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venerdì 19 agosto 2011

L'ASSASSINO



Attese fino a che fu buio. E quel giorno le tenebre calarono presto. Era soltanto l’inizio dell’inverno, ma la temperatura, già da alcune giornate, si era fatta alquanto rigida.
L’uomo si affacciò alla finestra e vide che cadeva una sottile pioggia. Poco male, considerò, sarebbe comunque uscito, poiché non aveva alcuna intenzione di mutare i suoi piani per un po’ d’acqua, sebbene gelida, che stava scendendo dal cielo.
Consultò l’orologio al polso e vide che poteva operare con tutta calma. Allora si diresse verso la credenza, prese una bottiglia di cognac e riempì a metà un piccolo bicchiere. Sorseggiò il liquido pungente con lentezza, assaporandolo. Quella modica quantità di liquore non gli avrebbe certo fatto perdere lucidità - era abituato a ben altre dosi – ma in compenso gli avrebbe infuso un po’ di coraggio. In fondo, ne aveva bisogno: occorre determinazione per riuscire ad uccidere un uomo, soprattutto quando si tratta della prima volta.
Sciacquò con cura il bicchierino e lo ripose nello scolapiatti. Poi andò in salotto, si avvicinò alla grande scrivania, aprì il primo cassetto e prese l’arma. La sistemò all’interno della giacca, guardò nuovamente l’ora e decise che era arrivato il momento di agire.
Spense tutte le luci dell’appartamento e uscì.
All’ultimo momento aveva deciso di non indossare il cappotto. Il pesante indumento avrebbe potuto ostacolare i suoi movimenti e, piuttosto che ciò accadesse, era preferibile soffrire un po’ il freddo. Tanto, pensò, tutto sarebbe durato non più di venti minuti. Poteva certamente affrontare quel minimo disagio, poi…
Fuori, in strada, non c’era nessuno. Meglio così. L’importante era che fosse presente all’appuntamento con la morte la sua vittima e, al riguardo, egli non nutriva alcun dubbio. La sua certezza era assoluta.
Camminò, a passo svelto, per un paio di isolati. Si accorse, con stupore,  che non sentiva assolutamente freddo, né era infastidito dalla pioggia che ora precipitava con maggiore intensità, incollandogli i radi capelli al cranio spigoloso. 
Si immaginò un assassino con l’ombrello e ridacchiò tra sé a quell’idea. Scosse il capo.  No, non era proprio possibile. Gli assassini non portano l’ombrello.
Giunse al luogo stabilito e si fermò. In quel momento il battito del suo cuore cominciò ad accelerare, e le tempie a pulsare in maniera fastidiosa. Manifestazioni fisiche sgradevoli che l’uomo tentò di alleviare respirando profondamente. La mente, nondimeno, era perfettamente lucida.
Fece altri due passi e poi si sistemò dietro ad un angolo, immobile. Era il posto ideale per un agguato.
Cominciò a contare fino a cento - perché così era stabilito nel suo piano – e, mentre scandiva mentalmente le cifre, estrasse l’arma e la snudò.
La lama affilatissima del coltello catturò, per un attimo, un riflesso di luce proveniente da chissà dove e brillò, per poi ridiventare subito dopo quasi del tutto invisibile, scura e temibile.
Novantanove… cento!
L’uomo balzò oltre l’angolo, impugnando saldamente il coltello. Sferrò un terribile colpo dal basso verso l’alto. La lama penetrò nel petto, si fece strada scivolando tra le costole e arrestò la sua corsa sullo sterno, dove rimase imprigionata. Celando a stento il suo disappunto, l’uomo, esercitando una certa forza, riuscì a disincagliare il coltello. E immediatamente menò un altro fendente, questa volta più in basso, in pieno ventre. Fu come affondare nel burro. La lama si piantò spensierata fino all’impugnatura, e tagliò, squarciò e recise tutto ciò che trovò lungo la via.
L’uomo cominciò a barcollare e a perdere molto sangue, le forze vennero meno.
Riuscì comunque a svellere con facilità la lama dall’addome e ad infliggersi una terza pugnalata, pressappoco nello stesso punto della precedente. Fu quella mortale. Le gambe si piegarono all’improvviso e lui precipitò a terra, il pugnale ancora conficcato nel corpo.
Nient’altro che un’ombra scura stesa sul marciapiede, l’assassino e la vittima, la stessa persona.
La pioggia iniziò, paziente, a diluire il sangue sul selciato.

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