Le leggi elettorali sono una cosa seria. Sono quel
meccanismo molto tecnico attraverso il quale il consenso dei cittadini riguardo
le opzioni politiche presentate dai partiti è trasformato in voti e poi in
seggi parlamentari. Uno strumento fondamentale, essenziale per il corretto
funzionamento di un sistema politico democratico.
Non esiste una legge elettorale migliore di un’altra, né
sussiste una legge che possa essere considerata perfetta. L’importante è avere
ben chiaro l’obiettivo che si intende raggiungere applicando l’uno o l’altro
dei sistemi di traduzione della volontà degli elettori.
Tali scopi possono essere rappresentati dal privilegiare l’elemento
della rappresentatività - tipico degli impianti proporzionali – oppure la
governabilità – così come meglio assicurato dai sistemi maggioritari.
L’adozione di meccanismi elettorali spuri crea invece
confusione e non conduce mai a buoni risultati.
La storia dei sistemi di voto adottati nel nostro Paese
dalla nascita della Repubblica a oggi è assai semplice da riassumere. Nel primo
dopoguerra l’esigenza, da parte delle forze politiche che avevano partecipato
alla lotta di liberazione, di mantenere e consolidare la loro specifica identità
(in gran parte ideologica) portò alla scelta di una legge proporzionale pura,
rimasta in vigore fino ai primi Anni Novanta, quando fu approvata la legge poi
denominata “Mattarellum”. Il nuovo sistema prevedeva che una quota di seggi
(75%) fosse attribuita attraverso un dispositivo maggioritario e la restante
parte assegnata in maniera proporzionale.
Una legge elettorale tutt’altro che inappuntabile, ma che
riuscì a determinare un accettabile livello di governabilità (come mai era
avvenuto in precedenza con il sistema proporzionale, quando i governi si
susseguivano a un ritmo vertiginoso) e, allo stesso tempo, consentire la sana
alternanza degli schieramenti al governo del Paese.
Tutto ciò fino all’anno 2005 quando, a pochi mesi dalle
elezioni politiche, fu partorito il famigerato “Porcellum”, una nuova legge
elettorale che la maggioranza di centro-destra in quel momento al governo si
ritagliò su misura. I calcoli tuttavia si rivelarono errati, poiché Silvio
Berlusconi e i suoi accoliti persero – anche se di misura – le successive
elezioni; ciò nonostante quella legge-porcata (definita in tal modo proprio dal
suo raffinato estensore) creò un vulnus
al sistema politico italiano al quale non si è ancora riusciti a porre rimedio.
Inutile illustrare in dettaglio le caratteristiche della Legge Calderoli. Basti
dire, su tutto, che si tratta di una norma che consente alle segreterie di
partito di “nominare” gli eletti, prevedendo essa liste bloccate di candidati
e, quale diretta conseguenza, l’impossibilità per gli elettori di indicare
preferenze, riservando così agli stessi un ruolo estremamente marginale.
Nei giorni scorsi si è tenuto un incontro tra i principali
esponenti delle forze politiche che sostengono l’esecutivo Monti. Il fine era
quello di proporre un nuovo modello di legge elettorale, nonché quello di
procedere, in parallelo, con una riforma istituzionale che interessa in special
modo la composizione numerica e il ruolo del Parlamento. Trascuriamo di
proposito quest’ultimo aspetto dal momento che, ad un anno di distanza dal
termine della legislatura, tale progetto appare troppo ambizioso se rapportato
alla consistenza qualitativa – scarsa – dell’attuale classe politica. Inoltre,
il percorso legislativo di revisione costituzionale, indispensabile per questo
tipo di riforme, è piuttosto lungo e complesso.
La legge elettorale, al contrario, può essere approvata con
procedimento ordinario.
Ci si domanda che cosa sia venuto fuori, di sostanziale, dal
citato vertice tra Bersani, Alfano e Casini. Niente più di un quadro assai
desolante. Vediamone la ragione.
Il Popolo della Libertà uscirà di sicuro sconfitto dalle
prossime consultazioni politiche. Questo è quanto affermano tutti i principali
sondaggisti. La principale esigenza di questa forza politica che, non
scordiamolo mai, ha quasi condotto al disastro il Paese, è pertanto quella di
limitare le perdite. Un sistema elettorale come quello vigente, che attribuisce
un corposo premio di maggioranza alla coalizione vincitrice, potrebbe causare
al PDL danni enormi. Da ciò la necessità, per quello che rimane comunque il
partito-azienda di Berlusconi, di un ritorno a una legge proporzionale, che
possa consentire di avere mani libere dopo il voto e la possibilità di formare
alleanze con qualsiasi altra forza politica. Un ennesimo inganno a scapito
degli elettori, per i quali l’indicazione del candidato premier sulla schede (così
come previsto dalla proposta di riforma) si rivelerebbe del tutto inutile, una
autentica presa in giro.
Quasi la medesima analisi può essere fatta per i Centristi i
quali avrebbero, come un tempo, la ghiotta opportunità di diventare l’ago della
bilancia rispetto ai futuri equilibri politici (ricordiamoci dei socialisti).
Infine, inevitabile, l’ultima questione. Il passaggio a un
sistema elettorale proporzionale porterebbe reali vantaggi e benefici al
Partito Democratico, cioè all’unica forza politica in grado di vincere le
elezioni al di là del sistema elettorale in vigore? La risposta, naturalmente,
è nessuno.
È questa una ragione sufficiente per non procedere a
modifiche della legge elettorale? No, assolutamente no. Il “Porcellum” è una vera
indecenza, oltre che non degno di un Paese civile, e deve essere cambiato al
più presto.
Altrettanto importante però è il fatto che non sia sostituito
con qualcosa di ancora peggiore.
Non c’è proprio bisogno di plasmare un altro golem elettorale.
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