Fa caldo, molto caldo in quell’estremo lembo
della penisola. E l’estate è lunga, interminabile. Il sole picchia con cattiveria
durante tutta la giornata. In questo periodo è raro che la pioggia offra il suo
piacevole ristoro alla terra arida e assetata.
“Mannaia! ‘A
stamu levando la pasta i casa?” urla l’uomo.
È un pezzo d’uomo, alto, robusto. Si aggira
impaziente nell’aia della piccola casa colonica e sembra un leone in gabbia.
Non è abituato ad aspettare. Indossa dei pantaloni di tela legati in vita con
uno spago e una vecchia e logora canottiera, dalla cui scollatura spuntano
folti ciuffi di peli neri. Il cranio invece è completamente glabro, lucido e
abbronzato.
Fa la sua comparsa una donna ancora giovane,
dal fisico solo in apparenza gracile. È tutta vestita di nero.
“Un momento! Sta arrivando! Si sta calzando!”
dice rivolta al marito.
“Mannaia!” è la sola risposta.
La donna rientra in casa, spaventata. Subito
dopo esce un ragazzino. Di corsa. Si avvicina al padre e, mentre tenta di
giustificare il ritardo, riceve un ceffone. Il bambino cambia espressione, ma
stringe i denti e trattiene il pianto.
“Mannaia
lu pisci stoccu! Siamo in ritardo! Non senti che l’aria si sta già
riscaldando?” sbraita l’uomo. Sono le sette del mattino.
Infine, i due si avviano. Escono dal cortile, attraversano
la strada comunale e imboccano uno stretto e tortuoso sentiero sterrato. Camminano
veloci sollevando la polvere. Accanto a loro sfilano un’infinità di piante
d’ulivo, dai tronchi contorti e con folte chiome di aguzze foglie argentate. E
dopo gli aranci. E i limoni. L’uomo sbuffa, la sua fronte si imperla di sudore.
Il ragazzino cammina in silenzio, lo sguardo a terra. Piante e ancora piante.
E, ogni tanto, una discarica abusiva. Mucchi di rottami, di stracci, mattoni e
calcinacci. E ratti che al loro passaggio si immobilizzano, ma non scappano. I grossi
bestiacci non hanno paura. Finalmente,
padre e figlio raggiungono il loro campo, con il vasto aranceto. Poco più in
là, la fiumara. Completamente asciutta.
“Perché non parli? Perché non dici niente?”
chiede l’uomo, dopo essersi fermato.
“Come mai non è potuta venire anche Rosetta?”
risponde il ragazzino, triste, il capo abbassato.
“Mannaia!” grida il padre. “Rosetta è una
femmina! E deve aiutare sua madre. Lo sai che cosa dobbiamo fare domani? Lo hai
capito o no?”
“Sì” è la risposta, pronunciata con un filo di
voce.
“Ascolta” riprende l’uomo, con un tono più
disteso. “Adesso mi siedo un attimo, e tu vai ad aprire l’acqua. Ti ricordi
come si fa? Ti ricordi che l’altra volta ti ho insegnato?”
“Sì padre” afferma il bambino. “Me lo ricordo
bene. È facile.”
“Vai allora, vai!”
E lui si mette a correre, finché non vede più
il genitore. Dopo rallenta, ma il suo passo è sempre spedito. E cammina, in
mezzo a enormi distese di alberi. Si vede che le piante soffrono il clima
arido; i rami sono protesi, in attesa di un po’ di refrigerio, in attesa
dell’agognata acqua. Ci contano. Ci sperano, anche se ben sanno che quel
liquido vitale non arriverà loro dal cielo. Bensì dalla terra. A quel punto, i
torti e robusti artigli si inzupperanno e assorbiranno con avidità nuova vita.
Finalmente è arrivato. Laggiù, poco lontano, si
intravede la presa dell’acqua. Il ragazzo aguzza lo sguardo. C’è qualcosa di
strano. All’improvviso, si accorge di non essere solo in quel luogo sperduto.
