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sabato 12 settembre 2015

COPRIFUOCO


Lo andarono a prendere alle prime luci dell’alba. Lui se lo aspettava, sapeva di avere trasgredito, tuttavia per qualche ora aveva sperato di averla fatta franca, come già era accaduto un paio di anni prima. Erano in due, ed erano grossi da far paura e di poche parole. Lo strattonarono, lo ammanettarono e poi lo trascinarono giù dalle scale, incuranti del fatto che non aveva opposto alcuna resistenza. Lo fecero sfilare tra i suoi vicini di casa che scuotevano il capo, increduli, combattuti tra commiserazione e condanna. Lo introdussero strattonandolo in una lunga automobile nera che partì sgommando. Lo condussero alla stazione di polizia, un tetro edificio situato in periferia, dove rimase quasi tre ore ad aspettare, seduto su una scomoda sedia e sempre con le manette ai polsi, sorvegliato da un agente che puzzava di cipolla. Finalmente lo accompagnarono nella stanza degli interrogatori, dove trovò ad aspettarlo due uomini senza divisa. Il primo, di corporatura robusta, completamente calvo e con lo sguardo cattivo, era sistemato dietro a una scrivania scura con il piano completamente sgombro. L’altro, secco e dall’aria patibolare, era quasi nascosto dietro al video del computer. Gli tolsero le manette, gli offrirono un bicchiere d’acqua. Il liquido, un po’ torbido, sapeva di marcio. Lo bevve ugualmente perché aveva la gola secca. Il poliziotto in divisa uscì e lui rimase in balìa dei due uomini.
“Io sono Ciop” disse quello calvo. “E lui è Cip” aggiunse indicando il compare. Poi sfilò da un cassetto della scrivania un unico foglio, sul quale comparivano delle annotazioni scritte a mano.
“Romeo Saltinbeni, che cazzo di nome” disse ridacchiando. La sua voce era bassa, catarrosa.
“Il reato di cui sei accusato non prevede la presenza di un avvocato durante il primo interrogatorio. Puoi scegliere se rispondere oppure no. Il tuo eventuale silenzio sarà considerato ammissione di colpa. Allora?”
“Scelgo di rispondere.”
“Bene. Che cosa hai fatto questa notte?”
“Niente, ho dormito.”
Ciop vibrò una gran manata sulla scrivania.
“Ragazzo, non ti conviene mentire. Abbiamo un filmato. Alle due e trentaquattro minuti le luci di casa tua erano accese, e lo sono state per dodici lunghi minuti.”
“È vero” ammise Saltinbeni chinando il capo.
“Perché lo hai fatto?” lo incalzò Ciop.
“Un bisogno fisiologico.”
“Che cosa? Parla più forte, cazzo! Cip deve verbalizzare.”
Saltinbeni si schiarì la gola.
“Dovevo pisciare” disse.
Ciop scoppiò a ridere in maniera sguaiata.
“Dovevi pisciare!” ripeté. “Quindi vorresti dire che tu preferisci fare vent’anni di galera piuttosto che pisciare nel letto?”
“Mi disgusta pisciare nel letto. La vescica mi scoppiava, mi sono dovuto alzare.”
Ciop lo scrutò a lungo prima di parlare.
“Perché non ti sei alzato al buio?” domandò.
“Non lo so, è stato un riflesso condizionato. E poi non riesco a muovermi per casa al buio.”
“Ah! Perché non riesci a muoverti per casa al buio e non, invece, perché è proibito alzarsi.”
“Non volevo dire questo.”
“Però lo hai detto.”
Ciop sospirò.
“Sei nei guai, ragazzo. Dunque, ricapitoliamo: tu accendi la luce della stanza da letto, quella dell’ingresso e infine quella del bagno.”
“Sì”.
“E raggiungi la tazza e inizi a pisciare. Dico bene?”
“Sì.”
“E rimani per ben dodici minuti con il tuo minuscolo uccello in mano.”
“No, ho fatto ciò che dovevo fare e poi mi sono lavato le mani” disse Saltinbeni, che era sempre più pallido in volto.
Ciop scoppiò di nuovo a ridere.
“Ehi! Cip, hai sentito? Questo frocetto è un maniaco dell’igiene!”
Cip sogghignò e poi riprese a picchiare sulla tastiera. Il compare ritornò serio di colpo e assunse un’espressione truce.
“E poi? Che cosa hai fatto dopo? Dal filmato si vede accendersi anche la luce del soggiorno. A quel punto il tuo appartamento era ormai simile a un fottuto albero di Natale! Che cosa credevi di fare, piccolo stronzo?”
“Mi è venuta voglia di bere un bicchiere d’acqua, e l’ho fatto” disse Saltinbeni.
“Non potevi aspettare il mattino, come fanno tutti?”
“Non ci ho pensato. Ormai ero alzato e…”
“Sei un coglione, Romeo Saltinbeni, e sei in guai grossi come una casa” lo interruppe Ciop.
“Mi spiace…” tentò di dire il ragazzo.
“A me non spiace affatto” disse l’altro, compiaciuto. “E poi, che cosa hai fatto? Dopo che ti sei abbeverato, intendo” aggiunse.
“Ho spento le luci e sono tornato a dormire.”
“E dopo aver commesso un tale crimine tu sei riuscito a dormire tranquillamente?”
“No, non sono più riuscito a prendere sonno. Avevo paura.”
“E lo credo! Se hai detto la verità, pur applicando tutte le attenuanti, te la caverai con una quindicina d’anni di gabbio, altrimenti…” Ciop lasciò in sospeso la minaccia, poi riprese a parlare.
“Adesso ti sbattiamo dentro, nei prossimi giorni potrai consultare un avvocato. Hai fatto una grossa cazzata, ragazzo. Hai violato la notte, e la notte è sacra, la notte è fatta per dormire.”
Romeo Saltinbeni cominciò a piangere, prima in maniera sommessa, poi con rumorosi singhiozzi.

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