“Mio padre è stato ucciso da una lepre.”
Quelle parole le aveva pronunciate un ragazzo, alcuni minuti
prima. Avevo appena iniziato a parlare con lui e, subito dopo, a causa dell’enorme
confusione, lo avevo perso di vista.
Tuttavia ero stato molto colpito da quella frase, e da
quello strano giovane. Quando lo avevo incontrato stava marciando alla testa
del corteo, ed era accompagnato da un vecchio segugio che teneva al guinzaglio.
Tra le mani il ragazzo stringeva un cartello, sul quale era scritto uno dei vari slogan utilizzati durante quella manifestazione di protesta. Una delle
tante che si svolgevano in quei giorni, tutte contro la caccia.
Lo cercai a lungo, cercando di scorgerlo tra la folla che
ormai si stava disperdendo, finché lo ritrovai. La mia era una curiosità
soprattutto professionale, poiché di mestiere faccio il giornalista per una
piccola testata locale, ma anche umana. Non riuscivo a scacciare quelle sue parole
dalla mente e volevo saperne di più. Non necessariamente per scrivere un
articolo, ma anzitutto per soddisfare la mia innata curiosità.
Attirai la sua attenzione e gli feci cenno di fermarsi. Gli
spiegai che era mia intenzione concludere il discorso che avevamo iniziato e
non ultimato. Gli proposi di sederci un attimo in un bar, dove avremmo potuto
dissetarci e parlare in tutta tranquillità. Alla fine, forse per via della mia
insistenza, accettò. Raggiungemmo una piazzetta e ci accomodammo a un tavolino
all’aperto. Era tardo pomeriggio ma faceva ancora molto caldo.
Il ragazzo, per prima cosa, chiese al cameriere una ciotola
d’acqua per il suo cane. L’animale, come avevo notato in precedenza, era piuttosto
anziano e sembrava sofferente. Bevve a lungo, lappando con ingordigia, poi si
accucciò sotto il tavolo, all’ombra. Si addormentò subito.
“Come si chiama?” domandai.
“Saetta” rispose il ragazzo, guardando con affetto il
vecchio segugio.
“Era uno dei cani di mio padre” aggiunse. Nel pronunciare
quelle parole, la sua espressione mutò, e divenne triste.
“Lui quel giorno non c’era. Mio padre non lo aveva portato
con sé. Di solito lo faceva sempre” disse ancora il giovane.
Intervenni.
“Ascolta, non sono sicuro di avere ben compreso, prima. È vero
che tuo padre è stato ucciso da una lepre?”
Lui si limitò ad annuire.
“Ti andrebbe di raccontarmi tutta la storia?” chiesi.
“Tu sei un giornalista.”
“È vero, ma ti prometto che non scriverò nulla, se tu non lo
desideri” lo rassicurai.
Scosse energicamente il capo.
“Perché mai? È giusto che la gente sappia. Se la mia storia
può servire per sensibilizzare le coscienze delle persone non ti devi fare eccessivi scrupoli, utilizzala pure.”
Lo invitai a proseguire. Lui accarezzò a lungo Saetta che, destandosi
per un attimo, mugolò di piacere, poi iniziò a raccontare. Con voce piatta,
quasi impersonale.
“Allora ero un bambino, ma i miei ricordi sono tuttora molto
nitidi. Mio padre era un cacciatore, aveva ereditato da mio nonno quella
passione, e quasi non passava giorno senza che lui la praticasse. Nel periodo
in cui la caccia era consentita, naturalmente, poiché mio padre era un uomo
rispettoso delle regole. Quella mattina uscì prima dell’alba, io e mia madre
stavamo ancora dormendo. Il giorno prima aveva scovato la tana di una grossa
lepre e così decise di tornare in quel posto per darle la caccia. Probabilmente
la considerava una preda facile, e forse fu questo il motivo per cui non portò
con sé i cani.”
“I cani?”
“Sì. Oltre a Saetta mio padre possedeva un altro segugio
addestrato per la caccia alla lepre, Buck.”
“E Buck è…”
“Sì, è morto già da qualche anno.”
“Continua, ti prego.”
Il ragazzo portò alle labbra il bicchiere, bevve una sorsata
della sua bibita e poi proseguì.
“La mattinata era ormai trascorsa, ma mio padre non aveva
ancora fatto ritorno. Mia madre cominciò a preoccuparsi, si fece inquieta. Lui
tornava sempre per pranzo. Non quel giorno, perché non tornò più. Mai più.”
“Che cosa accadde?” domandai.
