Iniziai a provare
quella strana sensazione di soffocamento ai tempi della scuola. Prima non mi
era mai accaduto. Sì, a volte leggevo nella sguardo di mia madre qualcosa che,
pur bambino, riuscivo già a interpretare come preoccupazione, ma non vi
attribuivo eccessivo peso. Ero ancora spensierato, trascorrevo tutto il mio
tempo a giocare e a cercare di divertirmi. Ero disincantato.
Fu proprio la scuola a
rovinare tutto. Già dopo il primo giorno mi attanagliò la paura di arrivare
tardi. Tenevo sempre d’occhio l’orologio, che da poco avevo imparato a
consultare, aspettavo con grande apprensione il bus che mi avrebbe condotto a
scuola, trepidando se tardava anche di un solo minuto. Arrivai sempre puntuale.
E poi avevo il terrore di essere interrogato, di fare brutta figura, per questo
ho sempre studiato più di tutti gli altri. Per ciò sono stato sempre il più bravo.
Così come mi coglieva il batticuore già due giorni prima del compito in classe
di matematica. Non riuscivo più a dormire e perdevo l’appetito. È vero, non ho
mai fallito una prova ma da allora ho sempre odiato i numeri.
Durante quasi tutta la mia
esistenza sono sempre stato accompagnato dall’ansia. E' stato così fin da ragazzo, quando le
insicurezze legate all’adolescenza erano amplificate a dismisura dalle continue
angosce. Dal timore di non essere all’altezza delle aspettative altrui, dalla paura di non
essere accettato dagli amici e dai continui tentennamenti riguardo alle azioni da
intraprendere. Crescendo, a causa dei miei perenni affanni, in amore sono stato un
disastro. Ho sempre fallito. Mi seguiva l’apprensione, e mai riuscivo a
manifestare in pieno i miei sentimenti. E che dire della continua inquietudine
provata di fronte alle mie compagne di vita? Avevo il terrore di essere
lasciato, abbandonato, e ciò puntualmente si verificava, facendo così aumentare
ancora di più la sfiducia nei confronti di me stesso. Una permanente condizione
di affanno in grado di annientarmi e di impedirmi di vivere. Un’inquietudine
terribile che mi ha impedito di realizzarmi sul lavoro. Era sempre troppo
grande la paura di sbagliare, tale da bloccarmi, e le mie reali attitudini non
sono mai emerse, ho trascorso quarant’anni in una zona grigia. Nessuno si è
accorto di me quando ho lasciato il lavoro. In seguito le cose non sono affatto
migliorato. A ogni fine mese temo che non mi arrivi la pensione. Sono convinto
che prima o poi questo accadrà, e ciò non mi permette di vivere sereno.
Trascorro i miei giorni attendendo la morte. La certezza della fine dell’esistenza
rappresenta per molti individui una sicurezza, tanto che si finisce per non
pensarci. Per me non è così. Vivo il mio ultimo tempo nel turbamento più
assoluto, perché non so come morirò, e soprattutto non conosco quando ciò
avverrà. È il mio unico pensiero, tutto il resto non mi interessa più. L’angoscia
è continua e tale che, a volte, credo che potrei morire proprio in questo
momento, all’improvviso, a causa di queste mie torbide e insistite riflessioni.
Sarebbe il conforto che da sempre sto cercando e che non ho mai trovato.
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