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lunedì 1 luglio 2013

OCCUPAZIONE


“Dove sono i ragazzi?” dice l’uomo. “Possibile che tutte le sere è la stessa storia? È ora di cenare e loro spariscono!”
La moglie lo guarda, scuote la testa e interviene.
“Tu intanto siediti, io li vado a chiamare. Nadia sta facendo i compiti e Francesco, come sempre, sarà al telefono” risponde calma. Poi esce.
L’uomo allora accende il televisore e si accomoda a tavola. Si versa un bicchiere di vino. Poi rivolge lo sguardo allo schermo. E lo vede. È lui, non ci sono dubbi, è proprio l’atleta che il giorno prima l’ha entusiasmato. Sandro Mazzinghi fissa la telecamera. E il primo piano è impietoso. Il suo volto appare devastato. Spiccano sulla pelle tagli ed ecchimosi di ogni genere. Ha un grosso cerotto sul sopracciglio destro. Nei suoi occhi si può ancora leggere, anche a distanza di un giorno, stanchezza e sofferenza. Ma anche felicità. Ce l’ha fatta. Si è ripreso il titolo di campione del mondo dei pesi Medi Junior. L’intervistatore cerca di farlo parlare. E lui risponde.
“Kim è un pugile durissimo, un grande campione ma grazie alla mia tenacia sono riuscito a strappargli il titolo” dice con voce sottile.
“È stata un’impresa difficile?” domanda il giornalista.
“Sì” replica il pugile. “ Ho dato tutto me stesso, ma ne è valsa la pena. Sarei morto piuttosto che far tornare il titolo in Corea.” E il servizio termina su queste parole.
Compare in sala da pranzo una ragazzina. Non ha più di dieci anni ed è molto graziosa. I capelli sono raccolti in due lunghe trecce e i suoi occhi sono verdi.
“Nadia, sbrigati.” Dice il padre. “Dov’è tuo fratello?”
“Francesco non vuole farmi entrare in camera sua!” si lamenta la bambina. “Ed è sempre più antipatico e cattivo!”
“Tuo fratello è grande, devi lasciarlo stare.”
“Lui non vuole mai fare nulla con me!”
“Adesso stai zitta e mangia” ordina l’uomo in tono brusco.
Finalmente arrivano anche madre e figlio.
“Francesco! Guarda che il telefono costa.”
“Scusa papà, ma è stata una chiamata breve. A Gianni.”
Francesco è un ragazzo alto e magro, e porta i capelli lunghi. È vestito con una camicia grigia e un paio di vecchi jeans. E scarpe di gomma. Si avvicina al tavolo, prende una fetta di salame e un pezzo di pane.
“Non ti siedi?” domanda il padre.
“No, ho fretta, devo andare. Mi aspettano a scuola.”
“A scuola? A quest’ora?”
“Papà! Lo sai che abbiamo l’occupazione! Dobbiamo fare i turni.”
“Dobbiamo? E chi ve lo ordina?” chiede l’uomo, ironico.
La moglie gli lancia un’occhiata.
“Nessuno” dice il ragazzo. “Abbiamo intrapreso questa lotta e intendiamo continuare, cerca di capire.”
“Lotta? E questa sarebbe una lotta? Io ho lottato! Ho fatto il partigiano, e se adesso sei libero ti fare ciò che vuoi un po’ di merito è anche mio.” Il tono di voce si è alzato.
“Papà, riconosco i tuoi meriti” cerca di spiegare Francesco. “Ma è giusto che ognuno viva il proprio tempo. In questo momento c’è un profondo malessere sociale. Lo sviluppo economico, nel nostro paese, non è stato accompagnato da un adeguato sviluppo delle condizioni di benessere delle classi più povere. Noi combattiamo per ridurre tale disparità.”
“Bravo! Parli come un libro stampato. Politica, tutto si riduce alla politica. Se ti vuoi davvero impegnare in questo campo, non hai che da andare in sezione e prendere la tessera. Ti basta dire che sei il figlio del compagno Paglia, il comandante Furio.”
“Non cominciamo a parlare di guerra” dice la donna, sconsolata.
“Io frequento l’università” riprende il ragazzo. “E quindi voglio occuparmi dei problemi dell’istruzione. A mio parere, il diritto allo studio deve essere esteso anche ai giovani di condizione economica disagiata, e ho intenzione di lottare per questo, insieme ai miei compagni. E per fare ciò devo sfruttare questo momento, quest’epoca che rappresenta il rasoio che separerà per sempre il presente dal passato.”
“Quanto sei sprovveduto, figlio mio! Ricordati bene ciò che ti dico adesso: tra dieci anni ci sarà qualche altro giovane che affermerà le tue stesse cose, e anche lui non riuscirà a ottenere nulla.”
“Papà, fammi almeno provare” dice Francesco. “Tu l’hai fatto, e non ti sei pentito. Adesso però devo proprio andare. Ciao màma!”
“Nadia?”
“Sì?” risponde speranzosa la ragazzina al fratello.
“Brutta!” E Francesco esce da casa di corsa. Ed è subito in strada.  
