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domenica 27 settembre 2015

IL GUARDONE


Don Saverio era un guardone. Intendiamoci, il prete non era uno di quei tipi che frequentano, di notte, i vicoli bui spiando le coppiette che amoreggiano, e neppure uno di quelli che si nascondono dietro i cespugli dei giardinetti appagandosi degli slanci di passione altrui. No, don Saverio era un puro esteta, e la sua ricerca della perfezione armonica era rivolta sempre e soltanto all’osservazione di quelle creature che, nel corso della sua vita, non aveva avuto modo di conoscere bene: le donne.
Per esercitare in tutta tranquillità il suo piccolo passatempo (o vizio?) don Saverio non doveva andare molto lontano, poiché il suo punto di osservazione era un confessionale. Al mattino, dopo aver fatto una frugale colazione e aver detto messa, il prete si infilava in quel vecchio arredo e non si muoveva più per tutto il giorno, rinunciando perfino al pranzo. Suppliva a ciò portando con se’ una pagnotta di pane e un po’ d’acqua. Su una parete del confessionale, in direzione dell’unica navata della chiesa, era stato praticato un minuscolo foro, al quale spesso don Saverio appoggiava l’occhio per sbirciare scrutare osservare. Avanzando di età il prete era diventato un po’ duro d’orecchi ma i suoi occhi potevano ancora rivaleggiare con quelli di un falco. Naturalmente la lunga permanenza all’interno del confessionale presentava alcuni inconvenienti, ai quali don Saverio aveva cercato in qualche modo di porre rimedio. Aveva supplito alla durezza del sedile ricoprendolo con un paio di cuscini di soffice piuma d’oca. Il prete era molto magro e il suo posteriore soffriva per l’immobilità; la morbidezza dei cuscini alleviava in gran parte tale afflizione, mentre per il dolore causato dalle emorroidi non c’era niente da fare: occorreva soffrire e basta. A volte don Saverio lasciava di corsa il confessionale per recarsi in bagno. Dopo alcuni minuti, però, era già di ritorno, sempre di corsa perché non poteva correre il rischio di lasciarsi sfuggire qualche visione particolarmente interessante.
L’unico a essere un po’ sorpreso per lo strano comportamento del prevosto era il sacrestano, che riusciva a vedere di sfuggita don Saverio unicamente al mattino, per incontrarlo di nuovo soltanto la sera quando andava a sbarrare il portale della chiesa e il prete finalmente usciva dal suo sacro nascondiglio. In ogni caso il buon Firmino non faceva mai commenti, anche perché era muto.
I parrocchiani, invece, erano entusiasti del comportamento del loro prevosto.
“Se qualcuno deve confessarsi d’urgenza, don Saverio è sempre pronto” diceva qualcuno.
“Quando non c’è nessuno che si confessa don Saverio prega, prega e prega” aggiungeva qualcun altro, convinto che qualcuna delle interminabili preghiere del prete fosse anche per lui.
In realtà, quando in chiesa non c’era nessuno, don Saverio un po’ si annoiava. A volte si appisolava, per svegliarsi però all’improvviso tutte le volte che sentiva cigolare la porta della chiesa, subito pronto ad aguzzare gli occhi.
D’inverno la chiesa, non riscaldata, era molto fredda. Il prete combatteva la rigidità del clima indossando più strati d’indumenti, tanto che faticava ad abbottonarsi l’abito talare. In estate era comunque peggio. L’angusto ambiente era torrido e si faticava a respirare. Don Saverio, nel buio del confessionale, di frequente si toglieva la veste e rimaneva in camicia e pantaloncini, dai quali spuntavano le sue gambette bianche.
