Afro ha assistito con
crescente sconcerto all'evolversi degli eventi.
Quando è giunto sulla piazza, dopo la camminata dall'ospedale, tutto era ancora tranquillo. Ha incontrato amici
che non vedeva da tempo, colleghi, e molti compagni partigiani. È bello ritrovarsi
tutti insieme in una simile circostanza, ha pensato in quel momento, e si è
quasi commosso. E tutte quelle persone sono accomunate da un unico desiderio,
vivere con serenità le loro esistenze, in armonia e libertà. Come tutti si è
meravigliato per l'incredibile afflusso di
gente, persone pacifiche che comunque hanno avuto il coraggio di sfidare il
divieto delle autorità di pubblica sicurezza, proprio quelle autorità che negli
ultimi tempi hanno assecondato, troppo accomodanti, le disposizioni sempre più
repressive impartite dai palazzi del potere. Dopo questa giornata invece tutti
dovranno ricredersi, considera Afro, perché Reggio Emilia non si piega, Reggio
Emilia resiste, come già è avvenuto in passato. Quasi subito la situazione è
però degenerata. Afro ha visto i fumogeni lanciati contro la folla, ha visto i
poliziotti effettuare le prime cariche, ha sentito gli spari. Chi si trovava
accanto a lui ha iniziato a indietreggiare, a fuggire spaventato. Quasi senza
rendersene conto, Afro si è venuto a trovare isolato, proprio al centro della
piazza. Il vecchio partigiano tuttavia non ha paura. È sconfortato per ciò che
sta accadendo, lui si immaginava tutt'altro, ma non ha paura.
Di fronte a lui adesso nota una certa concitazione. Ha appena il tempo di
estrarre le mani di tasca e di notare un poliziotto che, con la pistola in
mano, si accovaccia in accurata posizione di tiro. Afro sgrana gli occhi,
incredulo, prima di trovarsi riverso sul selciato, prigioniero di un corpo
martoriato che non sente più suo. Alcune persone lo attorniano, e riescono a
cogliere le sue ultime parole. “Mi hanno voluto ammazzare, mi hanno sparato
addosso come alla caccia…”
Tratto da: Sopegno E., Sangue del nostro sangue, Torino, ilmiolibro ed., 2012
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