Lo andarono a prendere
alle prime luci dell’alba. Lui se lo aspettava, sapeva di avere trasgredito,
tuttavia per qualche ora aveva sperato di averla fatta franca, come già era
accaduto un paio di anni prima. Erano in due, ed erano grossi da far paura e di
poche parole. Lo strattonarono, lo ammanettarono e poi lo trascinarono giù
dalle scale, incuranti del fatto che non aveva opposto alcuna resistenza. Lo
fecero sfilare tra i suoi vicini di casa che scuotevano il capo, increduli, combattuti
tra commiserazione e condanna. Lo introdussero strattonandolo in una lunga
automobile nera che partì sgommando. Lo condussero alla stazione di polizia, un
tetro edificio situato in periferia, dove rimase quasi tre ore ad aspettare,
seduto su una scomoda sedia e sempre con le manette ai polsi, sorvegliato da un
agente che puzzava di cipolla. Finalmente lo accompagnarono nella stanza degli
interrogatori, dove trovò ad aspettarlo due uomini senza divisa. Il primo, di
corporatura robusta, completamente calvo e con lo sguardo cattivo, era
sistemato dietro a una scrivania scura con il piano completamente sgombro. L’altro,
secco e dall’aria patibolare, era quasi nascosto dietro al video del computer.
Gli tolsero le manette, gli offrirono un bicchiere d’acqua. Il liquido, un po’
torbido, sapeva di marcio. Lo bevve ugualmente perché aveva la gola secca. Il
poliziotto in divisa uscì e lui rimase in balìa dei due uomini.
“Io sono Ciop” disse quello
calvo. “E lui è Cip” aggiunse indicando il compare. Poi sfilò da un cassetto
della scrivania un unico foglio, sul quale comparivano delle annotazioni
scritte a mano.
“Romeo Saltinbeni, che
cazzo di nome” disse ridacchiando. La sua voce era bassa, catarrosa.
“Il reato di cui sei
accusato non prevede la presenza di un avvocato durante il primo
interrogatorio. Puoi scegliere se rispondere oppure no. Il tuo eventuale
silenzio sarà considerato ammissione di colpa. Allora?”
“Scelgo di rispondere.”
“Bene. Che cosa hai
fatto questa notte?”
“Niente, ho dormito.”
Ciop vibrò una gran
manata sulla scrivania.
“Ragazzo, non ti
conviene mentire. Abbiamo un filmato. Alle due e trentaquattro minuti le luci
di casa tua erano accese, e lo sono state per dodici lunghi minuti.”
“È vero” ammise
Saltinbeni chinando il capo.
“Perché lo hai fatto?”
lo incalzò Ciop.
“Un bisogno
fisiologico.”
“Che cosa? Parla più
forte, cazzo! Cip deve verbalizzare.”
Saltinbeni si schiarì
la gola.
“Dovevo pisciare”
disse.
Ciop scoppiò a ridere
in maniera sguaiata.
“Dovevi pisciare!”
ripeté. “Quindi vorresti dire che tu preferisci fare vent’anni di galera
piuttosto che pisciare nel letto?”
“Mi disgusta pisciare
nel letto. La vescica mi scoppiava, mi sono dovuto alzare.”
Ciop lo scrutò a lungo
prima di parlare.
“Perché non ti sei
alzato al buio?” domandò.
“Non lo so, è stato un
riflesso condizionato. E poi non riesco a muovermi per casa al buio.”
“Ah! Perché non riesci
a muoverti per casa al buio e non, invece, perché è proibito alzarsi.”
“Non volevo dire
questo.”
“Però lo hai detto.”
Ciop sospirò.
“Sei nei guai, ragazzo.
Dunque, ricapitoliamo: tu accendi la luce della stanza da letto, quella dell’ingresso
e infine quella del bagno.”
“Sì”.
“E raggiungi la tazza e
inizi a pisciare. Dico bene?”
“Sì.”
“E rimani per ben dodici
minuti con il tuo minuscolo uccello in mano.”
“No, ho fatto ciò che
dovevo fare e poi mi sono lavato le mani” disse Saltinbeni, che era sempre più
pallido in volto.
Ciop scoppiò di nuovo a
ridere.
“Ehi! Cip, hai sentito?
Questo frocetto è un maniaco dell’igiene!”
Cip sogghignò e poi
riprese a picchiare sulla tastiera. Il compare ritornò serio di colpo e assunse
un’espressione truce.
“E poi? Che cosa hai
fatto dopo? Dal filmato si vede accendersi anche la luce del soggiorno. A quel
punto il tuo appartamento era ormai simile a un fottuto albero di Natale! Che
cosa credevi di fare, piccolo stronzo?”
“Mi è venuta voglia di
bere un bicchiere d’acqua, e l’ho fatto” disse Saltinbeni.
“Non potevi aspettare
il mattino, come fanno tutti?”
“Non ci ho pensato.
Ormai ero alzato e…”
“Sei un coglione, Romeo
Saltinbeni, e sei in guai grossi come una casa” lo interruppe Ciop.
“Mi spiace…” tentò di
dire il ragazzo.
“A me non spiace
affatto” disse l’altro, compiaciuto. “E poi, che cosa hai fatto? Dopo che ti
sei abbeverato, intendo” aggiunse.
“Ho spento le luci e
sono tornato a dormire.”
“E dopo aver commesso
un tale crimine tu sei riuscito a dormire tranquillamente?”
“No, non sono più
riuscito a prendere sonno. Avevo paura.”
“E lo credo! Se hai
detto la verità, pur applicando tutte le attenuanti, te la caverai con una
quindicina d’anni di gabbio, altrimenti…” Ciop lasciò in sospeso la minaccia,
poi riprese a parlare.
“Adesso ti sbattiamo
dentro, nei prossimi giorni potrai consultare un avvocato. Hai fatto una grossa
cazzata, ragazzo. Hai violato la notte, e la notte è sacra, la notte è fatta per
dormire.”
Romeo Saltinbeni
cominciò a piangere, prima in maniera sommessa, poi con rumorosi singhiozzi.
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