A questo punto ci si chiede se, nel tempo, tali e tanti patimenti di don Saverio fossero stati ripagati in maniera soddisfacente. La risposta purtroppo è no. La chiesa non era molto frequentata, a volte passavano giorni senza che qualcuno vi entrasse. L’eccezione, naturalmente, era rappresentata dalle messe quotidiane, dai rari matrimoni e dagli ancora più rari battesimi. Quelle cerimonie, però, non davano allo spirito guardone di don Saverio alcun compiacimento. In quei casi le donne c’erano, eccome se c’erano! E pure giovani e, in alcuni casi, molto belle. Ma il prete non le degnava di uno sguardo, per lui era come se non esistessero. Non c’era alcun gusto, nessuna compiacenza, a osservare una donna in maniera scoperta. Anzi, in quei momenti desiderava non essere lì ma nascosto nel suo rifugio buio, con l’occhio incollato al foro. Soltanto in quel modo avrebbe provato vero appagamento guardando quelle creature giovani e meno giovani dai vestiti multicolori, con gli occhi pittati e le labbra vermiglie.
Un giorno di primavera, udendo il familiare cigolio, don Saverio si svegliò di soprassalto. Con tutte le ossa doloranti per la scomoda posizione assunta durante il sonno, si sbrigò a incollare la fronte in corrispondenza della magica aperura. Come per miracolo i suoi occhi furono allietati dalla visione di una giovane donna. Doveva avere trent’anni, non di più. Il suo atteggiamento sembrava quello di una turista. Avanzava lentamente lungo la navata, guardandosi attorno, ruotando su se stessa, alzando il capo verso la volta affrescata. Era alta, molto alta, di sicuro era tedesca, o svedese, o finlandese. Insomma, era bionda, molto bionda. Ciò che meravigliò il prete fu il suo abbigliamento. La ragazza (la donna) indossava una leggera camicetta senza maniche, alquanto sbottonata, e un paio di pantaloncini corti e attillati, dai quali spuntavano gambe lunghe e abbronzate. Non si dovrebbe entrare in chiesa così conciati, pensò don Saverio, ma subito rimosse quel pensiero molesto e tornò a concentrarsi sulla stupenda e inaspettata visione. Iniziò a scandagliarla centimetro per centimetro, partendo dalle sottili caviglie, risalendo la curva dei polpacci, soffermandosi sulle sinuose ginocchia, avanzando lungo la coscia tornita…
Don Saverio trasalì. Aveva sentito un rumore accanto a lui. Qualcuno si era inginocchiato all’esterno del confessionale, qualcuno che voleva confessarsi. Il prete fu colto dal panico. Non imprecò, poiché era un prete, ma il suo disappunto fu totale. Subito percepì un intenso odore di dopobarba. Si trattava di un uomo, e don Saverio ne ebbe la certezza appena il penitente iniziò a parlare. Una voce profonda, di una persona non più giovane.
“Mi sente?” disse l’uomo.
Don Saverio non rispose. Aveva sentito a malapena ciò che l’altro aveva detto perché non riusciva a decidersi ad abbandonare l’osservazione in corso. Stava guardando il ventre della donna, in parte scoperto, si stava concentrando sul suo grazioso ombelico, che si intravedeva appena.
“Mi sente?” ripeté l’uomo.
Il prete, con un sospiro, si staccò da una parete del confessionale e si avvicinò all’altra, quella con la grata.
“Mi dica, mi dica…” disse distrattamente, per poi spostarsi di nuovo. Alla donna era caduto qualcosa a terra. Un pezzo di carta, forse. Lei si abbassò per raccoglierlo e don Saverio strabuzzò l’occhio, quello incollato al foro. Che vista celestiale!
“Mi ascolta?” disse l’uomo. Don Saverio sussultò e, ancora con il batticuore, seppure malvolentieri, tornò ai suoi doveri.
“Non ce la faccio, non riesco proprio a resistere” stava dicendo l’uomo.
“Eh? A fare che cosa?” disse don Saverio, che non aveva per niente seguito ciò che l’altro stava dicendo.
“Le donne. Mi piace spiarle guardarle osservarle a loro insaputa. Ne provo un piacere perverso, malsano, che prima o poi mi condurrà alla rovina. So che non riuscirò mai a smettere e ne sono molto addolorato. Sono un grande peccatore, padre, e non ne sono neppure pentito. Mi aiuti, per favore!” Subito dopo l’uomo iniziò a singhiozzare.
Don Saverio, impressionato, non disse nulla. Strinse il crocifisso che aveva al collo con entrambe le mani finché non sentì le ossa delle dita scricchiolare.

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