Il ceppo scoppietta nel caminetto. La fiamma danza e getta lunghe ombre sulle
pareti del mio studio. Mi presento: sono il dottor Finn, medico e biologo, e da
anni la mia vita è un tributo silenzioso a un uomo, uno scrittore: H.G. Wells.
Non sono soltanto un suo semplice ammiratore, ma un devoto. Ho divorato più e
più volte ogni parola che lui ha ha vergato, ma tra tutte le sue opere, L'isola
del dottor Moreau risplende per me di una luce particolare, quasi
profetica.
Quell'esperimento... la possibilità di plasmare la vita, di elevare le
creature al di sopra della loro natura primitiva. È sempre stata una
fissazione, un tarlo che mi ha rosicchiato l'anima fin dalla giovinezza. Anno
dopo anno, sogno dopo sogno, il sotterraneo della mia casa di campagna si è
trasformato. Da umida cantina è diventato un laboratorio, una specie di
santuario dedicato alla scienza, dove ho cercato di replicare l'ardire di
Moreau. I fallimenti sono stati innumerevoli, cadavere dopo cadavere, delusioni
cocenti che avrebbero spento la passione di chiunque altro. A me non è
accaduto. Ogni errore è stato un passo verso la verità, da ogni insuccesso ho
tratto un insegnamento. E poi, finalmente, i risultati sono arrivati. Dapprima
minimi, quasi impercettibili, ma con il tempo sono diventati più concreti,
sempre più promettenti.
Proprio adesso, l'ultimo dei miei successi è qui, seduto di fronte a me al
tavolo da pranzo: Rocky. Sta
mangiando la sua minestra, lentamente, con una compostezza quasi innaturale. Le
posate, che gli applico alle zampe quando si sta a tavola, si muovono con una delicatezza
sorprendente. La creatura riesce persino a bere dal bicchiere, sorsi faticosi
ma riusciti. Rocky non è più un semplice cane. Attraverso il mio processo di
umanizzazione, è diventato un cane-uomo.
Certo, le sue corde vocali modificate non gli permettono di parlare come gli
esseri umani, ma con suoni opportunamente modulati e dopo un addestramento
estenuante, siamo in grado di comunicare. Si tratta di dialoghi semplici, ma
che rappresentano comunque una forma di interazione. Un miracolo, oserei dire.
Eppure, nonostante tutti gli innegabili progressi, negli ultimi tempi ho
notato qualcosa di strano in Rocky. Qualcosa di indefinito, di sfuggente, che
non riesco a decifrare. Nulla di vistoso, solo un che di particolare nel suo
atteggiamento, e soprattutto nel suo sguardo. Un'ombra, un'inquietudine che mi
tormenta.
Mi alzo per controllare il pollo, che sta ancora cuocendo in forno. Rocky,
metodico e lento per via dell'utilizzo delle posate, è ancora intento sulla sua
minestra. Mentre sono quasi in cucina, un impulso irrefrenabile mi spinge a
voltarmi all'improvviso. E lo vedo. Rocky
non sta usando il cucchiaio! Sta lappando la minestra. Con la lingua,
come un comune animale.
Appena i miei occhi incontrano i suoi, si blocca. Per un istante, un solo
breve momento, l'espressione sul suo volto-muso mi sembra beffarda. Un lampo di
astuzia, e di consapevolezza, che mi gela il sangue. Poi, con estrema rapidità,
l'uomo-bestia riprende a mangiare con il cucchiaio, come se nulla fosse
accaduto.
Sono distrutto. Anzi, peggio, annientato. La scoperta è un pugno nello
stomaco, una verità amara che mi afferra e mi scuote. Rocky, come i suoi
predecessori, sta regredendo. È la fine del sogno, il ritorno all'animalità. Ma
questa volta c'è qualcosa di diverso, qualcosa di inquietante.
La regressione non è totale. Lui, a differenza degli altri, sembra aver
sviluppato un'astuzia molto umana, quasi malvagia. In parte, dunque,
l'esperimento è riuscito. Forse anche troppo. Quel sorriso derisorio, fugace ma
indelebile, mi ha trafitto l'anima. E adesso, mentre lo guardo intento a
mangiare con finta compostezza, di
Rocky ho paura...


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