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lunedì 31 ottobre 2011

QUESTIONE DI GUSTO


La sala di un grande ristorante. Prima il buio. Poi, improvvisa, la luce. La sigla rumorosa. L’inquadratura è su un solo tavolo, tutti gli altri sono vuoti. Mario Panzotti si volta, saluta il pubblico con un cenno del capo leonino. Visto da lontano sembra un pianista, un concertista che sta per iniziare il suo recital.
In sovrimpressione scorre il titolo del programma: Peccati di gola.
L’uomo è un famoso critico gastronomico. La sua è la trasmissione più seguita della televisione.
L’idea è semplice: Panzotti, unico ospite del locale, divorerà in silenzio dieci portate. Alla fine, dopo alcuni minuti di riflessione, esprimerà il suo gradimento attribuendo un voto al pasto. A ogni puntata si cambia ristorante. Il pubblico gradisce questa formula elementare. Il successo è incredibile.
Primo piano. Il critico appare molto concentrato. Rivolto alle telecamere allenta la cintura dei pantaloni. L’enorme addome deborda, si spande fin sulle cosce dell’uomo. Che  infila un enorme tovagliolo nel colletto della camicia.
Adesso è davvero pronto. Le luci si abbassano. Entra il primo cameriere. Inizia il pasto. Milioni di spettatori sono incollati agli schermi. Una microcamera fissata a un molare permette di riprendere tutti i particolari della masticazione. Il cibo triturato che, poco alla volta, si trasforma in bolo. Sono queste le immagini più suggestive, più spettacolari. Si sta già pensando di estendere questa tecnica di ripresa. In futuro sarà possibile introdurre apparecchi miniaturizzati all’interno di stomaco e intestino. Il pubblico, sempre più esigente, lo pretende. Non vuole perdere nulla.
Panzotti ha la bocca unta. Di proposito non si pulisce. Schiocca le labbra, emette piccoli grugniti di piacere. Gemiti di gradimento. A volte smorfie di disappunto. Quando ciò accade, tutti trattengono il fiato.
I piatti si susseguono a intervalli regolari. Il critico slaccia ancora di più la cinta. Tutto il suo corpo si espande, pronto a ricevere enormi quantità di cibo.
Lontano, dall’altra parte del mare, un’altra tavola imbandita. Un uomo solo seduto. Il suo piatto è vuoto. Dietro di lui, in piedi, una persona lo osserva, con malcelata preoccupazione.
“Emiro, nulla anche oggi?”
“No.”
“Prendete qualcosa, ho assaggiato tutto personalmente.”
“Un po’ d’acqua, per favore.”
Viene servito, ma nulla accade. Lui rimane immobile.
“No, ho cambiato idea. Non mi fido.”
“Non potete continuare così.”
Una scrollata di spalle.
“Emiro!” Un appello accorato.
“Allora fate qualcosa” dice l’uomo vestito di bianco.
“La morte di Abdul è stata una vera disgrazia. Non sarà facile sostituirlo.”
“Ti pago per questo. Devi trovare una soluzione. Subito.”
“Sì, subito. Tuttavia…”
“Voglio lui” dice l’emiro, all’improvviso.
“Eh?”
Entrambi ora hanno gli occhi fissi sul grande schermo appeso di fronte al tavolo. Dal satellite arrivano le immagini di quello strano programma. Il grassone inquadrato in primo piano è quasi giunto alla fine del pantagruelico pasto. Ha lo sguardo annebbiato. Soffoca un piccolo rutto, poi sorride.
“È impossibile. Non accetterà mai.”
Nella voce del servitore c’è sconforto.
L’emiro si alza. Non ha mangiato nulla, né ha bevuto.
“Nulla è impossibile. Dipende dall’offerta” dice prima di allontanarsi.
Dall’altra parte del mare la trasmissione è appena terminata. Mario Panzottti, sostenuto da due uomini robusti, si alza dal tavolo. Ha già espresso il suo giudizio. Parte la sigla finale. Pervengono i primi dati di ascolto. Si tratta di numeri impressionanti. Un trionfo.
Nel camerino. Panzotti si riprende a fatica. La sua prestazione è stata ottima ma spossante. È gonfio, appesantito. Si muove lentamente.
“Panzotti, la vogliono al telefono.”
“No, non sono in grado di parlare.”
“Pare sia importante.”
Un sospiro rassegnato. Uno sbuffo nervoso. Da balena.
L’uomo afferra il telefono. Il ricevitore sparisce nella sua mano, che ricorda un canotto gonfiabile. Conversa alcuni minuti. Sembra interessato e coinvolto.
“Me ne vado” dice alla fine, rivolto ai presenti.
Incredulità generale. Poi comprendono, anche se fingono il contrario.
“Avete capito benissimo. Lascio la trasmissione.”
“Proprio adesso? Tra un po’ ci sarà il rinnovo del contratto. Se la questione è economica…”
Il produttore è affranto. Non sa che dire.
“Ho ricevuto una proposta alla quale non intendo rinunciare. Sarò il consulente gastronomico dell’emirato di…”
“Le daremo di più!”
“Di più? Sicuri?” Poi Panzotti spara la cifra.
Tutti ammutoliscono. Chinano il capo, sconfitti.
“Scusatemi” aggiunge il critico. “Devo andare a vomitare quelle nove portate.”
“E la decima?” domanda il regista.
“Non era del tutto male. Ho deciso di tenerla.” dice Panzotti. Si allontana e si dirige verso il bagno.
Di nuovo dall’altra parte del mare.
“Allora?” domanda l’emiro. È sdraiato su un gigantesco divano. Si sente debole. Il digiuno lo sta fiaccando sempre più.
“Ha accettato!” C’è gioia nella voce del servitore.
“Ne ero sicuro.”
“Ha accolto tutte le nostre le condizioni. Abbandonerà quel programma immediatamente. Domani dovrebbe essere già qui.”
L’emiro annuisce. Pensa che potrà finalmente riprendere a mangiare.
“Speriamo che duri più del povero Abdul” aggiunge il servitore.
“Qui da noi, purtroppo, gli assaggiatori non hanno mai vita lunga” dice l’emiro. Poi si assopisce, ormai sereno.



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