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martedì 30 settembre 2025

IL TRENO

Il treno ad alta velocità tagliava l'aria come fosse una lama. A 300 chilometri orari, il paesaggio sfilava in un lampo indistinto di verde e cemento. In cabina, Marco, il capomacchinista, teneva gli occhi fissi sui binari, mentre Luca, il suo assistente, controllava i parametri del convoglio. La solita routine, un rito rassicurante che scandiva le loro giornate.

All'improvviso, in lontananza, una sagoma scura balzò sui binari, emergendo dal nulla. Marco strinse le mani sulla cloche, il cuore che gli martellava nel petto.

"Luca, hai visto?" La sua voce era strozzata. L'altro annuì, il viso sbiancato.

"Sì... un uomo".

Entrambi sapevano che a quella velocità non c'era nulla da fare. La distanza si riduceva a ogni frazione di secondo, inesorabile. Un brivido gelido percorse la schiena di Marco. L'impatto era inevitabile.

Poi accadde qualcosa, e il mondo attorno a loro si distorse. Il sibilo del treno divenne un lamento prolungato e acuto, le gocce di pioggia sul finestrino sembravano sospese a mezz'aria. L'uomo sui binari, prima una macchia sfocata, ora era nitido, quasi fermo, le braccia aperte in un gesto di disperazione. Il tempo aveva rallentato, fin quasi a fermarsi.

Marco e Luca si guardarono, increduli. La persona era ancora lì, a pochi metri da loro, mentre il convoglio avanzava lentamente. Avevano tutto il tempo per prendere una decisione. Investire l'uomo o tentare l'impossibile?

"Dobbiamo frenare, Marco!" esclamò Luca, la voce un sussurro amplificato dal silenzio irreale.

Marco scosse la testa, la fronte imperlata di sudore freddo.

"Se tiriamo il freno d'emergenza, il rischio di deragliamento è molto alto. Pensa al disastro! Ci sono centinaia di persone a bordo. L'inchiesta, le accuse nei nostri confronti... Addio carriera, addio vita normale".

La sua mente, a differenza del treno, correva veloce. Calcolava ogni rischio, ogni possibile conseguenza legale e personale. Lui non voleva grane, non voleva rovinarsi per un errore, per una sfortunata coincidenza.

Luca si avvicinò, gli occhi accesi da una fiamma idealista.

"Ma c'è una persona lì, Marco! Un essere umano! Non possiamo tirare dritto e ignorarlo. Se c'è anche una minima possibilità di salvarlo, ci dobbiamo provare. Non potrei vivere con me stesso sapendo di non aver fatto nulla".

La sua voce era un misto di supplica e indignazione. Per lui, la vita di quell'uomo valeva più di qualsiasi carriera o inchiesta.

"E se il treno deraglia? E se moriamo noi? O tutti i passeggeri? Ti sei chiesto quante altre vite potremmo mettere a rischio per salvarne una sola?"

Marco era pragmatico, ancorato alla realtà più cruda, a un'etica della responsabilità che metteva al primo posto la sicurezza della maggioranza.

"Siamo qui per portare queste persone a destinazione, sani e salvi. Non siamo eroi, siamo semplici macchinisti".

"Ma non siamo neanche carnefici!" ribatté Luca, la sua voce ora un grido disperato.

"Non possiamo guardare un uomo morire sapendo di poter fare qualcosa! Non è giusto, non è umano!"

La discussione si accese, le parole rimbalzavano nel silenzio della cabina, ogni frase un macigno. Uno, egoista e prudente, pensava alla propria pelle, alla propria reputazione. L'altro, altruista e coraggioso, era pronto a sacrificare tutto per un ideale superiore. I secondi si allungavano in un'eternità, ogni respiro un'agonia.

Marco stava per ribadire la sua posizione, quando un'improvvisa scossa lo fece sobbalzare. Il tempo, con la stessa inspiegabile rapidità con cui si era fermato, riprese a scorrere veloce. Il sibilo del treno tornò prepotente, il paesaggio riprese a sfrecciare per un istante.

Poi si resero conto che il treno era fermo. Completamente fermo. Marco e Luca si guardarono, il respiro bloccato in gola. Il silenzio era rotto solo dal fruscio del vento e da un suono metallico proveniente dal retro. Lo videro nello stesso momento. Steso sui binari, a pochi metri dal muso dell'elettromotrice, giaceva il corpo maciullato dell'uomo. Era stato investito.

Un gemito soffocato uscì dalla gola di Luca. Non erano riusciti a frenare in tempo. Si voltarono e videro l'orrore. La terza carrozza era uscita dai binari, rovesciata su un fianco, un groviglio di lamiere contorte e finestrini infranti. Dal vagone si levavano urla e lamenti. Il treno si era fermato, sì, ma solo dopo aver investito l'uomo e provocato un disastro spaventoso.

I macchinisti erano stati vittime di un paradosso crudele. Avevano avuto il tempo per decidere, per discutere, per confrontarsi su un dilemma etico che li aveva dilaniati. Ma quando il tempo aveva ripreso il suo corso, la decisione era già stata presa, non da loro, ma da qualcun altro o da qualcos'altro. Forse da un destino che li aveva beffati e che aveva scelto la via più tragica. 



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