Powered By Blogger

domenica 21 aprile 2013

IL BIVIO



La casa sorge su un’ampia radura, circondata da un bosco di betulle, e sembra disabitata. I muri sono sbiaditi e l’intonaco è in parte scrostato. Ho lasciato l’auto poco distante, lungo il viottolo dissestato, e mi avvicino a piedi. Scosto il cancello arrugginito ed entro nel cortile.
Lui è nell’orto. Mi scorge e si rialza, con una mano solleva il berretto sulla fronte, si terge il sudore.
“Hai visto quanto sono belle le zucche quest’anno?” dice.
Annuisco.
“È per via del tempo. Non ha quasi mai piovuto.”
Poi infilza la vanga nel terreno asciutto, si pulisce le grosse mani nodose sugli spessi pantaloni di fustagno e mi viene incontro.
“È da tanto tempo che non ti fai vedere” dice.
“Lo so.”
Lui scuote il capo, si volta e si dirige verso l’abitazione. Lo seguo, in silenzio.
Entriamo nel tinello. La stanza è fresca e buia, arredata con i vecchi e poveri mobili che ben ricordo. Sempre senza parlare mi invita a sedere al tavolo. Poi prende una bottiglia di vino e due grossi bicchieri e versa da bere. Quindi anche lui si accomoda.
“Ti devo parlare” dico, un po’ in impaccio. Poi bevo un sorso di quel vino denso e forte.
“Pure l’ultima volta mi dovevi parlare. Vieni da me soltanto quando ne hai bisogno” dice, ma nella sua voce non c’è il minimo rimprovero.
“Hai ragione, quando tutto va bene non penso mai a te” rispondo.
“In fondo è ciò che desidero. Essere dimenticato.”
“Sono in imbarazzo” dico.
“Su, bevi e non fare tante storie. E parla”.
Faccio come dice, poi mi schiarisco la voce. Sono molto in ansia.
“Mi trovo di fronte a un bivio” dico infine, con un filo di voce.
Lui ride, poi cala una manata sul tavolo. L’improvviso rimbombo mi scuote.
“Lo trovi davvero così divertente?” domando.
“Un bivio? Perché non un trivio?” risponde, sempre ridendo.
“Che cos’è un trivio?”
“Lascia stare. Le mie battute rallegrano soltanto me. Che cosa ti devo dire, ragazzo?”
“Faccio appello alla tua esperienza. Anche a te è capitato qualcosa di simile, tanti anni fa, e hai saputo scegliere.”
“Che dici? Io avrei scelto? No, ti sbagli. Non ho saputo prendere alcuna decisione.” Nella voce del vecchio c’è scoramento, quasi disperazione. Il suo volto è ora serio, le sue tante rughe appaiono più marcate.
“Anche il non decidere rappresenta una scelta” lo incalzo, e cerco di approfittare del suo momento di debolezza.
“Stronzate, sono tutte stronzate!” si infiamma il vecchio. “La verità è che ho avuto paura.”
“Tu? Paura? Di che cosa?”
“Ti stupisci? Invece ho avuto paura della sofferenza.”
“Ho capito. Hai temuto che operare una scelta ti potesse procurare dolore.”
Lui sospira. Scuote il capo con energia.
“Mi dispiace ma non hai capito nulla. Della pena che avrei procurato a me stesso non mi sarebbe importato nulla. Il patimento che ci infliggiamo in seguito alle nostre balorde decisioni può essere governato e con il trascorrere del tempo si finisce con il rielaborare il tormento. È possibile, pur con molta fatica, riuscire a ritrovare un po’ di serenità. Si rimuove, almeno in parte, ciò che ci ha causato strazio e angoscia anche se non si riesce mai a dimenticare. Ricordati, una cattiva scelta ti affliggerà per sempre ma tu non potrai mai rinnegarla del tutto, perché così facendo rinnegheresti te stesso.”
Il vecchio tace e beve un sorso di vino. Poi si accende un sigaro.
“E allora?” chiedo, incitandolo a proseguire.
“Ho procurato sofferenza a due persone. Ciò per me è imperdonabile, non posso fare a meno di pensarci praticamente ogni giorno. Questa è la mia condanna, che mi porterò dietro fino alla tomba.”
“Per tale ragione hai deciso di vivere da solo, isolato da tutto e da tutti?”
“Vissuto, dici? No, non credo di aver più vissuto. Con la vita ho chiuso allora, quando sono fuggito.”
“In base alla tua esperienza che cosa mi consigli? La mia situazione è molto simile alla tua. Prima o dopo dovrò prendere una decisione. Oppure anch’io dovrò scappare?”
“Ragazzo, non so che dirti. Forse sceglierai, o forse no. È possibile che saranno gli eventi stessi a condurti a una risoluzione. In tal caso sappi che la gioia di un essere umano andrà a scapito della sofferenza di un altro. Questa è la vita, quella che io mi sono rifiutato di vivere. Adesso vai, e non tornare mai più da me. Non voglio sapere come andrà a finire la tua vicenda. Non ho nessuna intenzione di stare a consolarti o a compatirti. Non sono in condizione di farlo, non ne ho voglia.”
Il vecchio spegne il sigaro, si alza e ritorna nell’orto, mentre io rimango seduto, sempre più preda della mia disperata inquietudine.

Nessun commento:

Posta un commento