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domenica 5 giugno 2011

SU E GIU'



Ho iniziato a svolgere questo lavoro tanto tempo fa. Certo, non tutti la definirebbero propriamente un’occupazione, un’attività tra quelle abituali che vengono eseguite dalla maggior parte delle persone. Si tratta, infatti, di qualcosa di particolare, di molto singolare. Un giorno sono uscito di casa, dal pianerottolo del mio appartamento, intendo, e mi sono infilato dentro quel cubicolo. Da quel giorno non sono più uscito. D’accordo, a volte sono costretto a farlo per dei brevi momenti: un breve spuntino, le necessità fisiologiche, una doccia veloce e altre piccole incombenze che riguardano la cura della persona. Quando lo faccio, comunque, avviso sempre. Ho preparato allo scopo un cartello che affiggo all’esterno, vicino alla porta. Se possibile cerco di assentarmi sempre durante la notte, per creare il minimo disagio e per non interrompere il servizio per troppo a lungo.
All’inizio stavo sempre in piedi, poi non ce l’ho fatta più. Siccome non mi sembrava dignitoso sedermi a terra, mi sono procurato un piccolo sgabello e, quando mi sento stanco, lo utilizzo. Quali sono esattamente le mie mansioni? È difficile definirle, forse perché non esistono. In realtà non faccio nulla, semplicemente offro la mia presenza. No, non schiaccio tasti, né faccio altre cose. Non desidero intervenire in modo diretto nelle vite degli altri, non voglio essere percepito come una figura invasiva. A volte mi capita di dover intervenire di persona, ma solo e sempre su richiesta.
Di solito, non parlo. Quando incontro le persone, mi limito a rivolgere un impercettibile cenno del capo. Con il passare degli anni ho capito che tale atteggiamento è quello più gradito. Naturalmente qualcuno si sforza di dirmi qualcosa, tuttavia tutti hanno ormai compreso che i miei argomenti di conversazione sono piuttosto limitati. Non leggo i giornali, non guardo più la televisione, ignoro tutto ciò che succede all’esterno. Non sono in grado di discorrere neppure del tempo atmosferico, dal momento che non esco mai e che l’unica luce che vedo è quella artificiale di una lampada al neon. Nonostante tutto, qualcuno si ostina a salutarmi con squillanti buongiorno e buonasera, soprattutto le donne, e a quel punto rispondo con gentilezza e sforzandomi di abbozzare un sorriso. I più, comunque, mi ignorano. Lo fanno i ragazzini che tornano da scuola, stanchi e impazienti di divorare il cibo che madri amorevoli hanno loro preparato. Le vecchiette che tornano dalla spesa, cariche di borse, desiderose di richiudersi al più presto nel guscio protettivo delle loro abitazioni. E lo fanno gli uomini d’affari che rientrano la sera tardi, sfiniti da una interminabile giornata di lavoro e da chissà quali altri gravosi impegni, non ultimi quelli rappresentati da esigenti amanti. Infine, lo fanno tutte quelle persone che vedo per una volta soltanto: ospiti, fattorini, idraulici.
Oh! Qualcuno ha chiamato di sotto. Ero al quinto piano, e tra un attimo mi ritroverò al piano terra. E poi di nuovo su! Credetemi, è una sensazione bellissima.
Mi piace, il mio lavoro. Mi appaga e mi soddisfa. Cercherò di non lasciarlo mai, di continuare per sempre. Sono convinto che morirò qui dentro. In fondo, è ciò che desidero.

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