Bergamo, di sera, è ancora più bella. Le viuzze, strette e ombrose, fiocamente illuminate, donano alla città alta un fascino antico. Francesco cammina a passo svelto. L’aria è frizzante, anche se è fine aprile, e il giubbotto, che sarebbe stato utile, è rimasto a casa, scordato. Il ragazzo oltrepassa il parco, buio e silenzioso, percorre via Donizetti che, dopo l’incrocio, diventa via dell’Arena. Nonostante sia ancora presto, in giro incontra solo poche e frettolose persone. Adesso imbocca, alla sua destra, il piccolo vicolo San  Salvatore. Di fronte, si intravede l’imponente struttura del Seminario Vescovile. Ancora una deviazione, l’ultima, verso Piazza Vecchia, dove sorge il palazzo del Podestà, la sede dell’università. Francesco entra nell’edificio. I lunghi corridoi sono bui, appena rischiarati dalla scarsa luce che filtra dalla porta socchiusa di qualche aula. Alcuni studenti, da soli o in gruppo, ciondolano qua e là, simili a tanti spettri. Alla fine, il ragazzo accede a una vasta sala, l’unica che sembra veramente animata. All'interno sono presenti una ventina di persone. L’ambiente è saturo di fumo e l’aria è pesante. In un angolo, da sola, è seduta una ragazza. Capelli neri e crespi, spettinati, labbra rosse. Indossa un maglione sformato e dei jeans stinti. Ai piedi, le solite Clarks blu. La giovane ha un’aria distratta e annoiata e sta fumando.
“Chiara!” dice Francesco, e si dirige da lei.
“Ciao” risponde la ragazza, senza voltarsi.
“Scusa il ritardo. Sai, la solita piccola discussione con mio padre.”
Lei annuisce.
“E Gianni?”
“Boh! Prima era qui, ma poi è sparito” risponde lei, laconica.
“Che cosa stanno facendo?” domanda Francesco. “Qual è l’argomento?”
Chiara finalmente si volta. Lo guarda per un attimo. Poi lo bacia, con naturalezza.
“Arte come contestazione della società capitalistica” annuncia. “Interessante no?” Sul suo bel volto si disegna un sorriso carico d’ironia.
“Beh… insomma…”
Un ragazzo sta parlando. Serio, concentrato. Scandisce bene le parole, e tutti lo ascoltano rapiti. Tra le mani tiene un libro aperto.
“Il prodotto artistico, per avere una sua fruibilità, deve essere gradevole, cioè omologo al sistema. Capirete che questo pone un grosso limite all’attività dell’artista” dice. Poi sospira, riprende fiato e prosegue.
“Sentite cosa afferma Adorno.” E legge dal testo.
“La cultura che, conforme al suo senso, non solo obbediva agli uomini, ma continuava anche a protestare contro la condizione di sclerosi nella quale essi vivono e, in tal modo per la sua assimilazione totale agli uomini, faceva a essi onore, oggi si trova invece integrata a quella stessa condizione di sclerosi; così contribuisce ad avvilire gli uomini ancora di più.” Pausa.
“Allora, che cosa ne pensate? Vogliamo aprire una discussione?” chiede l’oratore.
“In fondo si tratta di un tema interessante, anche se piuttosto complesso” dice Francesco rivolto a Chiara. Non ha capito nulla, in verità.
“A me sembra un po’ noioso. Senti, io vado in bagno e a fare due passi, poi ci rivediamo qui” dice la ragazza.
“D’accordo, a dopo.” Chiara si alza ed esce dall’aula.
Il tempo trascorre in fretta, tra un intervento e l’altro. A un certo punto i ragazzi, spossati, decidono di porre fine al dibattito. Si separano e ognuno di loro va alla ricerca di una sistemazione per la notte. Un qualsiasi sacco a pelo in una qualsiasi aula. Francesco è l’ultimo a uscire. Chiara non è tornata. Decide di andarla a cercare. Si alza in piedi e si accorge di avere fame. Forse avrebbe fatto bene a cenare, pensa. Adesso, dovrà cercare di resistere fino al mattino. La notte, come sempre, sarà lunga. Il ragazzo cammina, ogni tanto entra in un’aula, cerca di distinguere nella penombra la snella e minuta figura di Chiara, ma la sua ricerca non dà frutti. Poi, proprio nell’ultimo piccolo locale, finalmente la vede. È stesa su una coperta, insieme a un’altra persona. Gianni, il suo amico Gianni. Lui sembra assopito. La ragazza lo accarezza, prima sul viso, poi sul petto. Lentamente, con dolcezza. Francesco è impietrito, non sa che cosa fare, che cosa pensare. È sulla soglia e, proprio mentre decide di andarsene, Chiara lo nota. E gli sorride.
“Francesco! Vieni. Ti stavo aspettando. Non me la sono più sentita di tornare, ero stanca” dice, tranquilla.
Il ragazzo la fissa, inebetito.
“Che cosa c’è?” dice lei, e guarda Gianni, che sta continuando a dormire. “Non sarai mica geloso del tuo amico? Lo sai che ti voglio bene!”
Francesco si sforza di dire qualcosa. È addolorato. E confuso.
“Ma… tu e lui…” balbetta.

“Anche a lui voglio molto bene.”

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