Lauro è immobile su un
lato della piazza, con le mani in tasca, i piedi infilati nelle ciabatte di
plastica, quando avverte i primi spari. Sono esplosioni secche, un rumore
simile a quello di vecchi rami che si spezzano. Si guarda intorno, attonito e
smarrito. Incredulo per ciò che sta accadendo, si volta verso la chiesa di San
Francesco, che si trova al suo fianco. Nota, con stupore, che il portale dell'edificio è chiuso, sbarrato. Di fronte a lui, distanti non
più di venti metri, si materializzano le sagome di alcuni poliziotti. Lauro non
riesce a comprendere quali siano le loro intenzioni; li vede soltanto correre,
automi silenziosi che si muovono in mezzo a persone che urlano e scappano, e
dirigersi proprio nella sua direzione. Per un breve istante i tratti del suo
volto si rilassano alla vista di quei ragazzi che, se pure vestiti con una
divisa, non sembrano poi tanto diversi da lui. Subito dopo Lauro compie un
passo in avanti, poi un altro ancora, quando all'improvviso
prova uno strano intorpidimento al petto. Durante la frazione di secondo successiva
percepisce chiaro il crepitio rabbioso della raffica di mitra che ormai gli ha
straziato la carne. L'impatto dei proiettili
lo fa ruotare su se stesso. Appena il tempo di incrociare lo sguardo con quello
di un giovane che lo fissa a occhi sbarrati e che tenta, invano, di
sorreggerlo, e poi crolla sul sagrato della chiesa. Il sangue gli fuoriesce
copioso dalla bocca, e disperde sul lastricato ciò che rimane della sua vita. Marino
ha visto tutto. Ha assistito, impietrito e sgomento, alla tragica scena. Ha
visto i poliziotti accelerare il passo, imbracciare le mitragliette e sparare.
Infine, ha osservato quel povero ragazzo abbattersi a terra fulminato. L'uomo sente il proprio corpo ribollire, ma sa che non si
tratta di un sentimento di rabbia, bensì di profondo disgusto. Altre volte gli
è accaduto, nel corso della sua esistenza, sia quando è stato in guerra che
quando era partigiano, di essere diretto testimone di fatti tragici. Ma ora non
è preparato alla barbarie, lui è sceso in piazza per manifestare in maniera
pacifica, e l'intero suo essere si
ribella. Marino non riesce più a trattenere le proprie emozioni, i suoi occhi
si riempiono di lacrime amare. Appena si slancia oltre l'angolo della via, nel generoso tentativo di portare
soccorso al giovane colpito, è falciato a sua volta da una sventagliata di
mitra. La follia prevale, e non c'è posto per la pietà.
Chissà se i suoi carnefici hanno udito risuonare, tra tutta quella confusione,
il suo ultimo disperato grido: “Assassini!”
Tratto da: Sopegno E., Sangue del nostro sangue, Torino, ilmiolibro ed., 2012
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