“Venne da noi un uomo, un vecchio. Noi non lo conoscevamo,
non lo avevamo mai visto prima e non lo vedemmo più in seguito.”
“Che cosa vi disse?”
“Ci disse che aveva trovato nostro padre riverso nella
brughiera, privo di vita.”
“Si era sentito male?”
Il giovane ignorò la mia domanda.
“Ci disse anche qualcos’altro.”
“Che cosa?” Faticavo a trattenere la mia impazienza.
“Ci disse che lui aveva visto tutto. Mio padre aveva
affrontato la lepre ed era stato ucciso.”
“È un’assurdità! Non dirmi che gli avete creduto! Com’è
possibile che una lepre possa uccidere un uomo?”
“Io non ebbi dubbi. Il vecchio aveva detto la verità.”
Ero incredulo. Quel ragazzo mi stava forse prendendo in
giro?
“E in che modo lo avrebbe ucciso?” domandai, un po’
stizzito.
“Per ammazzare quelle povere bestie indifese noi esseri
umani utilizziamo i fucili.”
“Cosa intendi dire?”
“Non possiamo sapere di quali risorse dispongano loro. Quindi
non so dirti che cosa fece esattamente la lepre. In ogni caso il cuore di mio
padre si era fermato. Lei era riuscita a ucciderlo.”
“Si trattò di sicuro di una morte per cause naturali” dissi.
“No, la lepre si difese e riuscì a prevalere. Tutto qua. Il
vecchio aveva assistito alla scena.”
Sbuffai.
“Ti rendi conto che la tua storia è del tutto insensata? E tua madre?
Cosa disse tua madre? Anche lei pensava che fosse stata la lepre?”
Il ragazzo annuì.
“Non me lo disse mai in modo chiaro, ma sono convinto che
anche lei avesse creduto alla testimonianza del vecchio. Comunque, da allora
mia madre non è più stata la stessa persona di prima. È morta l’anno scorso.”
“Mi dispiace…”
Non sapevo più che dire. Decisi che era il momento di
congedarmi da quel giovane strambo.
“Sono desolato, ma non posso scrivere ciò che tu mi hai
raccontato. Nessuno crederebbe alla storia di una lepre assassina.”
Il ragazzo, di scatto, si alzò. I tratti del suo viso erano
alterati.
“Non fu un assassinio!” gridò. Per fortuna, oltre a noi due,
non erano presenti altri avventori.
“Si trattò di legittima difesa!” aggiunse, abbassando un po’
il tono di voce. Anche Saetta si drizzò in piedi. E abbaiò contro di me.
“Calmati!” dissi. "Calmatevi tutti e due!"
Lui si lasciò ricadere di peso sulla sedia.
“Scusa tu…” sussurrò. Saetta tornò ad accucciarsi ai suoi
piedi.
“Ci sono andato” aggiunse il ragazzo.
Fui colto alla sprovvista.
“Uh? Come?”
“Sono andato in quel posto, dove mio padre morì, poco tempo
fa. L’ho subito riconosciuto, perché la tana della lepre c’è ancora. Ho portato
con me Saetta, anche lui voleva rendere omaggio al luogo dove il suo amato
padrone ha perso la vita. Il mio cane quel giorno però si è comportato in
maniera strana.”
“Sarebbe a dire?” lo incitai.
“Aveva paura, tremava. Ogni tanto uggiolava, spaventato. A
un certo punto si è disteso sul terreno, immobile, con la pancia a terra. Poi
ho capito il motivo del suo terrore. L’aveva vista.”
“Eh?”
“Aveva scorto la lepre, dopo averne fiutato l’odore. Era
proprio di fronte a noi, e ci stava guardando. Impercettibili fremiti
scuotevano le sue lunghe orecchie. Si trattava di un animale enorme. Non avevo
mai visto una lepre così grande.”
“Non poteva essere la stessa lepre! Era un’altra!” esclamai
alzando la voce.
Il ragazzo sorrise.
“No, era proprio la stessa. Saetta, il giorno prima della
morte di mio padre, l’aveva inseguita e ora l’aveva riconosciuta, anche se
erano trascorsi ormai molti anni.”
“Basta!” esclamai. “Non voglio sentire altro, tu ti stai
prendendo gioco di me.”
Il ragazzo non fece caso alle mie parole e continuò.
“L’ho guardata negli occhi, in quegli occhi scuri e profondi
come due pozzi. Lei ha ricambiato lo sguardo. Mi ha rivolto un’occhiata mesta,
carica di afflizione. Era il suo modo di scusarsi. Forse non sapeva che io l’avevo
già perdonata da tanto tempo.”