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giovedì 3 settembre 2015

IL CARNEVALE DI GIACOMINO



Cammino tra gli spaziosi ambienti del Museo del Carnevale stringendo la manina di mio figlio. Abbiamo quasi terminato la visita, non rimane che un’ultima sala, la più piccola. Cerco di evitarla, invano.
“Voglio vedere Giacomino!” strilla mio figlio. Mi abbasso e lo guardo negli occhi.
“Sei sicuro? Non avrai paura?”
Lui scuote il capo.
“Lo voglio vedere” ribadisce. È un ragazzino coraggioso.
“Va bene, andiamo.”
Il locale è in penombra. Addossata a una parete c’è un’alta teca di cristalla collocata in verticale. Al suo interno c’è Giacomino. Sembra che dorma, invece è morto. Meglio, è disattivato per sempre.
Sento le unghiette di mio figlio premere sul palmo della mia mano. Osserva spaventato quell’essere enorme che incombe su di noi. Si stringe a me mentre prosegue a guardare, attento. Per lui si tratta della prima volta, ma non per me. Anche se è passato parecchio tempo da quanto sono stato qui l’ultima volta, Giacomino non cessa mai di stupirmi. Fisso il suo grosso cranio, i ciuffi di capelli, il naso pronunciato, gli occhi uno diverso dall’altro e, soprattutto, le minuscole suture che uniscono la pelle del suo viso, quelle sotto la gola, sui suoi polsi. Rimpiango di non averlo mai visto quando era attivato.
Giacomino è stato prodotto alcuni anni fa nei laboratori di ingegneria biologica della nostra città. È alto quasi tre metri. Perché così alto? Per meglio distinguerlo dagli altri individui, da noi, disse una volta scherzando il professor B., il suo creatore, intervistato da una televisione locale. Il mostro, il bestione, Frankenstein, così era chiamato dalla gente. Soltanto in seguito si cominciò a chiamarlo Giacomino, il nome del contadino che più aveva contribuito alla sua creazione, donando l’intero suo corpo alla scienza. Il corpo di Giacomino era perfetto, la sua mente no. Era difficile interagire con lui, impossibile comprendere i suoi processi mentali. Un successo a metà, insomma. Alla fine fu disattivato, fino al momento in cui a qualcuno venne l’idea di utilizzarlo per il Carnevale. Una volta l’anno, il giorno di Martedì Grasso, l’essere gigantesco dalla mente di bambino veniva riportato in vita e obbligato a girovagare per la città. La gente lo affrontava, da soli o a gruppi, a mani nude. Per provare la propria forza, il proprio coraggio, per divertirsi. Dopotutto si trattava del Carnevale. Tutto ciò aveva comunque anche tremendi effetti negativi, per cui dopo otto anni si decise di porre fine per sempre a quel rito stravagante e violento. Si ritornò a festeggiare il Carnevale alla maniera classica, Giacomino fu disattivato in via definitiva e posto nella sua teca al Museo del Carnevale. Adesso è morto, morto per sempre, così come sono morti per sempre quei quattrocentoventotto sciagurati che lo hanno affrontato e hanno avuto la peggio. I loro nomi sono incisi sulle pareti della sala.
“Possiamo rimanere ancora un po’?” domanda mio figlio.
“Va bene, ma soltanto qualche minuto, altrimenti Giacomino si arrabbia” dico sorridendo.

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