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mercoledì 13 marzo 2024

LA PIAZZA (5)


 

Afro ha assistito con crescente sconcerto all'evolversi degli eventi. Quando è giunto sulla piazza, dopo la camminata dall'ospedale, tutto era ancora tranquillo. Ha incontrato amici che non vedeva da tempo, colleghi, e molti compagni partigiani. È bello ritrovarsi tutti insieme in una simile circostanza, ha pensato in quel momento, e si è quasi commosso. E tutte quelle persone sono accomunate da un unico desiderio, vivere con serenità le loro esistenze, in armonia e libertà. Come tutti si è meravigliato per l'incredibile afflusso di gente, persone pacifiche che comunque hanno avuto il coraggio di sfidare il divieto delle autorità di pubblica sicurezza, proprio quelle autorità che negli ultimi tempi hanno assecondato, troppo accomodanti, le disposizioni sempre più repressive impartite dai palazzi del potere. Dopo questa giornata invece tutti dovranno ricredersi, considera Afro, perché Reggio Emilia non si piega, Reggio Emilia resiste, come già è avvenuto in passato. Quasi subito la situazione è però degenerata. Afro ha visto i fumogeni lanciati contro la folla, ha visto i poliziotti effettuare le prime cariche, ha sentito gli spari. Chi si trovava accanto a lui ha iniziato a indietreggiare, a fuggire spaventato. Quasi senza rendersene conto, Afro si è venuto a trovare isolato, proprio al centro della piazza. Il vecchio partigiano tuttavia non ha paura. È sconfortato per ciò che sta accadendo, lui si immaginava tutt'altro, ma non ha paura. Di fronte a lui adesso nota una certa concitazione. Ha appena il tempo di estrarre le mani di tasca e di notare un poliziotto che, con la pistola in mano, si accovaccia in accurata posizione di tiro. Afro sgrana gli occhi, incredulo, prima di trovarsi riverso sul selciato, prigioniero di un corpo martoriato che non sente più suo. Alcune persone lo attorniano, e riescono a cogliere le sue ultime parole. “Mi hanno voluto ammazzare, mi hanno sparato addosso come alla caccia…”

 Emilio ha compreso quasi subito che i suoi timori non erano per niente infondati. Lo ha capito appena ha messo piede sulla piazza, quando ha visto tutta quella moltitudine di persone. Attorno a lui la gente sorride, amichevole e gioiosa. Emilio tuttavia è profondamente turbato, non riesce a condividere una simile esultanza. Alla fine si è verificato esattamente ciò che lui aveva predetto: una partecipazione numerosa e imprevista di scioperanti che può rivelarsi molto pericolosa. L'operaio cerca di esprimere e di trasmettere quelle sue profonde inquietudini, quelle fondate preoccupazioni, a chi è vicino a lui, uomini e donne, agli ex-colleghi delle Officine Meccaniche Reggiane, agli attivisti sindacali. Tutti muovono le spalle, indifferenti, scuotono il capo sconsolati, alcuni addirittura lo guardano in maniera severa, esprimendo così un eloquente scetticismo, addirittura un malcelato sospetto nei suoi confronti. Emilio è avvilito e angosciato. Gesticolando, parlando da solo, raggiunge l'altro lato della piazza, nei pressi dell'isolato San Rocco. Si avvicina a un compagno del sindacato ed esprime anche a lui i suoi crescenti timori. L'altro lo ascolta distrattamente, annuisce più volte e quindi si allontana. Emilio rimane di nuovo solo, solo in mezzo a un'enorme massa di gente che non percepisce il pericolo al quale è esposta. Sconsolato, abbattuto, Emilio si limita a osservare quanto gli sta di fronte: la crescente agitazione della folla, i movimenti scomposti dei poliziotti. Fino a quando crepitano gli spari. Emilio è impietrito e ormai incapace di reagire. Il suo peggiore incubo si sta avverando, le sue paure sono cruda realtà. E quasi non si accorge della raffica di mitra che lo falcia. Crolla a terra senza un lamento. Il suo letto di morte sarà il freddo tavolo della sala operatoria.

Tratto da: Sopegno E., Sangue del nostro sangue, Torino, ilmiolibro ed., 2012

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