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martedì 1 ottobre 2024

L' AULA (Seconda e ultima parte)


Mi dirigo con passo spedito verso la sala riunioni, oltrepassando corridoi deserti, e di colpo me li trovo tutti di fronte, seduti intorno al grande tavolo ovale. Ci sono i miei compagni di partito, che mai come in questo momento sento così vicini, e ci sono i miei ministri, diventati i ministri del nulla nonostante le pompose deleghe che ho loro assegnato. Senza dire niente mi accomodo, mesto quanto loro. So già che questa riunione sarà molto breve. C’è ben poco che io possa dire, e niente che possa fare.

"Ragazzi, ci sono novità?" domando, anche se conosco già la risposta.

Tutti scuotono il capo, all’unisono, sconsolati.

"Perché la polizia non interviene, perché non fa nulla?" Mi rivolgo al mio ministro dell’Interno. Non ho mai potuto soffrire quel tipo, pure se sono stato costretto a collaborare con lui. Non sopporto i suoi occhi bombati e falsi, i suoi incisivi da roditore. Eppure adesso per lui provo quasi pena, tale è il suo disorientamento, la sua evidente inadeguatezza.

"Gli agenti dicono che non interverranno mai contro i cittadini" risponde con un filo di voce.

"E la magistratura?" Interpello il ministro della Giustizia, un bravo ragazzo del mio stesso partito.

"Tutto fermo, tutto immobile. I magistrati vogliono capire, attendono l’evolversi della situazione".

"E da oltre confine?"

"Osservano con apprensione, ma non c’è ancora stata nessuna presa di posizione ufficiale. Si tratta di questioni interne, dicono. Nessuno ha intenzione di ingerire". La giovane ministra degli Esteri è livida in volto, ha profonde occhiaie.

Annuisco. "Qualcuno di voi ha parlato con il Presidente?"

Il mio sottosegretario si schiarisce la voce prima di intervenire: "È rintanato da giorni nei suoi alloggi. Non vuole parlare con nessuno. È deluso e scoraggiato. Mai avrebbe pensato di vivere una simile situazione. Si sente soprattutto tradito, tradito dai cittadini".

Sospiro. "Bene, a questo punto non mi rimane che andare là".

"No! Non farlo, può essere pericoloso".

Scrollo le spalle, indirizzo a tutti un saluto e mi avvio verso l’uscita. Nessuno tenta di fermarmi.

Esco in strada, scorgo i due poliziotti seduti su un gradino. Stanno giocando a carte.

Cammino in direzione del Parlamento. Almeno, di quel che ne è rimasto. L’aula del Senato non esiste più, è andata a fuoco ed è completamente distrutta. In fondo è stato semplice ridurre il numero dei parlamentari. È bastato incenerire i loro poggiaculo e tutti i senatori sono spariti come per incanto.

È facile ormai entrare a Montecitorio. Non ci sono più controlli, non ci sono più neppure le porte.

L’emiciclo appare buio e quasi deserto. Dopo i primi giorni, quando i cittadini si sono riversati in massa nell’aula spinti soprattutto dalla curiosità, seguiti dai turisti intenti a scattare fotografie, l’interesse è presto scemato. Sul banco della presidenza c’è una donna anziana e malvestita che sta arringando un gruppo di disgraziati. Parla di pensioni, infarcendo il suo sconclusionato discorso di innumerevoli luoghi comuni. Le stesse argomentazioni che, fino a poco tempo fa, si ascoltavano soltanto al bar.

In un angolo, accovacciati intorno a un barbecue improvvisato, ci sono alcuni deputati. Stanno arrostendo salsicce. Riconosco tra loro l’avvocato Lo Russo, uno degli esponenti di spicco dell’altra opposizione. Adesso però fa comunella con loro. Mi abbottono la giacca – sono l’unico che la indossa – e mi avvicino. L’avvocato appare male in arnese, il suo pizzetto non è curato come di solito, i suoi abiti sportivi sono stazzonati e sporchi.

"Che cazzo ti guardi?" mi apostrofa. Finge di non conoscermi. Mi allontano, desolato.

Che ci faccio qui? Ormai è tutto inutile. Mentre sto per uscire scorgo lui, l’attore riccioluto. I suoi occhi lampeggiano. Mi viene incontro, combattivo come sempre.

"Siete finiti! Finiti!" strepita. "Statevene a casa! Il vostro tempo è scaduto!" Alcune gocce di saliva si depositano sui risvolti della mia giacca. Non indietreggio, so che questa è la mia ultima possibilità di dialogare con lui.

"Ascolta…" tento di dire, accennando un sorriso.

"Vaffanculo!" mi urla con un ghigno. Poi mi volta le spalle, si sbottona i calzoni e piscia contro uno scranno.

                                                  FINE


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