Guardo la donna che mi
siede di fronte e quasi non la riconosco. È invecchiata. Ha profonde occhiaie,
la pelle del suo viso è secca, i suoi capelli, un tempo vaporosi, si mostrano
sfibrati e privi di vita. Questa donna sta soffrendo, eppure non si vuole arrendere.
La sua potrebbe apparire come una inutile ostinazione, una balorda caparbietà,
ma io so che non è così. Lei davvero ci crede, ne è profondamente convinta.
Allo stesso tempo si rende conto di essere ormai impotente, è del tutto
consapevole che la sola forza mentale non è più sufficiente per perseguire il
suo fine. Uno scopo che, d’altra parte, abbiamo sempre condiviso. Ho deciso di
aiutarla. Prenderò il suo posto. La sostituirò, finché ciò sarà possibile, in
quel prezioso compito che finora ha sempre svolto lei, con impegno e passione.
Credo di possedere l’energia fisica per poterlo fare, quella vigoria che lei ha
esaurito. Penso di avere la necessaria determinazione. Almeno, lo spero. In
ogni caso, so che lo devo fare, non mi posso sottrarre da tale dovere.
“Andrò io” dico.
Lei scuote il capo.
“Ho deciso” insisto.
“È inutile, ci dobbiamo
rassegnare. Dovremo fare come quasi tutti gli altri” risponde con voce piatta,
quella di una persona sconfitta. Sventurata donna, ha perso del tutto la sua
vitalità, quella dote preziosa che ho sempre tanto ammirato, la qualità che
tanti anni fa mi ha fatto innamorare di lei.
Poi finalmente
annuisce. È in una condizione di tale fragilità psicologica che mi risulta
agevole imporre le mie decisioni, mentre prima non lo era mai stato. La sua
volontà è sempre stata superiore alla mia, non ho mai conosciuto altra persona
volitiva quanto lei. Adesso però è fiaccata, cedevole. Ne devo approfittare per
imporre il mio proposito. Devo farlo per il suo bene.
“Stai tranquilla, posso
farcela” ribadisco ostentando una sicurezza che non ho.
“Aspetta la notte”
dice.
“No. Sai bene che è più
facile avvicinarsi, ma poi?”
“Aspetterai che apra.
Io l’ho fatto alcune volte ed è sempre andata bene.”
“Le cose sono cambiate,
non è più possibile agire in quel modo. Non ci sono più nascondigli, è troppo
rischioso. Preferisco puntare sulla sorpresa, sulla rapidità.”
“E il ritorno? Hai
pensato al ritorno?” mi domanda, piena di apprensione.
Mi stringo nelle
spalle. So bene che quella è la fase più delicata. In realtà non ho formulato
un piano preciso. Potrò confidare soltanto sulla fortuna. Sono costretto a
mentire.
“Non c’è problema”
dico. “Ho pensato a tutto. C’è chi mi può aiutare e ti assicuro che non correrò
alcun rischio inutile.”
Al pensiero di cosa sto
per fare, la tensione mi assale all’improvviso. Sudo. Il battito del mio cuore
accelera e la bocca diventa asciutta. Mi alzo e bevo un bicchiere d’acqua. Non
sono mai stato un individuo molto coraggioso. Nel corso della mia esistenza ho
di continuo evitato di espormi, di prendere parte a eventi che non avrei saputo
fronteggiare, di essere coinvolto in situazioni che avrebbero richiesto estrema
risolutezza e sveltezza di mente. So di non essere adatto per simili imprese,
tuttavia è giunto il tempo di lasciare da parte tutte queste incertezze, tutti
i dubbi che mi assillano. Lo devo fare per lei, a costo di sacrificare la mia
vita.
“Cos’hai lì?” dice lei,
indicando un rigonfiamento nella mia giacca.
Estraggo la lucente
pistola e la soppeso sul palmo della mano.
“Dove l’hai presa?”
“Me la sono procurata
attraverso un collega di lavoro” rispondo con finta noncuranza.