Si ferma, e poi riprende a camminare piano. Adesso vede con chiarezza i due
uomini. Si arresta davanti a loro. Il primo è un tipo anziano, ed è seduto su
una pietra. Nonostante il caldo, che già comincia a farsi sentire, indossa
abiti pesanti. Pantaloni di fustagno, un logoro panciotto grigio e una
giacchetta marrone. E la coppola. Sta fumando, e guarda nella sua direzione.
L’altro è più giovane. Porta una camicia a quadretti, sbottonata. Il suo volto
è duro, e lo sguardo è beffardo. Sotto il naso pronunciato spiccano i baffetti
neri ben curati.
“Ragazzino, che vuoi?” domanda il vecchio.
Nella sua voce cavernosa si coglie il fastidio.
“Devo aprire l’acqua, per l’aranceto.”
I due si guardano, e il più giovane sorride
piegando lievemente un lato della bocca.
“Niente acqua. Non c’è acqua” afferma
l’anziano.
Il ragazzo osserva il piccolo canale. E l’acqua
che vi scorre. Gli altri notano la sua occhiata.
“L’acqua non c’è. Tu non hai visto niente.
Capito?”
“Ma mio padre…”
“E chi è tuo padre?”
“Pettenuzzo, quello…”
“Ah!” e nuovo sguardo di intesa tra i due.
“Ascolta bene, e non farmi perdere la pazienza.
Non ne ho molta. L’acqua, come hai visto, non c’è. Il guardiano si è
dimenticato di aprirla. Questo dirai a tuo padre, capito?” ribadisce il vecchio
in tono tagliente.
“Mio padre non mi crederà…” tenta di ribattere
il ragazzino.
L’individuo più giovane allora infila una mano
in tasca. Estrae un coltello. Lo fa scattare. E parla, con voce bassa e roca.
“Facciamo così, adesso ti taglio la gola. Poi
ti apro e ti svuoto come faccio con gli agnelli. E se tuo padre viene qui, fa
la stessa fine. Adesso hai capito?”
Il bambino diventa pallido. Annuisce. Ora ha
veramente paura. E allora si volta di scatto e fugge di corsa. Il cuore gli
martella nel petto. Ha la nausea, ma non si ferma finché non torna nel posto dove
lo attende il padre, che lo vede arrivare e lo guarda stupito. Posa il coltello
con il quale stava affettando del pane. Vicino a lui, adagiata su un
tovagliolo, è in bella mostra una salsiccia.
“Salvo! Che succede? Hai già fatto tutto?”
chiede, ancora meravigliato.
Il figlio è tutto sudato, e stravolto.
“Non c’è acqua. È tutto asciutto. Il guardiano
si è dimenticato di aprirla” dice tutto di un fiato il ragazzino, affannato.
“Mannaia! Jacopo! Quello si è di nuovo
ubriacato. E pensare che ieri sono andato apposta in paese per avvisarlo. Quel
disgraziato! Vado a controllare la bocchetta.”
“No padre, è inutile, non si può fare nulla.”
“Hai ragione, se è come dici, non si può fare
nulla.”
L’uomo riflette un attimo, poi prende pane e
salsiccia e ne offre al figlio.
“Non ho fame” risponde lui.
“Andiamo allora. Torniamo a casa che c’è tanto
da fare. Per domani.”
I due si incamminano sulla strada del ritorno.
“Padre…”
“Che c’è?”
“Vero che non importa se non abbiamo irrigato
l’aranceto? Tanto domani partiamo” domanda il ragazzo.
“Salvo! Su
di malu pitignu! Che vuol dire che non importa? Noi partiamo, ma tuo zio
Vincenzo rimane. E ha bisogno dell’aranceto. Deve dare da mangiare ai tuoi
cugini. Mannaia!”
Padre e figlio continuano a camminare, ma il
ragazzino non parla più. Si sente umiliato. Prima da quei due crudeli
sconosciuti, poi dal suo stesso genitore, che in qualche modo ha invece
protetto. Per la prima volta nella sua breve vita ha incontrato il sopruso e
l’ingiustizia. Ne ha patito. E ciò non dovrà accadere più, si ripromette. O almeno
lo spera.
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