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domenica 1 maggio 2011

IL CORTEO



La voce di sua moglie lo sveglia di soprassalto.
“Mario! Non ti alzi?”
Uno sbuffo. Un grugnito.
“Eh?” dice, ancora assonnato.
“È tardi, non vai al corteo?” insiste lei.
“Come dici? Il corteo? Ah, sì! Ora mi alzo, grazie.”
“Ma Fortunato non passa a chiamarti, come gli anni scorsi?”
“No, non passa. Ci troviamo direttamente in piazza. Perché non vieni anche tu?”
Lei sorride.
“No, Mario. Lo sai che ho da fare. Chi lo prepara il pranzo? E poi mi troverei a disagio tra i tuoi compagni di lavoro.”
“Già, hai ragione.”
Si sfila il pigiama, con gesti stanchi. Una rapida sosta in bagno ed è già pronto.
“Ma non ti sei neppure fatto la barba!” dice la donna.
“No, non l’ho fatta, non faccio in tempo.”
“E non mangi nulla? Prendi almeno un po’ di caffè.”
“Sì, un po’ di caffè lo prendo, grazie.”
Lei provvede con sollecitudine a servirlo. I modi gentili del marito riescono ancora a stupirla, anche dopo tanti anni. Ed è contenta di prendersi cura di lui.
Lui sorseggia il caffè. Ringrazia di nuovo.
“Bene, adesso vado” dice, poi si avvicina alla moglie e la bacia sulla guancia.
“Così?”
“Come?”
“Te ne vai così?”
Lui la guarda, smarrito. Non capisce.
“La bandiera! Non la porti la bandiera?”
“Ah! Hai ragione. Dov’è? Non ricordo…”
“Aspetta, lo so io” dice lei. Ritorna dopo qualche istante. Tra le mani ha una vecchia bandiera, di colore rosso, fissata a un’asta di legno.
“L’hai sempre portata.”
“Sì, è vero, l’ho sempre portata. Saranno quasi trent’anni. Eppure me ne stavo dimenticando. Sarà la vecchiaia, mia cara…”
“Ma smettila! Adesso vai, altrimenti farai tardi sul serio.”
“Sì, vado. A dopo.” Ed esce.
Le vie sono affollate. Tanta gente. Giovani, anziani, famiglie intere. Tutti in attesa di unirsi al corteo, che è appena partito.
Mario sta in disparte, la sua bandiera è arrotolata. Si dirige verso i portici e, in parte nascosto dietro una colonna, assiste alla sfilata. Ci sono tutti: le autorità, e di alcuni di loro si potrebbe benissimo fare senza, le organizzazioni sindacali, tra cui la sua, e poi giovani e pensionati, i chiassosi ragazzi dei centri sociali tenuti d’occhio da alcuni poliziotti. E soprattutto ci sono loro, i suoi colleghi di lavoro, che marciano con il pugno alzato dietro lo striscione della fabbrica. Riconosce Aldo, Luigi e Fortunato, amici e compagni da una vita intera.
Sente i canti, gli slogan urlati, e si commuove. Appoggia a terra la bandiera, che è rimasta chiusa, l’abbandona sul selciato, e mesto si dirige verso casa. Ormai non può più rimandare, deve trovare il coraggio di dire a sua moglie ciò che lo tormenta da due giorni. E che lo ha fatto precipitare nella più cupa disperazione. Deve dirle che è stato licenziato.

Il ragazzo cammina con le mani in tasca sotto i portici della piazza. D’un tratto nota qualcosa a terra, proprio vicino ai suoi piedi. Si china e raccoglie quella che sembra una vecchia bandiera rossa. La dispiega, si guarda attorno e poi prova con impaccio a sventolarla. Il drappo, finalmente libero, sembra sorridere. Alcune persone, che si sono appena sfilate dal corteo, assistono alla scena divertite.
“Marco! Marco!” Una voce di donna.
“Marco!” Un’altra. Alla fine il ragazzo riesca a individuarle. Stanno venendo verso di lui e finalmente le riconosce. Sono Anna e Giada, le sue colleghe di lavoro. Anna è davanti. Marco riconosce la sua figura piena, il suo volto simpatico, i suoi capelli biondi. Dietro cammina Giada, con le sue gambe lunghe, il passo elastico, il caschetto di capelli neri. Entrambe hanno quasi il doppio dei suoi anni, tuttavia lui si trova bene con loro, in ufficio, e poi le donne mature gli sono sempre piaciute. Arrivano, e per prima cosa lo baciano, con sincero affetto.
“Eddài! Al corteo! Ecchì l’avrebbe mai detto?” L’entusiasmo di Anna pare incontenibile. Appoggia le mani sulle spalle di Marco, gli scompiglia i capelli.
“E addirittura con la bandiera? Perché non ci hai detto nulla? Potevamo organizzare insieme!” esclama Giada, pure lei eccitata per l’inatteso incontro.
Marco arrossisce, in evidente imbarazzo.
“L’ho trovata per terra e l’ho raccolta” cerca di giustificarsi.
“Cheffài? Ti vergogni? È bello che tu abbia portato la bandiera! È troppo figo!”
“Marco, che ne dici se andiamo a spizzicare qualcosa? Stamattina non ho neppure fatto colazione e adesso provo un certo languorino…” propone Giada.
Il ragazzo mette la mano in tasca e si accorge di non avere con sé il portafoglio. Si imporpora ancora di più. Anna però ha notato il gesto.
“Sìììì! Andiamo! Marco, sei nostro ospite al bar!” strilla la donna.
“Che c’è, ragazzino? Sei triste?” domanda Giada scrutandolo.
Marco la guarda negli occhi, per la prima volta.
“Questa festa è bella, ma mi ha provocato un attacco di malinconia. Sai, il mio contratto di lavoro scade tra un mese e allora sarò di nuovo un disoccupato, non più un lavoratore. E soprattutto non ci vedremo più.”
Anna lo colpisce sul petto con la mano aperta.
“Cazzo! Sei così giovane! Non pensarci, vivi la tua vita adesso, tra un mese si vedrà! E l’adesso per te è una abbondante colazione al bar in nostra compagnia! Che vuoi di più? Forza, muoviamoci!”
Marco annuisce, pensieroso.
“E la bandiera?” chiede.
“La bandiera? Se davvero l’hai trovata regalala a qualcuno” dice Anna. Poi la prende con delicatezza dalle mani di Marco e, con un gran sorriso, la porge a un uomo che sta passando.
“La vuoi?”

Amhed si ritrova tra le mani una bandiera. La esamina un attimo e poi l’appoggia sulla spalla.  Con gesto automatico porge una confezione di fazzoletti di carta a una donna che tiene per mano un bambino.
“Non ho bisogno di niente, grazie.”
“Scusa, perché tanta gente? Cosa è oggi?” domanda il venditore.
“Oggi? Ma è la festa dei lavoratori! Tieni, così ti prendi un caffè!” La donna gli da alcune monete. Lui ringrazia e prosegue il cammino. Esce dai portici e si infila nella via. Quasi senza accorgersi, si ritrova in mezzo al corteo. E vede tanti volti festanti. Nessuno fa caso a lui. Allora alza la bandiera e inizia a sventolarla con forza.  Alcuni operai, in tuta blu, lo notano, gli si stringono attorno e iniziano ad applaudire. Immediatamente, molti altri si uniscono all’applauso. Amhed, in quell’attimo magico, è felice. Non gli capita spesso. E sorride, mettendo in mostra i denti rovinati.




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