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martedì 14 ottobre 2025

BARBA E CAPELLI


Sono dal parrucchiere e sto aspettando il mio turno. Lo sguardo si posa sul ragazzino seduto sulla poltrona, che con un'espressione seria e una grande sicurezza sta spiegando all'acconciatore il taglio desiderato. Con una gestualità propria di una persona adulta, descrive in maniera minuziosa ogni sfumatura, ogni lunghezza, facendo persino riferimento a calciatori e personaggi dello spettacolo per farsi capire meglio.

E mentre il parrucchiere, un po' confuso, cerca di tradurre in realtà quelle complesse istruzioni, un sorriso malinconico mi si dipinge sul volto. Ai miei tempi non era così. Il cliente, che fosse un ragazzino o un adulto, non aveva diritto di parola. Il taglio era una decisione unilaterale del barbiere. Il professionista era lui, e non tollerava ingerenze nel suo mestiere.

La mia mente vaga indietro nel tempo. A Battista, il mio primo e unico barbiere non del Meridione. Era un uomo d'altri tempi, con mani svelte e una lingua ancora più veloce. Tagliava i capelli in dieci minuti, usando soltanto le forbici, e il suo salone era sempre pieno, con gente che attendeva il proprio turno per ore. Si parlava solo di calcio, si compilavano le schedine per le partite della domenica, si respirava un'aria di autentica mascolinità. Alla fine dell'anno, fedele a un'antica tradizione, Battista distribuiva a tutti, anche ai ragazzini, il suo calendario profumato con le foto di donne discinte.

Battista si arrabbiava e si offendeva se qualcuno osava chiamarlo "parrucchiere". Quel termine, a suo parere, metteva in dubbio la sua virilità. Lui era un barbiere, e basta. Ricordo quando, in estate, veniva a casa per tagliare i capelli e fare la barba al mio bisnonno. Prendeva una sedia e la sistemava in mezzo al cortile.

"Così non sporchiamo dentro" diceva. In poco tempo, l'intero vicinato si accorgeva della sua presenza e accorreva per un rapido servizio. A volte, Battista trascorreva l'intera mattinata in quel cortile, trasformando un semplice taglio di capelli in un momento di comunità.

Quando Battista andò in pensione, mi toccò scegliere un nuovo barbiere. Fu Salvatore, un azzimato siciliano che più che tagliare i capelli sembrava interessato a corteggiare con eleganza e discrezione le madri dei suoi piccoli clienti. Si trattò di una meteora, perché dopo poco tempo si trasferì altrove. Chissà se la sua scelta di vita fu favorita da qualche marito un po' scontento.

Poi venne Cosimo, un simpatico e ironico pugliese con la battuta pronta. Il dramma, però, era quando andava in ferie. L'estate non si poteva resistere alle pressioni dei parenti.

"Fa caldo, si suda, devi andare dal parrucchiere" consigliavano con fermezza i genitori.

"Sembri un cappellone" diceva mio nonno scuotendo la testa con disgusto.

La scelta era limitata. Nella vicina cittadina c'erano due fratelli, Ciro e Pasquale, ognuno con il proprio salone. Quello di Ciro era più elegante, frequentato da professionisti e ricchi commercianti. C'ero stato una sola volta, e mi ero sentito a disagio. Pasquale, il fratello, era dunque la scelta obbligata. Il suo salone era modesto, con arredi molto vecchi, i suoi clienti erano soprattutto ragazzini e anziani. Lui offriva solo due tipi di taglio: capelli lunghi o corti. Per "lunghi" si riferiva a un taglio a spazzola, tipo marine, mentre per "corti" intendeva rasati a zero. Scegliere tra le due proposte era come decidere se buttarsi dal decimo piano o dal nono.

Mi scuoto dai miei pensieri, da ricordi che, dopo tanti anni, hanno acquisito una malinconica dolcezza. Il rumore metallico delle forbici e il vociare del salone mi riportano al presente. È finalmente arrivato il mio turno. Mi accomodo sulla poltrona di Carmelo, che con la sua solita gentilezza mi rivolge la consueta e fatidica domanda.

"Come li facciamo?" Subito dopo inizia a propormi alcuni tipi di taglio ma, come sempre, io lo blocco.

"Facciamoli corti" dico.

Carmelo annuisce e sorride. 


 


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