La casa sorge su
un’ampia radura, circondata da un bosco di betulle, e sembra disabitata. I muri
sono sbiaditi e l’intonaco è in parte scrostato. Ho lasciato l’auto poco
distante, lungo il viottolo dissestato, e mi avvicino a piedi. Scosto il
cancello arrugginito ed entro nel cortile.
Lui è nell’orto. Mi
scorge e si rialza, con una mano solleva il berretto sulla fronte, si terge il
sudore.
“Hai visto quanto sono
belle le zucche quest’anno?” dice.
Annuisco.
“È per via del tempo.
Non ha quasi mai piovuto.”
Poi infilza la vanga
nel terreno asciutto, si pulisce le grosse mani nodose sugli spessi pantaloni
di fustagno e mi viene incontro.
“È da tanto tempo che
non ti fai vedere” dice.
“Lo so.”
Lui scuote il capo, si
volta e si dirige verso l’abitazione. Lo seguo, in silenzio.
Entriamo nel tinello.
La stanza è fresca e buia, arredata con i vecchi e poveri mobili che ben
ricordo. Sempre senza parlare mi invita a sedere al tavolo. Poi prende una
bottiglia di vino e due grossi bicchieri e versa da bere. Quindi anche lui si
accomoda.
“Ti devo parlare” dico,
un po’ in impaccio. Poi bevo un sorso di quel vino denso e forte.
“Pure l’ultima volta mi
dovevi parlare. Vieni da me soltanto quando ne hai bisogno” dice, ma nella sua
voce non c’è il minimo rimprovero.
“Hai ragione, quando
tutto va bene non penso mai a te” rispondo.
“In fondo è ciò che
desidero. Essere dimenticato.”
“Sono in imbarazzo”
dico.
“Su, bevi e non fare
tante storie. E parla”.
Faccio come dice, poi
mi schiarisco la voce. Sono molto in ansia.
“Mi trovo di fronte a
un bivio” dico infine, con un filo di voce.
Lui ride, poi cala una
manata sul tavolo. L’improvviso rimbombo mi scuote.
“Lo trovi davvero così divertente?”
domando.
“Un bivio? Perché non
un trivio?” risponde, sempre ridendo.
“Che cos’è un trivio?”
“Lascia stare. Le mie
battute rallegrano soltanto me. Che cosa ti devo dire, ragazzo?”
“Faccio appello alla
tua esperienza. Anche a te è capitato qualcosa di simile, tanti anni fa, e hai
saputo scegliere.”
“Che dici? Io avrei
scelto? No, ti sbagli. Non ho saputo prendere alcuna decisione.” Nella voce del
vecchio c’è scoramento, quasi disperazione. Il suo volto è ora serio, le sue
tante rughe appaiono più marcate.
“Anche il non decidere
rappresenta una scelta” lo incalzo, e cerco di approfittare del suo momento di
debolezza.
“Stronzate, sono tutte
stronzate!” si infiamma il vecchio. “La verità è che ho avuto paura.”
“Tu? Paura? Di che
cosa?”
“Ti stupisci? Invece ho
avuto paura della sofferenza.”
“Ho capito. Hai temuto
che operare una scelta ti potesse procurare dolore.”
Lui sospira. Scuote il
capo con energia.
“Mi dispiace ma non hai
capito nulla. Della pena che avrei procurato a me stesso non mi sarebbe
importato nulla. Il patimento che ci infliggiamo in seguito alle nostre balorde
decisioni può essere governato e con il trascorrere del tempo si finisce con il
rielaborare il tormento. È possibile, pur con molta fatica, riuscire a
ritrovare un po’ di serenità. Si rimuove, almeno in parte, ciò che ci ha
causato strazio e angoscia anche se non si riesce mai a dimenticare. Ricordati,
una cattiva scelta ti affliggerà per sempre ma tu non potrai mai rinnegarla del
tutto, perché così facendo rinnegheresti te stesso.”
Il vecchio tace e beve
un sorso di vino. Poi si accende un sigaro.
“E allora?” chiedo,
incitandolo a proseguire.
“Ho procurato sofferenza
a due persone. Ciò per me è imperdonabile, non posso fare a meno di pensarci
praticamente ogni giorno. Questa è la mia condanna, che mi porterò dietro fino
alla tomba.”
“Per tale ragione hai
deciso di vivere da solo, isolato da tutto e da tutti?”
“Vissuto, dici? No, non
credo di aver più vissuto. Con la vita ho chiuso allora, quando sono fuggito.”
“In base alla tua
esperienza che cosa mi consigli? La mia situazione è molto simile alla tua.
Prima o dopo dovrò prendere una decisione. Oppure anch’io dovrò scappare?”
“Ragazzo, non so che
dirti. Forse sceglierai, o forse no. È possibile che saranno gli eventi stessi
a condurti a una risoluzione. In tal caso sappi che la gioia di un essere umano
andrà a scapito della sofferenza di un altro. Questa è la vita, quella che io
mi sono rifiutato di vivere. Adesso vai, e non tornare mai più da me. Non voglio
sapere come andrà a finire la tua vicenda. Non ho nessuna intenzione di stare a
consolarti o a compatirti. Non sono in condizione di farlo, non ne ho voglia.”
Il vecchio spegne il
sigaro, si alza e ritorna nell’orto, mentre io rimango seduto, sempre più preda
della mia disperata inquietudine.
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