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venerdì 17 maggio 2013

VIDELA & C.




È il 12 settembre 1973. Il giovane Salvo, dopo la lunga camminata, torna a casa. Attraversa il cortile dal fondo dissestato e ingombro di macerie: sacchi di cemento vuoti, travi di legno, tondini di ferro, mucchi di sabbia e ghiaia. Entra nell’abitazione. Sua madre e sua sorella sono in cucina, affaccendate.
“Finalmente!” esclama la donna, che ha le mani imbiancate di farina.
“Me la sono fatta tutta a piedi!”
“Da dove?”
“Con Cataldo siamo andati alla scuola. Abbiamo controllato gli orari e poi siamo passati in cartoleria a ordinare i libri.”
“Ce ne sono molti da comprare?” chiede la madre, allarmata.
“Non preoccuparti, ne ho prenotati soltanto due. Quelli che mancano me li procurerò usati. Sono già d’accordo con un ragazzo di seconda.”
“Guarda che se proprio c’è bisogno…” aggiunge la donna.
“Mamma! Tranquilla! Piuttosto, quando si pranza?” domanda Salvo.
“Quando sarà pronto!” sbotta Rosetta, la sorella.
“Scusa! Dobbiamo aspettare papà?”
“Sì. Un momento… mi sembra che stia arrivando proprio adesso.”
Dall’esterno si sente il rumore scoppiettante di una motoretta. Dopo alcuni istanti fa il suo ingresso in cucina l’imponente figura di Pettenuzzo padre. E subito l’ambiente appare più ristretto. L’uomo indossa ancora gli abiti da lavoro. Sul viso bruno e serio spicca una macchia di grasso, proprio sotto l’occhio destro. Non saluta, si limita a squadrare con sguardo severo moglie e figli.
“Mi do una sciacquata e poi sono pronto” dice con voce tonante. Posa a terra la logora borsa. La moglie annuisce.
Salvo lancia un’occhiata alla sporta.
“Posso prendere il giornale?” domanda, ossequioso.
Il padre esprime parere favorevole alla richiesta con un grugnito stanco. Il figlio apre le cinghie in cuoio della borsa e sfila “l’Unità”. Poi si allontana in direzione dell’ampio ingresso, un corridoio dal pavimento di marmo sul quale si affacciano le varie stanze. Si stende a terra. Come tutti i giorni, sta per iniziare a sfogliare il quotidiano al contrario, partendo dal fondo, dalle notizie sportive. Ma la sua attenzione questa volta è attirata da un titolo in prima pagina, scritto in caratteri cubitali: COLPO DI  STATO IN CILE – ALLENDE DEPOSTO DAI MILITARI SI E’ UCCISO DOPO UNA VANA RESISTENZA. Un brivido freddo, che nasce dal fondo della schiena, gli percorre tutto il corpo. Inizia a leggere, con frenesia. Assediato dai golpisti, (che significato ha questo termine? Si ripromette di cercarlo sul vocabolario subito dopo pranzo) il presidente cileno ha preferito suicidarsi, dopo aver guidato un’eroica opposizione. Si è sparato con un mitra, un AK-47 dono dell’amico Fidel Castro. Da solo, nel suo studio, dopo aver convinto i suoi collaboratori ad arrendersi, per salvare le loro vite. Il palazzo presidenziale, la Moneda, è stato addirittura bombardato dall’aviazione. Si è incendiato.
L’angoscia di Salvo aumenta. Scorre altri articoli sullo stesso argomento. Apprende che quello è solo il tragico epilogo di una situazione di crisi che aveva investito il paese sudamericano da anni, da quando Allende era diventato presidente. Il primo presidente socialista. Socialisti e comunisti sono la stessa cosa? Dovrà farsi forza e domandarlo a suo padre. Lui è comunista, dice. Il ragazzo vuole capire. Ora, subito. Perché finora è stato così cieco?
“Salvo, vieni a tavola!” grida Rosetta dalla cucina.
“Arrivo subito!” risponde il ragazzo, che tuttavia non riesce a staccare gli occhi da quelle pagine che odorano d’inchiostro e che macchiano le dita di nero. Guarda le fotografie. Quella grande, molto sgranata, raffigura il tetto del palazzo presidenziale in fiamme. Sulla destra, racchiusa in un piccolo riquadro, c’è invece l’immagine di Salvador Allende: il suo volto sorridente, la sua espressione bonaria. Salvador. Nota che il Presidente porta il suo stesso nome, e per un attimo è compiaciuto da quella scoperta. Poi si rende conto che quell’uomo dagli occhi buoni è morto. Ed è morto inseguendo sogni di democrazia e libertà. Salvo, invaso adesso da un grande senso di tristezza, volta la pagina. E lo vede. Il suo cuore ha un sussulto. Capisce subito che è lui. Si tratta di un militare, in divisa scura. Indossa occhiali dalle lenti nere e ha dei baffi sottili e ben curati. La sua posa è impettita. Il ragazzo comprende di avere di fronte, effigiata in quella fotografia dai toni grigi, la rappresentazione non solo di tutte le ingiustizie, ma di tutto il male del mondo. E ne è sconvolto.
“Mannaia! Sbrigati che si raffredda tutto!” Suo padre, la voce adirata.
Salvo non riesce neppure a rispondere. In quel momento si sente confuso e smarrito.  Avvicina gli occhi a quella tremenda immagine. Legge la didascalia. Vi compaiono soltanto un nome e un cognome: Augusto Pinochet.

(tratto dal romanzo: "Oltre il ponte" - 2010)


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