“Dove sono i ragazzi?”
dice l’uomo. “Possibile che tutte le sere è la stessa storia? È ora di cenare e
loro spariscono!”
La moglie lo guarda,
scuote la testa e interviene.
“Tu intanto siediti, io
li vado a chiamare. Nadia sta facendo i compiti e Francesco, come sempre, sarà
al telefono” risponde calma. Poi esce.
L’uomo allora accende
il televisore e si accomoda a tavola. Si versa un bicchiere di vino. Poi
rivolge lo sguardo allo schermo. E lo vede. È lui, non ci sono dubbi, è proprio
l’atleta che il giorno prima l’ha entusiasmato. Sandro Mazzinghi fissa la
telecamera. E il primo piano è impietoso. Il suo volto appare devastato.
Spiccano sulla pelle tagli ed ecchimosi di ogni genere. Ha un grosso cerotto
sul sopracciglio destro. Nei suoi occhi si può ancora leggere, anche a distanza
di un giorno, stanchezza e sofferenza. Ma anche felicità. Ce l’ha fatta. Si è
ripreso il titolo di campione del mondo dei pesi Medi Junior. L’intervistatore
cerca di farlo parlare. E lui risponde.
“Kim è un pugile durissimo,
un grande campione ma grazie alla mia tenacia sono riuscito a strappargli il
titolo” dice con voce sottile.
“È stata un’impresa
difficile?” domanda il giornalista.
“Sì” replica il pugile.
“ Ho dato tutto me stesso, ma ne è valsa la pena. Sarei morto piuttosto che far
tornare il titolo in Corea.” E il servizio termina su queste parole.
Compare in sala da
pranzo una ragazzina. Non ha più di dieci anni ed è molto graziosa. I capelli
sono raccolti in due lunghe trecce e i suoi occhi sono verdi.
“Nadia, sbrigati.” Dice
il padre. “Dov’è tuo fratello?”
“Francesco non vuole
farmi entrare in camera sua!” si lamenta la bambina. “Ed è sempre più antipatico
e cattivo!”
“Tuo fratello è grande,
devi lasciarlo stare.”
“Lui non vuole mai fare
nulla con me!”
“Adesso stai zitta e
mangia” ordina l’uomo in tono brusco.
Finalmente arrivano
anche madre e figlio.
“Francesco! Guarda che
il telefono costa.”
“Scusa papà, ma è stata
una chiamata breve. A Gianni.”
Francesco è un ragazzo
alto e magro, e porta i capelli lunghi. È vestito con una camicia grigia e un
paio di vecchi jeans. E scarpe di gomma. Si avvicina al tavolo, prende una
fetta di salame e un pezzo di pane.
“Non ti siedi?” domanda
il padre.
“No, ho fretta, devo
andare. Mi aspettano a scuola.”
“A scuola? A
quest’ora?”
“Papà! Lo sai che
abbiamo l’occupazione! Dobbiamo fare i turni.”
“Dobbiamo? E chi ve lo
ordina?” chiede l’uomo, ironico.
La moglie gli lancia
un’occhiata.
“Nessuno” dice il
ragazzo. “Abbiamo intrapreso questa lotta e intendiamo continuare, cerca di
capire.”
“Lotta? E questa
sarebbe una lotta? Io ho lottato! Ho fatto il partigiano, e se adesso sei
libero ti fare ciò che vuoi un po’ di merito è anche mio.” Il tono di voce si è
alzato.
“Papà, riconosco i tuoi
meriti” cerca di spiegare Francesco. “Ma è giusto che ognuno viva il proprio
tempo. In questo momento c’è un profondo malessere sociale. Lo sviluppo
economico, nel nostro paese, non è stato accompagnato da un adeguato sviluppo
delle condizioni di benessere delle classi più povere. Noi combattiamo per
ridurre tale disparità.”
“Bravo! Parli come un
libro stampato. Politica, tutto si riduce alla politica. Se ti vuoi davvero
impegnare in questo campo, non hai che da andare in sezione e prendere la
tessera. Ti basta dire che sei il figlio del compagno Paglia, il comandante
Furio.”
“Non cominciamo a parlare
di guerra” dice la donna, sconsolata.
“Io frequento
l’università” riprende il ragazzo. “E quindi voglio occuparmi dei problemi
dell’istruzione. A mio parere, il diritto allo studio deve essere esteso anche
ai giovani di condizione economica disagiata, e ho intenzione di lottare per
questo, insieme ai miei compagni. E per fare ciò devo sfruttare questo momento,
quest’epoca che rappresenta il rasoio che separerà per sempre il presente dal
passato.”
“Quanto sei
sprovveduto, figlio mio! Ricordati bene ciò che ti dico adesso: tra dieci anni
ci sarà qualche altro giovane che affermerà le tue stesse cose, e anche lui non
riuscirà a ottenere nulla.”
“Papà, fammi almeno provare”
dice Francesco. “Tu l’hai fatto, e non ti sei pentito. Adesso però devo proprio
andare. Ciao màma!”
“Nadia?”
“Sì?” risponde
speranzosa la ragazzina al fratello.
“Brutta!” E Francesco
esce da casa di corsa. Ed è subito in strada.
