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domenica 12 maggio 2013

UN GIUDICE A BERLINO?



“Ci sarà pure un giudice a Berlino…”
No, stavolta non è stato il mugnaio di Potsdam a pronunciare queste parole. È stato Silvio Berlusconi. Un’invocazione tanto accorata quanto falsa proferita in occasione della sentenza di condanna (in Appello) pronunciata nei suoi confronti dal Tribunale di Milano. E non sarà l’ultima, perché la persecuzione della Magistratura continuerà fino alla distruzione politica e personale del Grande Imprenditore, del Grande Statista, del Grande Benefattore. O del Grande Bugiardo e Corruttore. Si sa, è questione di punti di vista.
In ogni caso, la reazione di Berlusconi alla riconferma del verdetto di condanna è stata pacata, contenuta nei toni, proprio ciò che ci si aspettava da chi, negli ultimi tempi, aveva richiamato tutti al senso di responsabilità, aveva auspicato la pacificazione sociale in nome del bene supremo del Paese.
Tale stato di calma naturalmente si è protratto per un paio di giorni soltanto. Poi si è deciso, come sempre, di passare al contrattacco. È stata indetta una manifestazione di piazza, a Brescia, per protestare con forza contro le prepotenze e le vessazioni del potere giudiziario e per ribadire la preponderanza del ruolo del PDL nel neonato governo Letta. Berlusconi ha paragonato il suo caso giudiziario a quello di Enzo Tortora, suscitando sdegno e disgusto, ha invocato le “sue” riforme: quella della giustizia (separazione delle carriere e responsabilità penale dei magistrati), l’elezione diretta del Capo dello Stato, e le altre solite amenità…
In piazza, a Brescia, ci sono state contestazioni, alcuni tafferugli. Molti esponenti del PDL sono stati scortati dai carabinieri nel loro percorso dall’albergo che li ospitava al vicino palco. L’ineffabile Berlusconi e i suoi accoliti non si sono scomposti più di tanti, lo show è comunque proseguito, le grida di risentimento dei contestatori sono state ignorate e gli stessi, da parte di qualcuno, sono stati pure irrisi (la solita gentaglia dei centri sociali, quelli che non hanno voglia di lavorare…)
Alla manifestazione contro uno dei poteri dello Stato (quello giudiziario) hanno preso parte esponenti delle istituzioni: il Vicepresidente del Consiglio dei Ministri nonché ministro dell’Interno Angelino Alfano e un paio di altri ministri del governo Letta. Si tratta di qualcosa di inqualificabile, che avrebbe meritato una diversa reazione da parte di alcuni soggetti politici. Invece abbiamo assistito all’assordante silenzio del Presidente della Repubblica, al tentativo malriuscito di minimizzare il fatto da parte di Enrico Letta, all’evidente imbarazzo (e vergogna?) del Partito Democratico che proprio poche ore prima aveva eletto Guglielmo Epifani quale segretario-reggente.
Ecco, forse si dovrebbe proprio ripartire da questo disagio del PD. E ci si dovrebbe porre una domanda, preceduta da una breve premessa. È vero, l’esito del voto non lasciava alternative se non il quasi immediato nuovo ricorso alle urne, ed altrettanto è vero che il Paese aveva urgente bisogno di un governo. Ma aveva davvero necessità di questo governo? Che si regge sull’accordo (connivente? complice?) con un pluri-indagato, un pluri-imputato, un condannato? E con tutto ciò che ne consegue? Era proprio indispensabile vendere l’anima al Diavolo?

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