Da quando l’ultimo tabù è stato sfatato,
l’esistenza degli esseri umani è stata sottoposta a una profonda mutazione. Sto
parlando della morte, ovviamente.
Fin dalla nascita abbiamo da sempre
posseduto un’unica certezza: la consapevolezza di dover morire.
Ora, tutto è cambiato. Sappiamo come
sempre che la nostra esistenza avrà un termine ma, a differenza di prima,
conosciamo anche quando. Credetemi, non si tratta di un particolare di scarso
rilievo. Tale nuova cognizione ha stravolto le vite di tutti, le ha
trasformate, le ha dirette verso percorsi che mai avremmo creduto possibili, ha
attribuito al vivere quotidiano un significato nuovo, diverso e, in qualche
modo, del tutto singolare. Nella nostra mente, in qualsiasi momento della
giornata, è sempre presente l’immagine di quei numeri, riferiti ad anni, mesi e
giorni, che scorrono rapidi all’indietro. Incontro alla data fatidica, e all’inevitabile
fine.
D’altra parte, prima o dopo doveva
accadere. Per anni gli scienziati si sono accaniti, in una corsa sfrenata e
irragionevole, nel tentativo di decifrare tutti i segreti del DNA, il nostro codice genetico. Alcuni scopi
erano senz’altro nobili, come il poter prevenire e curare le malattie, ad
esempio. Altri un po’ meno, e alludo alla manipolazione delle particelle
cromosomiche per inseguire fini oscuri o di natura esclusivamente commerciale.
Un grande sforzo, un enorme impegno, favorito da un considerevole impiego di
risorse. Alla fine quasi tutte le informazioni contenute nella doppia elica
sono state decifrate. Naturalmente alcuni misteri continueranno a rimanere
tali, forse sono al di là delle capacità di comprensione dell’uomo, enigmi
della vita impossibili da svelare.
Tranne quello, il segreto del termine
dell’esistenza, contenuto in un corpuscolo che mai era stato studiato in
precedenza dagli uomini di scienza. In base a ciò è possibile stabilire con
estrema precisione l’arco temporale di esistenza dell’intero organismo. Si
tratta di una esatta segnalazione biologica, che possiede un margine di errore
non superiore ai cinque minuti. Qualcosa di incredibile e di impensabile. Di
straordinario e, nello stesso tempo, terribile.
Poco alla volta tutti gli esseri umani
sono stati sottoposti al test, anche perché tale prova è di una semplicità
sorprendente. Da qualche tempo, inoltre, l’assoggettarsi alla spaventosa
predizione è stato reso obbligatorio. Sul mio documento di identità compaiono
adesso due date, quella di nascita e quella di morte.
In conseguenza di tutto questo, l’intera
organizzazione sociale si è modificata. Molte persone, condannate in vita dalla
presenza di una data di morte troppo ravvicinata, trascinano in maniera stanca
la loro esistenza, standone ai margini, e privati di qualsiasi significativa opportunità.
A questi veri e propri nuovi reietti è precluso l’amore, l’occasione di avere
dei figli e di trovare una qualsiasi occupazione lavorativa. Molti di loro
ricorrono al suicidio: l’ultimo disperato tentativo di ingannare una morte
annunciata.
Altri, invece, soccombono a un destino
beffardo e crudele. È il caso del mio povero amico Arnold. Il test gli aveva
predetto che sarebbe deceduto all’età di novantadue anni. Forte di tale
clemente vaticinio, lo sventurato aveva ottenuto senza difficoltà un impiego
prestigioso. Mentre si stava recando per la prima volta al lavoro è stato
investito da un autobus ed è morto.
Come avrete intuito, la prova fornisce
una esatta previsione di decesso affidandosi ad elementi unicamente scientifici. In nessun
modo può tener conto di fattori aleatori oppure di comportamenti scriteriati
dell’individuo.
È palese che si continuerà a morire in
maniera violenta, per incidenti, per omicidio o altre cause imprevedibili. Non
è possibile andare oltre il limite biologico stabilito e conosciuto, mentre
esiste l’eventualità di anticiparlo.
Anch’io, come tutti, ho patito questa
particolare condizione in cui siamo stati all’improvviso trascinati. Mi rendo
conto che se non avessi conosciuto la data di dipartita la mia vita sarebbe
stata diversa. Più lieve e spensierata e con minori affanni. L’angoscia non
avrebbe accompagnato ogni giorno della mia esistenza. Quella data di scadenza
impressa nei miei geni e portata alla luce mi ha impedito di essere veramente me
stesso.
Con il trascorrere degli anni, tuttavia,
è subentrata in me una specie di rassegnazione. Ripensandoci, ritengo di essere
stato fortunato. Anche se spesso ho sofferto, ho comunque avuto molto tempo a
mia disposizione per abituarmi all’idea di morire. Ho pensato tutti i giorni
alla morte, anche quando sapevo che sarebbe stata ancora lontana. E adesso non
ne ho più paura.
Domani tocca a me. Stringo tra le mani
quella busta che mi è stata inviata tanto tempo fa. Quella con il responso.
Rileggo per l’ennesima volta la data, anche se la conosco molto bene. È scolpita
nella mia mente come sulla pietra, come lo sarà sulla lapide. E so che il
risultato del test è infallibile.
Vi domandate se sia malato? No, vi assicuro
che sono sanissimo. Trapasserò di colpo, qualche mio organo cederà all’improvviso.
Favorito dalla sorte fino all’ultimo.
È quasi mezzanotte, e tra un po’ andrò a
letto. Sono sicuro che riuscirò ad addormentarmi, ma non so se mi sveglierò.
Forse sì. In tal caso si tratterà soltanto di aspettare.
Qualche ora, non di più.
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