L’uomo è in piedi in mezzo alla stanza situata
al piano terra e che si affaccia su un misero cortile. Qualche istante prima ha
bussato ed è entrato. Nessuno gli ha detto: “Avanti”. E lui non l’ha ritenuto
necessario, perché è il padrone. Il proprietario di quella spoglia abitazione.
Il suo affittuario è seduto con la famiglia attorno a un tavolo da cucina. Stanno
cenando. Quattro paia di occhi scuri lo fissano con intensità. Il lieve senso
di disagio è presto superato. L’uomo si toglie il cappello e lo trattiene tra
le mani. È vestito in maniera elegante, anche se nella sua alta figura c’è un
qualcosa di stonato. Gli abiti stessi, forse. Il cappotto di lana pesante. La
giacchetta troppo stretta e dalla tinta sgargiante, i pantaloni di stoffa
lucida e troppo abbondanti. Oppure lo è il suo portamento. O la testa, dalla
forma irregolare e incassata tra le spalle. I piedi piatti e le mani enormi. La
donna, dal corpo minuto e dall’espressione seria, si alza. Senza pronunciare
una sola parola apre lo sportello di vetro della vicina credenza e prende un
bicchiere. Lo osserva a lungo in controluce, con grande attenzione, poi lo
strofina con un panno pulito, dedicandosi in particolare ai bordi. Lo posa sul
tavolo. Rivolge un’occhiata d’intesa al corpulento marito che, pronto, impugna
il bottiglione del vino.
“No, grazie. Non bevo” dice l’ospite, con voce
sottile ma ferma. E non aggiunge altro. Si limita a osservare. La camera appare
buia e disadorna. Soltanto il vecchio caminetto, con il fuoco acceso e
scoppiettante, contribuisce a rendere meno triste l’ambiente. Non meno freddo,
tuttavia. Ora l’uomo indugia con lo sguardo sui due ragazzi. Salvo, il più
giovane, ricambia l’occhiata in un modo che pare quasi volerlo sfidare. Lui e
il mondo intero. La sua espressione è dura e ostile. La ragazza, Rosetta,
abbassa invece gli occhi. È imbarazzata, dalla situazione e da se stessa. Dal
suo corpo, che l’uomo fissa con insistenza e sfrontatezza. Con un movimento
lento la giovane porta le mani al petto, proprio dove la stoffa del vestito è
più tesa e non riesce a celare, come lei vorrebbe, le morbide forme che da un
po’ di tempo non sono più acerbe.
“Siete qui per l’affitto?” chiede finalmente il
capofamiglia, rompendo il pesante silenzio. “È presto. Non è ancora scaduto.”
“Lo so” risponde il padrone di casa, con
insofferenza.
“E allora?”
“Siete in quattro. Una bella famigliola, ma
avete poco spazio. Come riuscite a dormire tutti in una sola camera? E poi
quella stanza di sopra è molto fredda. E la scala esterna…”
L’altro si sforza di rimanere calmo.
“Che cosa volete?” domanda, interrompendo. La
sua voce si alza di tono. Involontariamente.
“Ve l’ho mai detto? Da queste parti, fino a
poco tempo fa, nessuno voleva affittare case ai meridionali. Di sicuro ne
avrete sentito parlare. Comunque, voi siete stati fortunati. Avete incontrato
me. Ed io non bado a queste cose. Sono stupidaggini e poi mica sono razzista.
Ci si incontra, ci si mette d’accordo sul prezzo e via! Senza stare a guardare
da dove viene uno e da dove viene l’altro.”
L’uomo, quasi compiaciuto del proprio eloquio,
si interrompe un istante. Appoggia il cappello sul tavolo, sfrega tra loro le
mani nodose e subito prosegue.
“E i ragazzi, come vanno i ragazzi a scuola?”
Poi si rivolge a Salvo. “Tu, che classe fai quest’anno?”
“Quinta elementare” risponde pronto il
ragazzino, senza alcuna esitazione.
Lo sguardo si sposta su Rosetta. La scruta con
grande attenzione.
“E tu, bella ragazza?
La giovane arrossisce e non risponde.
“Terza media” dice la madre, al posto suo.
“Bravi! Eh… come crescono ‘sti figli!” si
compiace l’uomo, con falsa giovialità.
“Cosa siete venuto a fare?” lo gela l’operaio.
Il suo interlocutore, di colpo, diventa serio.
I lineamenti del suo viso si contraggono.
“Dovete andare via” sentenzia.
“Come?”
“Avete capito bene. Dovete lasciare la casa.
Sono passato ad avvisarvi, per darvi il necessario preavviso. Mi serve quest’abitazione,
al più presto. Per mio nipote. Si sposa. Anzi, si deve sposare per forza,
comprendete vero? Di conseguenza intendo ristrutturare tutto e non posso certo
perdere tempo.”
“Non potete farci questo!” sbotta l’inquilino,
incredulo. Si volta e sputa in direzione del fuoco. Salvo e Rosetta scambiano
un’occhiata. I loro volti esprimono incredulità e sgomento. La loro madre tiene
le mani giunte, in posa di muta preghiera.
“Mi dispiace, ma ne sono costretto. Vi do un
mese di tempo” ribadisce l’uomo.
“Dove andremo?”
La faccia del padrone di casa si trasforma in
una maschera beffarda. Ammicca.
“Ho saputo che avete acquistato una casa” dice.
“Che cosa volete, qui in paese alla fine si viene a sapere qualsiasi cosa.”
“Ma non è una casa! È solo un rudere. Ho intenzione
di sistemarlo un poco per volta. Occorreranno anni! E tanti soldi” dice con
amarezza l’operaio.
“Non dica così! Lei è un bravo muratore. Faccia
in questo modo: si fa aiutare da questo ragazzo, che mi sembra bello robusto, o
da qualche parente, e comincia a rendere subito abitabile una stanza o due,
poi… col tempo…”
“Ma l’acqua, e la luce… non c’è nulla! Mannaia!”
“Calma. E mi ascolti. Poiché siete brava gente
e avete sempre pagato il fitto con puntualità, vi voglio aiutare. Vi concederò
due mesi di tempo invece di uno ma poi dovrete sgombrare senza fare tante
storie. D’accordo? Ci siamo capiti?”
Non segue nessuna risposta. L’intera famiglia è
frastornata. Annichilita.
“Bene” dice l’uomo riprendendo il cappello.
“Adesso devo proprio andare. Buonasera. E ricordatevi l’affitto, la settimana
prossima.”
Volta le spalle ed esce.
In casa, nessuno parla. E nessuno pensa a
riprendere il pasto così brutalmente interrotto.
“Padre?” esclama all’improvviso il giovane
Salvo. “Dobbiamo proprio andare via? Il padrone ci ha cacciati?”
Il genitore guarda la moglie, che ora sta
piangendo, poi annuisce costernato.
“Questa è un’ingiustizia?” incalza ancora il
giovane.
“Sì, lo è” risponde il padre.
E quella è proprio la risposta che lui si
aspettava di ricevere.
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