rileggo e stampo. Ottimo lavoro, Fortini! E adesso subito da quell’imbecille del direttore.

La Tozzi naturalmente è presente e di guardia; non si scolla quasi mai dalla sedia, per questo ha il culo grosso. "Mi dispiace, Orazi non ti può ricevere. È impegnato con il Grande Capo" dice bisbigliando.

Proprio in quell’attimo la porta del direttore si spalanca ed esce proprio lui, il Grande Capo. Strano, qui non si fa mai vedere.

Mi si avvicina traballando e mi appoggia le manacce sulle spalle: "Bravo! C’è bisogno di giovani in gamba come lei" dice alitandomi in faccia. Una fogna.

Non mi conosce, non mi ha mai visto prima. Penso che se fossi stato il ragazzo che ci consegna le pizze mi avrebbe detto la stessa cosa. Che bastardo. Ancora schifato mi infilo nell’ufficio di Orazi.

Il suo volto da Nosferatu ha un’espressione preoccupata. "Siediti, Fortini" biascica.

Ubbidisco e nel frattempo gli porgo il mio articolo. L’ho consegnato con diverse ore di anticipo.

Lui non lo degna di uno sguardo. "Hai visto?" dice. "C’era il Grande Capo in persona".

"L’ho visto e l’ho sentito" dico.

"Le cose non vanno affatto bene".

"Non capisco".

"I processi! Sai quanto ha speso in avvocati quella povera vittima delle persecuzioni dei giudici politicizzati?"

"No".

"Una enormità. E poi quella causa che ha perso contro quel gruppo editoriale nostro concorrente lo ha proprio messo in ginocchio. Tutto ciò, purtroppo, avrà delle ricadute sul suo impero economico. Anche sul ramo editoriale".

"E io che cosa ci posso fare?" chiedo incerto.

"Tu? Nulla, se non subirne le conseguenze".

"Sarebbe?"

"Anche noi dobbiamo fare la nostra parte. In parole povere, ci sarà un ridimensionamento dell’organico al giornale".

"E in parole ancora più povere?"

Il teschio mi fissa e tenta di assumere un atteggiamento dolente, senza riuscirci. "Sei licenziato, Fortini".

Mi affloscio.

"Non te la prendere, tanto conoscevi bene la situazione. Sei l’ennesima vittima della crisi. È proprio come dico io: le cose non vanno affatto bene. Il resto sono tutte balle".    (FINE)

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