“È proprio necessario?”
chiede lei con voce stanca. “Io sono sempre andata senza armi”.
“Lo so, ma ormai tutto
è diverso. Comunque si tratta soltanto di una precauzione in più, non ho alcuna
intenzione di usarla.”
“Nel caso lo faresti?”
“Eh? Può darsi.”
Lei annuisce senza
aggiungere altro.
Strano. Avevo preferito
non dire nulla dell’arma perché temevo da parte sua una reazione contraria e ostile.
Invece nulla. A questo punto tanto vale essere sincero fino in fondo. Appoggio
un piede sullo spigolo del tavolo. Dallo stivaletto estraggo un coltello
affilatissimo, adatto per il combattimento corpo a corpo, lo mostro e lo ruoto,
facendo riflettere sulla lama le luci del lampadario. Inutile dire che non lo saprei
usare.
“Per ogni evenienza”
dico, in tono tutt’altro che determinato.
A lei scappa un mezzo
sorriso, che subito si spegne.
“La signora Orlandi non
aveva con sé nessuna arma. In ogni caso non le sarebbero servite” dice, con
amarezza. “A lei come ad altri, ormai.”
“È stata colpita mentre
stava uscendo, vero?”
“Sì.”
“E non si sa chi sia
stato…”
Lei si alza di scatto.
Quasi ribalta il tavolo.
“Che dici?” grida. “Non
si sa? Non si sa? Sono stati quei bastardi! Quelli del Centro Commerciale!
Hanno riempito i tetti di cecchini! Per questo non voglio che tu vada! Ti
uccideranno!” Si siede e inizia a singhiozzare.
“Calmati, per favore.
Non c’è nulla di certo, lo sai. D’accordo, quelli del Centro stanno conducendo
una lotta senza esclusione di colpi ai… agli altri, ci sono state intimidazioni
e aggressioni e tre persone purtroppo ci hanno rimesso la vita in circostanze
oscure, tuttavia non esistono prove certe riguardo un loro diretto coinvolgimento.”
Lei mi guarda. Il suo
volto è irriconoscibile, simile a una maschera tragica.
“Smettila! Non negare
la realtà!” mi urla in faccia, sputando saliva.
Mi abbandono sulla
sedia.
“Hai ragione, è come
dici tu. Intendevo soltanto tranquillizzarti.”
Lei riprende a
piangere.
“Ascolta, non mi
succederà nulla. E poi lo rifarò. Non ci dobbiamo sottomettere a questo stato
di cose, dobbiamo reagire. Finora lo hai fatto tu, da adesso in poi tocca a
me.”
“Scusami, sono molto
provata” sussurra lei tra i singulti.
Le accarezzo una mano,
poi una per una le dita rinsecchite. Noto le unghie mangiucchiate e distolgo lo
sguardo, preso da compassione.
“Su, dammela” dico.
Lei solleva il capo. Il
volto è rigato dalle lacrime, i capelli sono sempre più scompigliati, senza
forma.
“Non andare, ti prego.”
“È inutile stare a
discutere, tanto lo sai che ho deciso. Ci andrò. Dammela, lo so che l’avevi
preparata, come hai sempre fatto.”
Lei fa cenno di sì.
Infila una mano al seno ed estrae un pezzo di carta sgualcito, me lo porge
lentamente, sospira. Lo prendo e lo scorro, riconosco la sua minuta
calligrafia. Leggo ogni voce con attenzione. Impossibile memorizzare tutto, allora
lo infilo nel taschino della camicia mimetica.
“È tutto chiaro?”
domanda lei, che sembra essersi un po’ ripresa.
Sorrido, per
rassicurarla.
“Sì, tranne una cosa.
Hai scritto prosciutto crudo, ma quale?”
Ora sorride pure lei.
“Il signor Romualdo sa
bene quale tipo di prosciutto prendo di solito. Lascia fare a lui. Me lo
saluti? Sai, è sempre così gentile…”
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