Mi
dirigo con passo spedito verso la sala riunioni, oltrepassando corridoi
deserti, e di colpo me li trovo tutti di fronte, seduti intorno al grande
tavolo ovale. Ci sono i miei compagni di partito, che mai come in questo
momento sento così vicini, e ci sono i miei ministri, diventati i ministri del
nulla nonostante le pompose deleghe che ho loro assegnato. Senza dire niente mi
accomodo, mesto quanto loro. So già che questa riunione sarà molto breve. C’è
ben poco che io possa dire, e niente che possa fare.
"Ragazzi,
ci sono novità?" domando, anche se conosco già la risposta.
Tutti
scuotono il capo, all’unisono, sconsolati.
"Perché
la polizia non interviene, perché non fa nulla?" Mi rivolgo al mio
ministro dell’Interno. Non ho mai potuto soffrire quel tipo, pure se sono stato
costretto a collaborare con lui. Non sopporto i suoi occhi bombati e falsi, i
suoi incisivi da roditore. Eppure adesso per lui provo quasi pena, tale è il
suo disorientamento, la sua evidente inadeguatezza.
"Gli
agenti dicono che non interverranno mai contro i cittadini" risponde con
un filo di voce.
"E
la magistratura?" Interpello il ministro della Giustizia, un bravo ragazzo
del mio stesso partito.
"Tutto
fermo, tutto immobile. I magistrati vogliono capire, attendono l’evolversi
della situazione".
"E
da oltre confine?"
"Osservano
con apprensione, ma non c’è ancora stata nessuna presa di posizione ufficiale.
Si tratta di questioni interne, dicono. Nessuno ha intenzione di
ingerire". La giovane ministra degli Esteri è livida in volto, ha profonde
occhiaie.
Annuisco.
"Qualcuno di voi ha parlato con il Presidente?"
Il
mio sottosegretario si schiarisce la voce prima di intervenire: "È
rintanato da giorni nei suoi alloggi. Non vuole parlare con nessuno. È deluso e
scoraggiato. Mai avrebbe pensato di vivere una simile situazione. Si sente
soprattutto tradito, tradito dai cittadini".
Sospiro.
"Bene, a questo punto non mi rimane che andare là".
"No!
Non farlo, può essere pericoloso".
Scrollo
le spalle, indirizzo a tutti un saluto e mi avvio verso l’uscita. Nessuno tenta
di fermarmi.
Esco
in strada, scorgo i due poliziotti seduti su un gradino. Stanno giocando a
carte.
Cammino
in direzione del Parlamento. Almeno, di quel che ne è rimasto. L’aula del
Senato non esiste più, è andata a fuoco ed è completamente distrutta. In fondo
è stato semplice ridurre il numero dei parlamentari. È bastato incenerire i
loro poggiaculo e tutti i senatori sono spariti come per incanto.
È
facile ormai entrare a Montecitorio. Non ci sono più controlli, non ci sono più
neppure le porte.
L’emiciclo
appare buio e quasi deserto. Dopo i primi giorni, quando i cittadini si sono
riversati in massa nell’aula spinti soprattutto dalla curiosità, seguiti dai
turisti intenti a scattare fotografie, l’interesse è presto scemato. Sul banco
della presidenza c’è una donna anziana e malvestita che sta arringando un
gruppo di disgraziati. Parla di pensioni, infarcendo il suo sconclusionato
discorso di innumerevoli luoghi comuni. Le stesse argomentazioni che, fino a
poco tempo fa, si ascoltavano soltanto al bar.
In
un angolo, accovacciati intorno a un barbecue improvvisato, ci sono alcuni
deputati. Stanno arrostendo salsicce. Riconosco tra loro l’avvocato Lo Russo,
uno degli esponenti di spicco dell’altra opposizione.
Adesso però fa comunella con loro. Mi
abbottono la giacca – sono l’unico che la indossa – e mi avvicino. L’avvocato
appare male in arnese, il suo pizzetto non è curato come di solito, i suoi
abiti sportivi sono stazzonati e sporchi.
"Che
cazzo ti guardi?" mi apostrofa. Finge di non conoscermi. Mi allontano,
desolato.
Che
ci faccio qui? Ormai è tutto inutile. Mentre sto per uscire scorgo lui,
l’attore riccioluto. I suoi occhi lampeggiano. Mi viene incontro, combattivo
come sempre.
"Siete
finiti! Finiti!" strepita. "Statevene a casa! Il vostro tempo è
scaduto!" Alcune gocce di saliva si depositano sui risvolti della mia giacca. Non indietreggio, so che questa è la mia
ultima possibilità di dialogare con lui.
"Ascolta…"
tento di dire, accennando un sorriso.
"Vaffanculo!"
mi urla con un ghigno. Poi mi volta le spalle, si sbottona i calzoni e piscia
contro uno scranno.
FINE


Nessun commento:
Posta un commento