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giovedì 25 aprile 2013

LA LISTA



Guardo la donna che mi siede di fronte e quasi non la riconosco. È invecchiata. Ha profonde occhiaie, la pelle del suo viso è secca, i suoi capelli, un tempo vaporosi, si mostrano sfibrati e privi di vita. Questa donna sta soffrendo, eppure non si vuole arrendere. La sua potrebbe apparire come una inutile ostinazione, una balorda caparbietà, ma io so che non è così. Lei davvero ci crede, ne è profondamente convinta. Allo stesso tempo si rende conto di essere ormai impotente, è del tutto consapevole che la sola forza mentale non è più sufficiente per perseguire il suo fine. Uno scopo che, d’altra parte, abbiamo sempre condiviso. Ho deciso di aiutarla. Prenderò il suo posto. La sostituirò, finché ciò sarà possibile, in quel prezioso compito che finora ha sempre svolto lei, con impegno e passione. Credo di possedere l’energia fisica per poterlo fare, quella vigoria che lei ha esaurito. Penso di avere la necessaria determinazione. Almeno, lo spero. In ogni caso, so che lo devo fare, non mi posso sottrarre da tale dovere.
“Andrò io” dico.
Lei scuote il capo.
“Ho deciso” insisto.
“È inutile, ci dobbiamo rassegnare. Dovremo fare come quasi tutti gli altri” risponde con voce piatta, quella di una persona sconfitta. Sventurata donna, ha perso del tutto la sua vitalità, quella dote preziosa che ho sempre tanto ammirato, la qualità che tanti anni fa mi ha fatto innamorare di lei.
Poi finalmente annuisce. È in una condizione di tale fragilità psicologica che mi risulta agevole imporre le mie decisioni, mentre prima non lo era mai stato. La sua volontà è sempre stata superiore alla mia, non ho mai conosciuto altra persona volitiva quanto lei. Adesso però è fiaccata, cedevole. Ne devo approfittare per imporre il mio proposito. Devo farlo per il suo bene.
“Stai tranquilla, posso farcela” ribadisco ostentando una sicurezza che non ho.
“Aspetta la notte” dice.
“No. Sai bene che è più facile avvicinarsi, ma poi?”
“Aspetterai che apra. Io l’ho fatto alcune volte ed è sempre andata bene.”
“Le cose sono cambiate, non è più possibile agire in quel modo. Non ci sono più nascondigli, è troppo rischioso. Preferisco puntare sulla sorpresa, sulla rapidità.”
“E il ritorno? Hai pensato al ritorno?” mi domanda, piena di apprensione.
Mi stringo nelle spalle. So bene che quella è la fase più delicata. In realtà non ho formulato un piano preciso. Potrò confidare soltanto sulla fortuna. Sono costretto a mentire.
“Non c’è problema” dico. “Ho pensato a tutto. C’è chi mi può aiutare e ti assicuro che non correrò alcun rischio inutile.”
Al pensiero di cosa sto per fare, la tensione mi assale all’improvviso. Sudo. Il battito del mio cuore accelera e la bocca diventa asciutta. Mi alzo e bevo un bicchiere d’acqua. Non sono mai stato un individuo molto coraggioso. Nel corso della mia esistenza ho di continuo evitato di espormi, di prendere parte a eventi che non avrei saputo fronteggiare, di essere coinvolto in situazioni che avrebbero richiesto estrema risolutezza e sveltezza di mente. So di non essere adatto per simili imprese, tuttavia è giunto il tempo di lasciare da parte tutte queste incertezze, tutti i dubbi che mi assillano. Lo devo fare per lei, a costo di sacrificare la mia vita.
“Cos’hai lì?” dice lei, indicando un rigonfiamento nella mia giacca.
Estraggo la lucente pistola e la soppeso sul palmo della mano.
“Dove l’hai presa?”
“Me la sono procurata attraverso un collega di lavoro” rispondo con finta noncuranza.
“È proprio necessario?” chiede lei con voce stanca. “Io sono sempre andata senza armi”.
“Lo so, ma ormai tutto è diverso. Comunque si tratta soltanto di una precauzione in più, non ho alcuna intenzione di usarla.”
“Nel caso lo faresti?”
“Eh? Può darsi.”
Lei annuisce senza aggiungere altro.
Strano. Avevo preferito non dire nulla dell’arma perché temevo da parte sua una reazione contraria e ostile. Invece nulla. A questo punto tanto vale essere sincero fino in fondo. Appoggio un piede sullo spigolo del tavolo. Dallo stivaletto estraggo un coltello affilatissimo, adatto per il combattimento corpo a corpo, lo mostro e lo ruoto, facendo riflettere sulla lama le luci del lampadario. Inutile dire che non lo saprei usare.
“Per ogni evenienza” dico, in tono tutt’altro che determinato.
A lei scappa un mezzo sorriso, che subito si spegne.
“La signora Orlandi non aveva con sé nessuna arma. In ogni caso non le sarebbero servite” dice, con amarezza. “A lei come ad altri, ormai.”
“È stata colpita mentre stava uscendo, vero?”
“Sì.”
“E non si sa chi sia stato…”
Lei si alza di scatto. Quasi ribalta il tavolo.
“Che dici?” grida. “Non si sa? Non si sa? Sono stati quei bastardi! Quelli del Centro Commerciale! Hanno riempito i tetti di cecchini! Per questo non voglio che tu vada! Ti uccideranno!” Si siede e inizia a singhiozzare.
“Calmati, per favore. Non c’è nulla di certo, lo sai. D’accordo, quelli del Centro stanno conducendo una lotta senza esclusione di colpi ai… agli altri, ci sono state intimidazioni e aggressioni e tre persone purtroppo ci hanno rimesso la vita in circostanze oscure, tuttavia non esistono prove certe riguardo un loro diretto coinvolgimento.”
Lei mi guarda. Il suo volto è irriconoscibile, simile a una maschera tragica.
“Smettila! Non negare la realtà!” mi urla in faccia, sputando saliva.
Mi abbandono sulla sedia.
“Hai ragione, è come dici tu. Intendevo soltanto tranquillizzarti.”
Lei riprende a piangere.
“Ascolta, non mi succederà nulla. E poi lo rifarò. Non ci dobbiamo sottomettere a questo stato di cose, dobbiamo reagire. Finora lo hai fatto tu, da adesso in poi tocca a me.”
“Scusami, sono molto provata” sussurra lei tra i singulti.
Le accarezzo una mano, poi una per una le dita rinsecchite. Noto le unghie mangiucchiate e distolgo lo sguardo, preso da compassione.
“Su, dammela” dico.
Lei solleva il capo. Il volto è rigato dalle lacrime, i capelli sono sempre più scompigliati, senza forma.
“Non andare, ti prego.”
“È inutile stare a discutere, tanto lo sai che ho deciso. Ci andrò. Dammela, lo so che l’avevi preparata, come hai sempre fatto.”
Lei fa cenno di sì. Infila una mano al seno ed estrae un pezzo di carta sgualcito, me lo porge lentamente, sospira. Lo prendo e lo scorro, riconosco la sua minuta calligrafia. Leggo ogni voce con attenzione. Impossibile memorizzare tutto, allora lo infilo nel taschino della camicia mimetica.
“È tutto chiaro?” domanda lei, che sembra essersi un po’ ripresa.
Sorrido, per rassicurarla.
“Sì, tranne una cosa. Hai scritto prosciutto crudo, ma quale?”
Ora sorride pure lei.
“Il signor Romualdo sa bene quale tipo di prosciutto prendo di solito. Lascia fare a lui. Me lo saluti? Sai, è sempre così gentile…”

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