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sabato 25 maggio 2013

LA GUERRA DELL'ACQUA



Fa caldo, molto caldo in quell’estremo lembo della penisola. E l’estate è lunga, interminabile. Il sole picchia con cattiveria durante tutta la giornata. In questo periodo è raro che la pioggia offra il suo piacevole ristoro alla terra arida e assetata.
“Mannaia! ‘A stamu levando la pasta i casa?” urla l’uomo.
È un pezzo d’uomo, alto, robusto. Si aggira impaziente nell’aia della piccola casa colonica e sembra un leone in gabbia. Non è abituato ad aspettare. Indossa dei pantaloni di tela legati in vita con uno spago e una vecchia e logora canottiera, dalla cui scollatura spuntano folti ciuffi di peli neri. Il cranio invece è completamente glabro, lucido e abbronzato.
Fa la sua comparsa una donna ancora giovane, dal fisico solo in apparenza gracile. È tutta vestita di nero.
“Un momento! Sta arrivando! Si sta calzando!” dice rivolta al marito. 
“Mannaia!” è la sola risposta.
La donna rientra in casa, spaventata. Subito dopo esce un ragazzino. Di corsa. Si avvicina al padre e, mentre tenta di giustificare il ritardo, riceve un ceffone. Il bambino cambia espressione, ma stringe i denti e trattiene il pianto.
Mannaia lu pisci stoccu! Siamo in ritardo! Non senti che l’aria si sta già riscaldando?” sbraita l’uomo. Sono le sette del mattino.
Infine, i due si avviano. Escono dal cortile, attraversano la strada comunale e imboccano uno stretto e tortuoso sentiero sterrato. Camminano veloci sollevando la polvere. Accanto a loro sfilano un’infinità di piante d’ulivo, dai tronchi contorti e con folte chiome di aguzze foglie argentate. E dopo gli aranci. E i limoni. L’uomo sbuffa, la sua fronte si imperla di sudore. Il ragazzino cammina in silenzio, lo sguardo a terra. Piante e ancora piante. E, ogni tanto, una discarica abusiva. Mucchi di rottami, di stracci, mattoni e calcinacci. E ratti che al loro passaggio si immobilizzano, ma non scappano. I grossi bestiacci  non hanno paura. Finalmente, padre e figlio raggiungono il loro campo, con il vasto aranceto. Poco più in là, la fiumara. Completamente asciutta.
“Perché non parli? Perché non dici niente?” chiede l’uomo, dopo essersi fermato.
“Come mai non è potuta venire anche Rosetta?” risponde il ragazzino, triste, il capo abbassato.
“Mannaia!” grida il padre. “Rosetta è una femmina! E deve aiutare sua madre. Lo sai che cosa dobbiamo fare domani? Lo hai capito o no?”
“Sì” è la risposta, pronunciata con un filo di voce.
“Ascolta” riprende l’uomo, con un tono più disteso. “Adesso mi siedo un attimo, e tu vai ad aprire l’acqua. Ti ricordi come si fa? Ti ricordi che l’altra volta ti ho insegnato?”
“Sì padre” afferma il bambino. “Me lo ricordo bene. È facile.”
“Vai allora, vai!”
E lui si mette a correre, finché non vede più il genitore. Dopo rallenta, ma il suo passo è sempre spedito. E cammina, in mezzo a enormi distese di alberi. Si vede che le piante soffrono il clima arido; i rami sono protesi, in attesa di un po’ di refrigerio, in attesa dell’agognata acqua. Ci contano. Ci sperano, anche se ben sanno che quel liquido vitale non arriverà loro dal cielo. Bensì dalla terra. A quel punto, i torti e robusti artigli si inzupperanno e assorbiranno con avidità nuova vita.
