Il suono penetrante del
campanello mi causa sempre un certo fastidio, soprattutto quando sono solo in
casa. Non oggi, però. Deve essere lei, la donna che sto aspettando, la
traduttrice.
Sono stato fortunato ad
averla trovata. Ieri, proprio a quest’ora, ero molto sconfortato.
Per vivere traduco opuscoli
di istruzioni, in particolare per una azienda di piccoli elettrodomestici che
esporta i suoi prodotti soprattutto in Nord Europa. Come mi è già accaduto altre
volte, ho sopravvalutato la mia conoscenza della lingua svedese. Possibile che
uno stupido spremi-aglio elettrico richieda così tante e dettagliate
informazioni? Ho provato e riprovato ma alla fine mi sono dovuto arrendere. Mi
sono reso conto di avere bisogno di aiuto. Ho scorso, in maniera febbrile, una
serie di annunci finché non ho scovato la persona che mi poteva essere utile.
L’ho contattata e lei ha subito accettato. È probabile che anche lei abbia la
necessità impellente di lavorare. Certo, la dovrò pagare, e il mio guadagno in
pratica si ridurrà a zero. Non importa, almeno conserverò la speranza di avere,
in futuro, altre commissioni. Conversando con lei al telefono, ho avuto
l’impressione che si trattasse di una signora di mezz’età, molto timida e
riservata. L’ho dedotto dalla sua voce sommessa, dalle sue iniziali esitazioni.
Invece, quando apro la
porta, mi trovo di fronte una donna giovane. Avrà al massimo trent’anni, ed è
molto bella. Oggi fa piuttosto caldo, e lei indossa un vestito leggero,
completamente bianco e con una profonda scollatura.
Dopo alcuni imbarazzati
convenevoli, la faccio accomodare accanto a me, di fronte al computer già
acceso, sul cui schermo c’è il testo dell’opuscolo, tradotto in malo modo.
La ragazza prende subito in
mano la situazione e dimostra grande professionalità e ottima competenza. Mi fa
notare gli errori, li corregge, mi offre dei suggerimenti.
Non posso fare a meno di
sbirciare, quando credo di non essere visto, le sue gambe abbronzate. Durante
uno di questi maldestri movimenti, i nostri sguardi per un attimo si
incrociano. Confuso, rivolgo subito gli occhi al video, ma scorgo sulle sue
labbra un lieve sorriso.
Il lavoro procede spedito. A
un certo punto, nell’impeto di una spiegazione, lei appoggia la sua mano sulla
mia, e guida le mie dita sul mouse. L’intero mio corpo è percorso da una
scarica elettrica. La ragazza non se ne avvede e si avvicina ancora di più a
me. Osservo i nostri avambracci nudi aderire, uno sull’altro, e ciò mi provoca
un indicibile turbamento. Quasi trattengo il respiro. Vorrei che questo momento
durasse per l’eternità. Confesso che in tutta la mia vita non ho mai assistito
a un gesto di tale sensualità. Lei non si scosta. Sento il suo corpo aderire
sempre di più al mio. Coscia contro coscia, fianco contro fianco, spalla contro
spalla. La visione ravvicinata della sua spalla, nuda, bruna e rotonda,
accelera i battiti del mio cuore. Ormai percepisco il suo profumo, il suo
odore, e non so dire quale dei due effluvi sia più inebriante. Non riesco più a
distinguere le parole che lei continua ad articolare, in apparenza del tutto
indifferente alla mia profonda e visibile agitazione.
Mi rendo conto che devo fare
qualcosa, devo almeno dire qualcosa. Che cosa mi sta accadendo?
“Scusa, non ti ho neppure
chiesto come ti chiami, conosco soltanto il tuo cognome” pronuncio con un filo
di voce. Una voce che non riconosco, tanto è diversa dalla mia.
Lei ritira il braccio, la
sua pelle dorata mi sfiora le narici ed io aspiro, estasiato. Poi mi guarda,
senza parlare.
“Giovanna? Ti chiami forse
Giovanna?” azzardo a caso, in preda a un crescente nervosismo. O all’angoscia?
Ancora un leggero sorriso da
parte sua, dolce e invitante. Poi scrolla le spalle.
“È un bel nome, ma non è il
mio” dice.
Non oso insistere, perché
temo che l’attimo magico svanisca. Ma ormai non riesco più a controllarmi. Non
sono più me stesso. Con un sospiro inconsapevole, abbandono la mia fronte
accaldata sull’incavo del suo collo. Un gesto inspiegabile, lo so, non da me, e
che esprime tutta la mia disperazione. Attendo rassegnato la sua brusca
replica, che invece non c’è. Lei non si muove, e non dice nulla. Soltanto il
suo respiro accelera, in maniera impercettibile.
Colto da un accesso di
autentica follia, chiudo gli occhi e infilo una mano nella scollatura del suo
vestito. Accarezzo delicatamente la sua pelle liscia e calda, sempre più calda.
Avverto un fremito da parte sua. Il suo corpo che reagisce.
Dopo usciamo. Il cielo è
grigio, l’afa è aumentata. Sta per piovere, e sarà una pioggia tiepida.
Non ha voluto rivelarmi il
suo nome. Ha detto che non devo più chiamarla. Nel caso, lo farà lei, al
momento opportuno. Mi ha invitato a casa sua, in montagna, alla fine
dell’estate. Fra tre mesi. Ho acconsentito a tutte le sue richieste. Sono
ancora intontito e confuso, completamente disorientato.
Mi ha permesso di
accompagnarla per un tratto di strada. Camminiamo senza parlare, affiancati,
nella città deserta. A un certo punto mi fa cenno di fermarmi. Ubbidisco senza
domandare nulla. Senza più voltarsi, lei attraversa la strada e raggiunge una
vecchia Vespa celeste. Indossa il casco, avvia il motore e parte. Senza più
voltarsi, senza più un saluto.
Rimango immobile sul
marciapiede per lungo tempo. Poi ritorno sui miei passi, verso casa.
Una casa che adesso è piena
di gente. Si tratta di amici di mio fratello. Scorgo lui, gli vorrei raccontare
ciò che mi è accaduto. Ma lo vedo distratto, completamente immerso
nell’adempimento dei suoi doveri di ospitalità, e allora rinuncio.
Mi chiudo nella mia stanza e
mi stendo sul letto sfatto. Ho bisogno di pensare, ho la necessità di
riflettere. E di ricordare.
Nessun commento:
Posta un commento