Bergamo, di sera, è
ancora più bella. Le viuzze, strette e ombrose, fiocamente illuminate, donano
alla città alta un fascino antico. Francesco cammina a passo svelto. L’aria è
frizzante, anche se è fine aprile, e il giubbotto, che sarebbe stato utile, è
rimasto a casa, scordato. Il ragazzo oltrepassa il parco, buio e silenzioso,
percorre via Donizetti che, dopo l’incrocio, diventa via dell’Arena. Nonostante
sia ancora presto, in giro incontra solo poche e frettolose persone. Adesso
imbocca, alla sua destra, il piccolo vicolo San Salvatore. Di fronte, si intravede l’imponente
struttura del Seminario Vescovile. Ancora una deviazione, l’ultima, verso
Piazza Vecchia, dove sorge il palazzo del Podestà, la sede dell’università. Francesco
entra nell’edificio. I lunghi corridoi sono bui, appena rischiarati dalla
scarsa luce che filtra dalla porta socchiusa di qualche aula. Alcuni studenti,
da soli o in gruppo, ciondolano qua e là, simili a tanti spettri. Alla fine, il
ragazzo accede a una vasta sala, l’unica che sembra veramente animata. All'interno
sono presenti una ventina di persone. L’ambiente è saturo di fumo e l’aria è
pesante. In un angolo, da sola, è seduta una ragazza. Capelli neri e crespi,
spettinati, labbra rosse. Indossa un maglione sformato e dei jeans stinti. Ai
piedi, le solite Clarks blu. La giovane ha un’aria distratta e annoiata e sta
fumando.
“Chiara!” dice
Francesco, e si dirige da lei.
“Ciao” risponde la
ragazza, senza voltarsi.
“Scusa il ritardo. Sai,
la solita piccola discussione con mio padre.”
Lei annuisce.
“E Gianni?”
“Boh! Prima era qui, ma
poi è sparito” risponde lei, laconica.
“Che cosa stanno
facendo?” domanda Francesco. “Qual è l’argomento?”
Chiara finalmente si
volta. Lo guarda per un attimo. Poi lo bacia, con naturalezza.
“Arte come
contestazione della società capitalistica” annuncia. “Interessante no?” Sul suo
bel volto si disegna un sorriso carico d’ironia.
“Beh… insomma…”
Un ragazzo sta
parlando. Serio, concentrato. Scandisce bene le parole, e tutti lo ascoltano
rapiti. Tra le mani tiene un libro aperto.
“Il prodotto artistico,
per avere una sua fruibilità, deve essere gradevole, cioè omologo al sistema.
Capirete che questo pone un grosso limite all’attività dell’artista” dice. Poi
sospira, riprende fiato e prosegue.
“Sentite cosa afferma
Adorno.” E legge dal testo.
“La cultura che,
conforme al suo senso, non solo obbediva agli uomini, ma continuava anche a
protestare contro la condizione di sclerosi nella quale essi vivono e, in tal
modo per la sua assimilazione totale agli uomini, faceva a essi onore, oggi si
trova invece integrata a quella stessa condizione di sclerosi; così contribuisce
ad avvilire gli uomini ancora di più.” Pausa.
“Allora, che cosa ne
pensate? Vogliamo aprire una discussione?” chiede l’oratore.
“In fondo si tratta di
un tema interessante, anche se piuttosto complesso” dice Francesco rivolto a
Chiara. Non ha capito nulla, in verità.
“A me sembra un po’
noioso. Senti, io vado in bagno e a fare due passi, poi ci rivediamo qui” dice
la ragazza.
“D’accordo, a dopo.”
Chiara si alza ed esce dall’aula.
Il tempo trascorre in
fretta, tra un intervento e l’altro. A un certo punto i ragazzi, spossati,
decidono di porre fine al dibattito. Si separano e ognuno di loro va alla
ricerca di una sistemazione per la notte. Un qualsiasi sacco a pelo in una
qualsiasi aula. Francesco è l’ultimo a uscire. Chiara non è tornata. Decide di
andarla a cercare. Si alza in piedi e si accorge di avere fame. Forse avrebbe
fatto bene a cenare, pensa. Adesso, dovrà cercare di resistere fino al mattino.
La notte, come sempre, sarà lunga. Il ragazzo cammina, ogni tanto entra in
un’aula, cerca di distinguere nella penombra la snella e minuta figura di Chiara,
ma la sua ricerca non dà frutti. Poi, proprio nell’ultimo piccolo locale,
finalmente la vede. È stesa su una coperta, insieme a un’altra persona. Gianni,
il suo amico Gianni. Lui sembra assopito. La ragazza lo accarezza, prima sul
viso, poi sul petto. Lentamente, con dolcezza. Francesco è impietrito, non sa
che cosa fare, che cosa pensare. È sulla soglia e, proprio mentre decide di
andarsene, Chiara lo nota. E gli sorride.
“Francesco! Vieni. Ti
stavo aspettando. Non me la sono più sentita di tornare, ero stanca” dice,
tranquilla.
Il ragazzo la fissa,
inebetito.
“Che cosa c’è?” dice
lei, e guarda Gianni, che sta continuando a dormire. “Non sarai mica geloso del
tuo amico? Lo sai che ti voglio bene!”
Francesco si sforza di
dire qualcosa. È addolorato. E confuso.
“Ma… tu e lui…”
balbetta.
“Anche a lui voglio
molto bene.”
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