Il fine settimana in montagna era iniziato nel migliore dei modi. Tranquillità,
aria frizzante, il verde intenso dei pascoli fioriti, le lunghe passeggiate
rigeneranti, tutto aveva contribuito a scacciare pensieri e preoccupazioni
della frenetica vita cittadina. Avevo trascorso quella mattinata esplorando una
vecchia frazione, una manciata di case in pietra che sembravano quasi
abbandonate, nonostante la maggior parte di esse fosse stata ristrutturata con
cura. Da una chiesetta minuscola e suggestiva, posta all'inizio dl borgo,
emanava un senso di pace.
Prima di rientrare dove ero alloggiato, decisi di spingermi fino al vicino
santuario. Sapevo che mi attendeva un'altra camminata, e l'idea di un buon
caffè prima di quell'ultimo sforzo mi solleticò il palato. Ricordavo di avere
letto di un bar-ristorante proprio in quella zona. Mi guardai intorno, ma non
scorsi alcuna insegna. Tirai fuori il telefono, e la mappa mi rivelò che in
realtà mi trovavo a pochi metri dalla meta. Seguendo le indicazioni, mi inoltrai
in una specie di cortile, ancora senza vedere insegne. Sembrava un'abitazione
privata. Stavo per desistere e tornare indietro, quando una voce mi fermò.
"Ha bisogno?"
Era una voce di donna, non più giovane. Alzai lo sguardo e la scorsi seduta
su un balconcino, intenta a pulire delle verdure. Indossava un grembiule
azzurro e una piccola corte di galline la circondava, zampettando e
chiocciando. Avrei voluto scappare, perché mi sentivo un intruso, ma ormai ero
stato visto. L'imbarazzo mi bloccò.
"Volevo un caffè" dissi incerto. "Ma forse ho sbagliato
posto".
Un vago sorriso si dipinse sul volto segnato dal tempo della donna.
"Nossignore" rispose. "Il posto è quello giusto. E per le
emergenze siamo sempre disponibili".
Mi fece cenno di avvicinarmi e, quasi ipnotizzato, fui pronto a obbedire.
Lei si alzò, si pulì le mani sul grembiule ed entrò all'interno. La seguii,
ormai ero in ballo, anche se il desiderio di un caffè non mi sembrava proprio
una grande emergenza.
Il locale era semibuio, impregnato di un odore di chiuso. C'era roba
dappertutto, a terra, impilata alle pareti, sui tavolini, tra i piedi. Oggetti
di ogni genere si mescolavano a prodotti da bar: caramelle, biscotti, patatine,
bottiglie e lattine. L'anziana signora andò dietro il bancone e iniziò a
trafficare con la macchina del caffè.
"State per chiudere l'attività?" chiesi timidamente, guardandomi
attorno, un po' sconvolto da quel caos.
"L'ho detto" disse lei, senza scomporsi e senza rispondere alla
mia domanda. "Per le emergenze siamo sempre disponibili".
Alle mie spalle, una voce roca mi fece sobbalzare. Non mi ero accorto di un
vecchietto seduto a un tavolino. Si alzò e cominciò a biascicare frasi
sconnesse.
"Oh, quello mi fa diventare matta" commentò la donna scuotendo la
testa. "La notte non mi lascia nemmeno dormire". Mi chiesi se fosse
suo marito, o forse suo fratello. Lei mi porse il caffè, un espresso forte e
caldo che in quel contesto surreale sembrava quasi un miraggio.
Dopo aver pagato - non ebbi l'ardire di richiedere lo scontrino - mentre stavo
per andarmene, la porta si aprì. Entrarono un anziano prete con un
accompagnatore. Provenivano forse dal vicino santuario? La donna, con la stessa
naturalezza con cui aveva servito me, chiese loro se desideravano l'aperitivo e
se avrebbero gradito, nei giorni successivi, avere a disposizione dei
quotidiani (citò Avvenire e La Voce del Popolo!)
Uscii, un po' turbato da ciò che avevo visto: quello strano locale, quella
signora enigmatica, quel luogo che sembrava sull'orlo dell'abbandono eppure funzionava,
con le sue regole e la sua clientela.
Più tardi, di ritorno dalla mia gita, parlai del singolare incontro alla
proprietaria del b&b dove ero ospitato.
"È andato dalla vecchia Marinella? Sul serio?" domandò lei,
sorpresa e divertita. "E ha pure preso il caffè?"
Confermai tutto, ancora un po' perplesso.
Quel che disse dopo mi lasciò di sasso.
"Il locale è chiuso da più di cinque
anni..."


Nessun commento:
Posta un commento