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domenica 16 ottobre 2011

L'EREDITA'



L’anziana signora Lucci siede sulla sua poltrona preferita. Malgrado la sua veneranda età, la donna conserva un aspetto giovanile, la sua figura è snella e impettita, i capelli sono curati come sempre e l’abito che indossa è molto elegante.
Di fronte a lei c’è una sua più giovane amica, la signora Tanzi che, come fa quasi ogni giorno, si è recata a farle visita.
“Hai mai pensato di poter ricevere un’eredità?” domanda all’improvviso la signora Lucci, dopo aver riflettuto a lungo. L’altra donna sembra sorpresa.
“Un’eredità? Io?”
“Certo. Perché no?”
“Ma sono sola! Non ho più parenti, chi potrebbe mai fare una cosa simile?”
“Non esistono solo i parenti. Ci sono gli amici, oppure semplici conoscenti che potrebbero comunque decidere in tal senso.”
“Impossibile. Ti ripeto, non frequento nessuno, non esco mai di casa se non per fare la spesa e venire a far visita a te. Chi vuoi che possa pensare a me?”
“Però potresti darti da fare” insiste la signora Lucci. “La fortuna può essere aiutata.”
La signora Tanzi ha un’espressione sempre più incredula.
“In che modo? Non capisco” dice.
“Per esempio potresti occuparti di una persona anziana e sola, aiutandola, facendole compagnia. Alla fine, probabilmente, ti dimostrerebbe tutta la sua riconoscenza donandoti i suoi averi e tu non avresti più problemi.”
“Come sai che ho dei problemi?” domanda la signora Tanzi, diffidente. “Non te ne ho mai parlato.”
“Mi è stato riferito. Sai, da tempo non lascio più l’appartamento, ma tu non sei l’unica persona con la quale ho mantenuto dei contatti” risponde la signora Lucci.
“Ma da te non ho mai visto nessuno! A parte il prete, naturalmente. Il prete! È stato lui, vero?”
La signora Lucci sospira.
“Don Gualtiero. Credimi, si tratta veramente di una gran brava persona. Te lo assicuro.”  
“È un gran pettegolo!” esclama la signora Tanzi.
“Hai ragione, quello è il suo unico difetto.”
“Non doveva permettersi di farlo.”
“Che importa, tanto siamo amiche. Non c’è nulla di male se io conosco la tua reale situazione. In ogni modo, comprendo che tu non me ne abbia mai parlato, si tratta di un pudore del tutto motivato. Comunque, che ne dici della mia proposta?”
“Cos’hai oggi? Perché fai questi strani discorsi? Sai benissimo che io non sono il tipo adatto per fare certe cose. Mai e poi mai starei dietro a una vecchia nella speranza di carpirle l’eredità!”
“Perché no?”
“Per il semplice motivo che possiedo una mia dignità, alla quale non ho nessuna intenzione di rinunciare.”
“Stai peccando di orgoglio” dice la signora Lucci, sorniona.
“Ti sbagli!”
“Non ci sarebbe niente di male se tu agissi in buona fede.”
La signora Tanzi guarda l’amica con attenzione.
“Che cosa vuoi dire?”
“Bé, dovresti dedicarti con grande impegno al tuo compito pur senza avere la certezza del risultato finale. Ciò, in un certo senso, dimostrerebbe che non agisci soltanto per interesse.”
“Mi dispiace, ma non ti seguo.”
“Sicura?”
“Assolutamente sì! Io non mi occupo di vecchie! I loro beni non mi interessano! Cioè, in realtà potrebbero pure interessarmi, tuttavia non credo di…”
“Sei combattuta?”
“No! Ma perché stiamo parlando di questo? Che cosa ti è preso? Cambiamo discorso, per favore.”
“Come vuoi. Scusami, una povera donna anziana e sola a volte può apparire come piuttosto eccentrica.”
“Stai tranquilla, non c’è alcun problema. Oh! Si è fatto davvero tardi, devo proprio scappare.”
“Hai degli impegni?” chiede la signora Lucci.
“Impegni? No, non ho mai impegni. Soltanto, è l’ora di andare.”
“Capisco” dice l’anziana donna.
La signora Tanzi si alza, saluta e se ne va.
Appena la porta si chiude, la signora Lucci scuote la testa, sconsolata. Poi afferra il bastone, con un po’ di fatica si rimette in piedi e si dirige nella stanza da letto. Il suo cane, il barboncino Flick, che fino a quel momento era rimasto acciambellato ai suoi piedi, la segue. La donna scosta un quadro, sotto al quale è celata una piccola cassaforte. Prende una chiave tiene appesa al collo e la apre.
“Flick, hai sentito? Avevi proprio ragione tu.”
Il cane annuisce, serio.
La signora Lucci estrae dalla cassaforte un foglio carta, poi torna in salotto e si accomoda a un minuscolo scrittoio. Stende il foglio sul piano. È il suo testamento. Lo ha redatto il giorno prima, lasciando in bianco il nome del suo erede universale. Prende una penna e, con mano ferma, verga quell’unica parola mancante: Flick.

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