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giovedì 5 aprile 2012

L'ASSALTO



Sostavano di fronte al grande palazzo fin dal mattino presto. Ed erano in tanti. I dimostranti per lunghi momenti stavano quieti. Poi, all’improvviso, cominciavano a urlare slogan. Voci rabbiose, cariche di rancore e di collera repressa. Dopo, di nuovo il silenzio.
I due vigili urbani, in piedi fuori dal portone, scambiarono tra loro uno sguardo preoccupato.
“Chi sono?” domandò il primo.
“Disoccupati” rispose l’altro.
“Di nuovo? Che vogliono?”
“Sempre la stessa cosa: lavoro.”
Di colpo la folla si animò. Un segnale impercettibile, e quella disperata moltitudine si gettò in avanti. Compatta, temibile.
Gli uomini di guardia se ne resero conto con un attimo di ritardo.
“Indietro!” urlò il primo.
“Chiudiamo il portone, presto!” riuscì a dire l’altro. Fu il caos. Grida, urti, spintoni.
A fatica, i vigili riuscirono a serrare il pesante portale. Alcuni contestatori, tuttavia, poterono penetrare all’interno del cortile. Erano tre, e cercarono di dirigersi verso l’ingresso degli uffici. In mano tenevano bastoni e spranghe di ferro. I tratti dei loro volti erano alterati. Facevano davvero paura.
Con gran sangue freddo, consapevoli della situazione di grave pericolo, i due vigili estrassero le  pistole. Svuotarono i caricatori sui malcapitati che, abbattuti in corsa, stramazzarono pesantemente a terra senza solo un lamento.
“Che cosa sta succedendo?” chiese il comandante, accorrendo, allarmato dal rumore degli spari. Vide i tre uomini bocconi sul lastricato, le armi ancora fumanti dei suoi sottoposti, e non ebbe bisogno di chiedere ulteriori spiegazioni.
“Siamo stati attaccati…” sussurrò il primo vigile.
Il comandante gli fece cenno di tacere.
“Radunate tutti gli altri, presto!” ordinò.
Ben presto accorsero tutti gli uomini in servizio. Una decina. Il comandante si rivolse a due di loro.
“Voi due, venite con me!”
Li portò nel suo ufficio. Da un cassetto della scrivania prese una chiave, con la quale aprì un armadietto di metallo. Estrasse due fucili di precisione e li diede ai due sbigottiti vigili.
“Andate sulla balconata. E sparate” disse.
“Non li abbiamo mai usati…”
“Non preoccupatevi, è sufficiente prendere la mira e premere il grilletto.”
I due giovani vigili annuirono e si allontanarono di corsa, in direzione dello scalone monumentale che conduceva alla balconata che si affacciava sulla piazza.
Il comandante ritornò in cortile, dove lo aspettavano tutti gli altri uomini.
“Tu! Vai dal sindaco e non perderlo mai di vista. Da questo momento è sotto la tua protezione, intesi?”
“Sì, comandante.”
Si udivano forti colpi provenire dal portone. E strepiti incomprensibili, belluini.
“Stanno cercando di sfondarlo” disse un anziano vigile.
“Non ci riusciranno mai” lo tranquillizzò il comandante.
“E i dipendenti?” domandò un altro.
“Dite loro di non uscire dagli uffici. Quanti sono?”
“Ormai sono rimasti in pochi. Sono stati quasi tutti licenziati e alcuni di quelli destituiti sono tra la folla.”
“Già, sono rimasti in pochi. Meglio così” disse il comandante. “Almeno non dovremo preoccuparci di loro più di tanto.”
Trafelata piombò in mezzo al gruppo una corpulenta vigilessa.
“Comandante! Non è possibile ricevere rinforzi! Sono sotto attacco molte altre sedi istituzionali, commissariati e…”
Il comandante si incupì.
“Grazie, Eleonora” disse.
“Che facciamo?” domandarono quasi in coro due vigili. Erano pallidi in volto, quasi cerei.
“Tenteremo di resistere.”
Colpi di fucile, in rapida successione. Provenienti dalla balconata.
“I nostri, di sopra, si stanno dando da fare” disse un’altra vigilessa, compiaciuta.
“È tutto inutile!” gridò un uomo che stava osservando la piazza attraverso uno spioncino. “Stanno sparando a vuoto! Gli assalitori si sono rifugiati tutti sotto il porticato. Sono al riparo.”
Sul viso del comandante prese forma una smorfia di disappunto.
Proprio in quell’istante, in fondo al cortile, si materializzò una figura. Alta, magra, dinoccolata. L’uomo impugnava una pistola e avanzava lentamente. Accanto a lui zampettava un giovane vigile urbano, che appariva sconsolato.
“Signor sindaco!” esclamò il comandante, stupito da quell’apparizione.
Il sindaco si fermò vicino a uno dei cadaveri. Con il piede lo rivoltò sulla schiena e lo osservò con disgusto.
“Mi spiace, signor sindaco, ma non abbiamo potuto fare a meno di…” tentò di giustificarsi il comandante.
Il sindaco sollevò il capo e lo guardò. Poi riprese a camminare.
“Ben fatto, comandante. Ben fatto” mormorò.
“Signor sindaco, lei non può stare qui. È pericoloso. Deve tornare subito nel suo ufficio!”
Il giovane vigile, che seguiva come un’ombra il primo cittadino, scrollò le spalle in segno di impotenza. La sua fondina era slacciata e vuota.
“Comandante! I manifestanti stanno lanciando delle bottiglie incendiarie!” disse la vigilessa grassa.
“Cristo!” strepitò l’ufficiale. Poi tornò a rivolgersi al sindaco.
“La prego! Torni in ufficio, così potremo proteggerla meglio!”
Il sindaco si accostò al comandante del corpo di guardia. Lo superava in statura di almeno venti centimetri, anche se il suo corpo era molto più esile.
“Non ho nessuna intenzione di fare la fine del topo in trappola. Dobbiamo uscire dal palazzo al più presto e rifugiarci in Prefettura” spiegò il sindaco.
“Ma…”
“Da questo momento assumo personalmente il comando delle operazioni” aggiunse il primo cittadino, che appariva estremamente determinato.
“E i dipendenti?” osò domandare un vigile.
“I dipendenti? Se la caveranno…” rispose il sindaco. “In quanto a noi, appena radunati tutti gli uomini apriremo il portone e ci faremo strada tra i disoccupati sparando. Non mi risulta che loro siano armati” aggiunse.
“Be’… dispongono di corpi contundenti…” disse un vigile, intimorito.
“E lei ha un’arma da fuoco!” lo zittì il sindaco. Anche il comandante indirizzò un’occhiata di rimprovero al suo pavido sottoposto.
Quando tutti furono pronti, fu aperto il grande portone.
Fuori, la folla si era ormai trasformata in una moltitudine. Una vera e propria muraglia umana. I primi tre vigili furono infilzati da rudimentali baionette. Il comandante fu aggredito a morsi. Sul sindaco, che sparava all’impazzata, fu gettata una rete. Si dibatté a lungo, ma pareva un grosso ragno imprigionato nella sua stessa ragnatela.
Dopo pochi minuti calò il silenzio.
I dimostranti entrarono nel palazzo e subito si sparpagliarono nei diversi piani. L’ordine era quello di trucidare tutti i dipendenti. Gli unici che avevano ancora un lavoro.
Anche se per poco tempo ancora.

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