Finalmente è arrivato. Laggiù, poco lontano, si intravede la presa dell’acqua. Il ragazzo aguzza lo sguardo. C’è qualcosa di strano. All’improvviso, si accorge di non essere solo in quel luogo sperduto. Si ferma, e poi riprende a camminare piano. Adesso vede con chiarezza i due uomini. Si arresta davanti a loro. Il primo è un tipo anziano, ed è seduto su una pietra. Nonostante il caldo, che già comincia a farsi sentire, indossa abiti pesanti. Pantaloni di fustagno, un logoro panciotto grigio e una giacchetta marrone. E la coppola. Sta fumando, e guarda nella sua direzione. L’altro è più giovane. Porta una camicia a quadretti, sbottonata. Il suo volto è duro, e lo sguardo è beffardo. Sotto il naso pronunciato spiccano i baffetti neri ben curati.
“Ragazzino, che vuoi?” domanda il vecchio. Nella sua voce cavernosa si coglie il fastidio.
“Devo aprire l’acqua, per l’aranceto.”
I due si guardano, e il più giovane sorride piegando lievemente un lato della bocca.
“Niente acqua. Non c’è acqua” afferma l’anziano.
Il ragazzo osserva il piccolo canale. E l’acqua che vi scorre. Gli altri notano la sua occhiata.
“L’acqua non c’è. Tu non hai visto niente. Capito?”
“Ma mio padre…”
“E chi è tuo padre?”
“Pettenuzzo, quello…”
“Ah!” e nuovo sguardo di intesa tra i due.
“Ascolta bene, e non farmi perdere la pazienza. Non ne ho molta. L’acqua, come hai visto, non c’è. Il guardiano si è dimenticato di aprirla. Questo dirai a tuo padre, capito?” ribadisce il vecchio in tono tagliente.
“Mio padre non mi crederà…” tenta di ribattere il ragazzino.
L’individuo più giovane allora infila una mano in tasca. Estrae un coltello. Lo fa scattare. E parla, con voce bassa e roca.
“Facciamo così, adesso ti taglio la gola. Poi ti apro e ti svuoto come faccio con gli agnelli. E se tuo padre viene qui, fa la stessa fine. Adesso hai capito?”
Il bambino diventa pallido. Annuisce. Ora ha veramente paura. E allora si volta di scatto e fugge di corsa. Il cuore gli martella nel petto. Ha la nausea, ma non si ferma finché non torna nel posto dove lo attende il padre, che lo vede arrivare e lo guarda stupito. Posa il coltello con il quale stava affettando del pane. Vicino a lui, adagiata su un tovagliolo, è in bella mostra una salsiccia.
“Salvo! Che succede? Hai già fatto tutto?” chiede, ancora meravigliato.
Il figlio è tutto sudato, e stravolto.
“Non c’è acqua. È tutto asciutto. Il guardiano si è dimenticato di aprirla” dice tutto di un fiato il ragazzino, affannato.
“Mannaia! Jacopo! Quello si è di nuovo ubriacato. E pensare che ieri sono andato apposta in paese per avvisarlo. Quel disgraziato! Vado a controllare la bocchetta.”
“No padre, è inutile, non si può fare nulla.”
“Hai ragione, se è come dici, non si può fare nulla.”
L’uomo riflette un attimo, poi prende pane e salsiccia e ne offre al figlio.
“Non ho fame” risponde lui.
“Andiamo allora. Torniamo a casa che c’è tanto da fare. Per domani.”
I due si incamminano sulla strada del ritorno.
“Padre…”
“Che c’è?”
“Vero che non importa se non abbiamo irrigato l’aranceto? Tanto domani partiamo” domanda il ragazzo.
“Salvo! Su di malu pitignu! Che vuol dire che non importa? Noi partiamo, ma tuo zio Vincenzo rimane. E ha bisogno dell’aranceto. Deve dare da mangiare ai tuoi cugini. Mannaia!”
Padre e figlio continuano a camminare, ma il ragazzino non parla più. Si sente umiliato. Prima da quei due crudeli sconosciuti, poi dal suo stesso genitore, che in qualche modo ha invece protetto. Per la prima volta nella sua breve vita ha incontrato il sopruso e l’ingiustizia. Ne ha patito. E ciò non dovrà accadere più, si ripromette. O almeno lo spera.

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