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sabato 28 maggio 2011

IL BALLOTTAGGIO



Il locale stava chiudendo. Dietro al bancone era rimasto un uomo che, dopo aver ultimato le pulizie, si stava accingendo a spegnere le luci. A un tratto vide un’ombra, qualcuno che si chinava per oltrepassare la saracinesca già in parte abbassata e si intrufolava all’interno.
“Ehi!” gridò il barista.
“Alberto, sono io!” Lo riconobbe.
“Tu? È da tempo che non ci vediamo!” disse il barista.
Il nuovo venuto era un individuo alto e magro, indossava un lungo soprabito e degli occhiali scuri che si affrettò a togliere. Il viso era stanco e segnato.
“Buonasera, signor sindaco” ribadì il barista. Il suo tono ora non era più meravigliato ma pesantemente ironico.
“Scusami per l’intrusione improvvisa ma…”
“E la scorta?”
“È rimasta fuori.”
“Ah! Volevo ben dire! Ormai non ti muovi più senza i tuoi angioletti!”
“Ne farei volentieri a meno ma purtroppo è una necessità” disse l’uomo con l’impermeabile.
Subito dopo ci fu un momento di imbarazzo. I due uomini, che un tempo erano stati grandi amici, non si incontravano da più di cinque anni.
“Hai bisogno di qualcosa?” ruppe il silenzio Alberto.
“No, no” rispose il sindaco. “Volevo salutarti. Sai, potrebbe essere l’ultima volta.”
Il barista sospirò.
“Perché hai accettato di ricandidarti?” domandò.
“Prima dammi qualcosa da bere, per favore. Ne ho bisogno.”
Alberto gli versò una grappa, l’altro afferrò il bicchiere e lo portò alle labbra con avidità. Nonostante gli anni trascorsi, non aveva cambiato gusti e abitudini, constatò il barista.
“Che cosa avrei dovuto fare?”
“Rinunciare, lasciare perdere, ecco cosa potevi fare.”
“La politica è una brutta bestia, è come una droga ed è difficile smettere. E poi, non credo di aver lavorato male…”
Alberto fece una smorfia, che l’altro notò con disappunto.
“Ho avuto il pieno appoggio dal mio partito…”
“Lo credo!” lo interruppe l’amico.
“…e pure tanti cittadini, tutti quelli che hanno avuto fiducia in me, mi hanno spinto a continuare…”
“Sicuro che fossero quelli che ti stimavano e non gli altri? I tuoi avversari, intendo dire?”
“Alberto, che cosa vorresti insinuare?”
“Be’, il nuovo sistema elettorale si presta a questi giochetti.”
Il sindaco finì di scolarsi la grappa, poi si passò le mani sugli occhi. Appariva sfinito.
“Lo credi davvero?” chiese con un filo di voce.
“Si dice in giro… l’ho sentito qui nel mio locale…”
“Non ci voglio credere.”
Alberto si strinse nelle spalle, poi versò di nuovo da bere, questa volta per entrambi.
“Il primo turno di voto non è andato molto bene” disse il barista.
“Eh? Come dici? Il primo turno?” si riscosse il sindaco. “Hai ragione, speravo di vincere subito, invece non è andata così. Comunque ce la posso ancora fare. Devo farcela!”
“Credi?” disse il barista, con distacco.
“Alberto! Ma ti rendi conto? Sai che vorrebbe dire essere sconfitto?”
“Che cos’è, una domanda retorica?” rispose l’altro. “Sappiamo benissimo quali siano le nuove regole per i ballottaggi. D’altra parte, tu hai accettato di partecipare, di metterti in gioco, e ora ne devi accettare le conseguenze.”
“Ma è troppo crudele!”
“Lo penso anch’io, ma le regole devono essere rispettate.”
“Sai una cosa?” disse il sindaco, pensieroso. “In realtà nessun altro voleva candidarsi, e io sono il sindaco uscente. Non ho potuto tirarmi indietro!”
“Già, capisco. Comunque la tua avversaria non sembra avere timori.”
“Lei è giovane e incosciente…”
“D’accordo, ma se perdesse… Tu, in fondo, la tua vita l’hai vissuta” disse il barista.
Al sindaco scappò un gemito. L’alcol stava cominciando a produrre il suo effetto.
“Alberto, sento che sarò io a perdere” disse, lamentoso.
“Mi dispiace, ma non posso fare nulla per aiutarti.”
“Neppure tuo padre? È pur sempre una persona molto potente…”
“Con mio padre non ho più rapporti da tempo, ma forse a te ciò era sfuggito, dal momento che anche noi due…”
“Ho capito, ho capito” disse il sindaco. “Ti prego, non infierire.”
“Perché il tuo partito ha accettato di approvare una simile legge?” domandò all’improvviso Alberto.
Il sindaco lo guardò negli occhi. Per un attimo Alberto vi scorse l’antica fierezza, ma anche la solita arroganza.
“Perché avevamo sempre vinto. Ed eravamo sicuri di continuare a farlo. Perché chi si opponeva a noi era gente senza cervello, che non aveva capito nulla. Gente misera e indegna. Infine, quale soddisfazione più grande può esserci che vedere il proprio rivale sconfitto, umiliato e alla fine giustiziato? In fondo, non si era detto che questo sistema permetteva una migliore selezione della classe politica? Chi è anche disposto a morire non può che essere profondamente motivato nel suo incarico, no?”
Alberto scrollò le spalle.
“Continuo a pensare che sia un sistema troppo brutale…” disse il barista.
“Alberto! Mi uccideranno!”
“…ma le regole sono regole.”
“Perderò! Non voglio morire!” urlò il sindaco con voce straziata.
Alberto scosse il capo, desolato.
“Dimmi che almeno tu voterai per me! In nome della nostra vecchia amicizia!” Il sindaco, ormai, pareva aver perso la testa. E la dignità.
“Vedi, il tuo programma elettorale non mi convince del tutto…”
“Alberto, ti prego!” implorò l’altro.
“No, credo che non voterò per te. Sai, quei nuovi piani di sviluppo urbanistico non…”
“Ahhhh!”




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