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mercoledì 20 marzo 2024

L'OSPITE


 

Entrai nel cortile e parcheggiai l'auto. Il terreno era ricoperto di foglie secche, che nessuno aveva raccolto. Erbacce erano spuntate ovunque, e prosperavano rigogliose. C'era aria di abbandono, e il cielo grigio rendeva tutto ancora più malinconico.

Scendemmo dalla macchina.

"Ti sei ricordato le chiavi?" domandò mia sorella Anna.

"Certo" risposi, e gliele mostrai. Le avevo appena estratte dalla tasca.

Erano trascorsi più di due anni da quando nostra madre era venuta a mancare. Nostra madre, che da tanto tempo viveva da sola in quella grande casa. Da allora né io né mia sorella avevamo avuto il coraggio di prendere qualsiasi decisione riguardo la sua abitazione. Non avevamo toccato praticamente nulla. Negli ultimi tempi era maturata in noi la consapevolezza che la risoluzione migliore fosse quella di vendere l'edificio. Nessuno di noi due aveva intenzione di trasferirsi e di abitarci e, in segno di rispetto nei confronti di nostra madre, che quella casetta aveva sempre curato con dedizione e amore, non volevamo che il nido dove eravamo nati e avevamo vissuto per tanti anni cadesse in rovina.

Anna mi tolse le chiavi dalla mano e si diresse verso la porta di ingresso.

"Marco!"

"Eh?"

"Non era chiusa!"

La raggiunsi.

"In che senso non era chiusa?" domandai.

"Non erano stati dati i giri di chiave".

Sollevai le spalle.

"L'altra volta ce ne saremo dimenticati". L'ultima visita risaliva a un paio di mesi dopo il decesso di nostra madre. Eravamo ancora molto turbati, possibile che fossimo stati disattenti.

Varcammo la soglia e subito notai un'altra distrazione. Avevamo lasciato il contatore inserito. Mia sorella non ci fece caso nulla, accesi le luci e ci inoltrammo in soggiorno.

"Che strano odore" disse Anna, annusando l'aria.

"È odore di chiuso" risposi, anche se mia sorella aveva ragione. Si percepiva una puzza strana, difficile da definire.

Spalancai un paio di finestre.

"Ecco fatto" dissi. "Tra un po' andrà meglio".

Vidi mia sorella dirigersi in cucina.

"Marco!"

"Che cosa c'è?"

"Vieni, per favore".

Sospirai, poi la raggiunsi.

"Guarda, il frigorifero è chiuso. Non lo avevamo lasciato aperto?"

"Non ricordo" dissi, mentre Anna apriva lo sportello del frigo.

"C'è qualcosa dentro. Non lo avevamo svuotato?"

Iniziavo a spazientirmi.

"Anna, non ti ricordi in che condizioni eravamo l'ultima volta che siamo stati qui? Eravamo distrutti dal dolore, poco lucidi, quindi non ricordo cosa abbiamo o cosa non abbiamo fatto. Cerca di rilassarti, per favore".

"Ma questa è una cosa strana". Anna stava indicando il contenuto del frigorifero. Un piccolo cubo, di colore grigio, circa cinque centimetri di lato.

"Sarà una confezione di qualcosa andato a male. Sembra ricoperta di muffa. Lascia stare e chiudi. Prima di andare via la butteremo".

Ma mia sorella si era già allontanata. Si trovava vicino al divano, dove raccolse dai cuscini un pezzo di stoffa, forse un plaid. Ero certo che quella coperta, se davvero si trattava di una coperta, non fosse appartenuta a nostra madre. Anna la teneva tra le mani e la guardava, affascinata. La stoffa cambiava continuamente colore, assumendo a volte tonalità che, lo posso giurare, non avevo mai visto. Distolsi lo sguardo, proprio mentre mia sorella, pensando di non essere vista, nascondeva il presunto plaid sotto i cuscini del divano.

"Anna, vado a dare un'occhiata di sopra. Vieni anche tu?"

"No" rispose lei. "Non me la sento ancora di rivedere la stanza dove è morta mamma". Era molto pallida, sembrava spaventata.

"Farò in fretta" dissi, poi mi avventai sulla scala interna.

Al piano superiore c'erano due camere e un minuscolo bagno. Entrai nella prima stanza, che mia madre usava come ripostiglio. Era piena zeppa di oggetti e di scatoloni, ma sembrava tutto in ordine. Anche la camera da letto, in un primo momento, appariva a posto, finché non notai, ai piedi del letto, una strana valigia. Più che altro si trattava di un borsone. Aveva un aspetto metallico, ma quando lo toccai era molto morbido. Sembrava pieno. Armeggiai un po' sulla strana chiusura e finalmente riuscii ad aprilo. Guardando il suo interno, si aveva l'impressione che le dimensioni fossero smisurate. Come se contenesse un intero ambiente. Vidi oggetti con fogge sconosciute, tessuti che potevano essere vestiti, anche se non ne ero certo, cose di grande mole che sembravano essere mobili.

Attonito, quasi stordito da quanto avevo appena visto, chiusi in fretta il borsone e mi sedetti sul letto. Impiegai qualche minuto a riprendermi, e decisi di andarmene al più presto. In quella casa era accaduto qualcosa, ma non avevo nessuna intenzione di scoprire che cosa. Mi alzai in piedi e raggiunsi la porta, ma per un istante i miei occhi notarono qualcosa di anomalo. Tornai indietro e osservai il comò. Sul suo piano c'era un ritratto di mio padre. Accanto c'era un'altra fotografia, quella dei miei nonni materni. C'era però anche una terza immagine, un ritratto che non c'era mai stato prima, che di sicuro non c'era quando mia madre era morta. Per prima cosa mi soffermai sulla cornice. Sembrava esserci e non esserci. I suoi bordi erano sfumati, incerti. L'immagine al suo interno, invece, era molto nitida. Era un volto, non c'era alcun dubbio, ma non si trattava di un volto umano. Non era molto diverso dal mio, da quello di mia sorella, o di quello di qualsiasi altra persona, ma il mio cervello mi comunicava con certezza che quel viso era estraneo, molto più alieno di un muso di un cane o di un gatto, non aveva nulla da spartire con la nostra specie. Trattenni un grido, poi mi precipitai giù per la scala.

"Anna, hai finito?" dissi a mia sorella, cercando di nascondere lo sgomento. "Dobbiamo andare".

Lei mi bloccò, afferrandomi per le spalle.

"Marco, sai una cosa?" disse, con un filo di voce. "Ho l'impressione che qui ci sia stato qualcuno".

"Che dici?"

"Forse un senzatetto, non so..."

"Ma no, non c'è stato nessuno. Si è fatto tardi..."

"Ma non dovevamo..." tentò di dire Anna.

"La prossima volta" la interruppi, sempre più agitato. "Lo faremo la prossima volta. E poi credo di avere cambiato idea. Non ho più intenzione di vendere la casa. È meglio continuare a tenerla. Che ne dici?"

"Sono d'accordo con te" disse Anna.

 

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