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venerdì 15 marzo 2024

LA PIAZZA (6 - fine)


 

Teng-teng-teng.

Fino a un attimo prima Antonio, il giornalista, stava cantando, insieme al suo amico Giuliano e agli operai delle Officine Meccaniche Reggiane, tutti raccolti davanti al monumento ai Caduti.

Teng-teng-teng.

I proiettili frantumano le fronde degli alberi, le fanno ricadere dal cielo come coriandoli. Antonio ripone nella custodia la macchina fotografica e guarda Giuliano: nei suoi occhi coglie stupore e smarrimento. La piazza adesso è invasa dal fumo, si sentono grida di terrore e il rumore degli automezzi della polizia che iniziano i loro caroselli. Un'autobotte cerca di disperdere la folla con gli idranti. I due amici scappano e si dirigono verso l'isolato San Rocco, nei pressi del quale c'è un cantiere. Lì si trovano già altri manifestanti che stanno raccogliendo assi di legno e sassi. Altri ancora, poco distanti, stanno scagliando le seggiole prelevate dalle distese dei bar della piazza verso alcuni poliziotti. Giuliano vede che l'autobotte della polizia è circondata dalla folla e non riesce più ad avanzare. Un agente scende dal mezzo e si inginocchia a terra, prende la mira e spara in direzione dei giardini, ad altezza d'uomo. Antonio e Giuliano decidono di cercare un riparo. Fuggono verso la chiesa di San Francesco, verso le Poste. I due amici corrono, trafelati. A un tratto si imbattono nel corpo steso a terra di un manifestante. Il giornalista quasi vi inciampa. Alla fine raggiungono la sede del Gaf, il Gruppo Artigiani Fotografi, ed entrano, assieme ad altri, nell'edificio. Nell'ingresso Antonio scorge un telefono, decide di chiamare a casa, allo scopo di tranquillizzare la madre. “Come? Sei dentro? Ti hanno di nuovo arrestato?” La donna non capisce. Antonio, sempre più agitato, riattacca. Spiegherà più tardi, quando rientrerà a casa. Con Giuliano sale al primo piano. I due si affacciano da un piccolo terrazzo. Nella piazza regna una tremenda confusione. Urla disperate, e gli spari che non si placano. Proprio sotto di loro vedono un capannello di gente attorno al corpo senza vita di quello che sembra un ragazzo. Antonio, ubbidendo a un riflesso condizionato, impugna la macchina fotografica. Ma le sue mani sono scosse da un tremito irrefrenabile, la sua vista è appannata. Fulgenzio Codeluppi, un amico, anche lui sul terrazzo, comprende il dramma e gli strappa l'apparecchio dalle dita. Scatta lui la foto. Poi tutti escono di nuovo fuori. La voce proveniente da un altoparlante invita a lasciare la piazza, ripete senza sosta che la manifestazione è finita. Nessuno sembra badare a quell'appello. Qualcuno incita alle barricate, tutti sono concordi nel non abbandonare la piazza fino a quando la polizia non avrà fatto altrettanto. E cosi è. Più tardi Antonio e Giuliano decidono di recarsi all'ospedale, per avere notizie dei feriti, che devono essere tanti. Davanti al nosocomio la confusione è pazzesca. È quasi impossibile entrare nell'edificio, presidiato dalla polizia in assetto di guerra. I due amici ben presto si perdono di vista. Giuliano raggiunge la sede della Croce Verde, convince gli infermieri a caricarlo su un'ambulanza e in tal modo riesce a entrare. Antonio dapprima prova a persuadere gli agenti di guardia esibendo il suo pseudo-tesserino da giornalista, ma il suo tentativo si rivela vano. Alla fine, tuttavia, riesce a penetrare nell'ospedale in maniera fortunosa, approfittando del gran disordine, attraverso un'uscita secondaria. All'interno, ciò che vedono i due giovani è terrificante: feriti ammucchiati ai morti, corpi lacerati, irriconoscibili, ammassati uno sull'altro. Antonio, con le mani ancora tremanti, fa il segno della croce. Proprio lui, che credente non è mai stato.

I fatti narrati nel mio libro del 2012 "Sangue del nostro sangue" sono realmente avvenuti a Reggio Emilia nel 1960 (i sei post corrispondono all'ultimo capitolo del libro). Ricordo che si tratta di un evento accaduto in uno stato democratico. Il governo del tempo era un monocolore DC con appoggio esterno del MSI. Le vittime innocenti furono cinque, mentre ventuno furono i feriti da colpi di arma da fuoco. Tra le forze dell'ordine i contusi furono cinque. Il vicequestore fu assolto con formula piena e nessun altro fu condannato per l'eccidio. (N.d.A.)

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