Finalmente abbiamo assistito
all’auspicato scatto del Partito Democratico, e proprio in una occasione molto
importante, l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Quando la situazione
appariva ormai bloccata, a causa della mancanza di qualsiasi accordo tra le
forze politiche presenti in Parlamento, la coalizione guidata da Bersani ha
estratto il coniglio dal cilindro proponendo per le presidenze delle assemblee
due personalità di grande prestigio e non appartenenti ad apparati di partito:
la terzomondista Laura Boldrini e l’ex procuratore nazionale antimafia Piero
Grasso. Entrambi, alla fine, sono stati eletti. E i cittadini, riconoscenti,
ringraziano.
Indubbiamente si tratta
di una vittoria per il segretario del Partito Democratico, che negli ultimi
giorni era apparso sempre più in difficoltà. L’essere riuscito a imporre due
figure di spicco come Boldrini e Grasso, nonché nuove alla politica, è un elemento
che, per ora, gioca decisamente a suo favore. Tra l’altro, a Palazzo Madama, si
è verificata una situazione imprevista: alcuni esponenti del Movimento Cinque
Stelle (i senatori siciliani?) si sono espressi a favore del magistrato
palermitano contravvenendo così agli ordini di scuderia che prevedevano di
imbucare la scheda bianca. E quasi subito c’è stata la scomunica nei loro
confronti da parte del padrone del movimento, Beppe Grillo, il quale ha
invitato i “colpevoli” di tale misfatto ad auto-denunciarsi e a trarne le
inevitabili conseguenze, vale a dire le dimissioni. Il M5S, in ogni caso, si
presenta già spaccato.
Sempre in Senato, il
raggruppamento di Scelta Civica, che fa capo a Mario Monti, ha votato compatto
scheda bianca. Un atteggiamento del tutto incomprensibile, legato a schemi di
vecchia politica. Monti aveva presentato con forza la sua candidatura a
presidente del Senato, proposta che era stata ritenuta inopportuna e
prontamente bloccata dal Presidente della Repubblica attraverso una decisa
opera di persuasione. Il premier infine ha ceduto, ma l’atteggiamento tenuto
dal suo gruppo durante la votazione è esecrabile. Chi rappresenta i cittadini
in Parlamento è comunque chiamato a decidere, e il non averlo fatto, tanto più
in un ballottaggio tra Grasso e Schifani, è degno di biasimo.
Se da un lato Bersani
può cantare vittoria, riguardo alla prospettiva di poter formare un governo la
situazione diventa più complicata. L’atteggiamento di chiusura del M5S di
sicuro perdurerà. Bersani, se riceverà l’incarico, presenterà in ogni caso le
sue proposte, sperando di raccogliere in Parlamento un consenso sufficiente a
far nascere il governo. Tale impresa appare al momento alquanto proibitiva. E
non si intravedono soluzioni alternative, se non quella di un altro esecutivo
tecnico garantito dal Capo dello Stato e con obiettivi limitati nel tempo e
nella sostanza. Si potrebbe anche prospettare la possibilità che, a un certo
punto, Giorgio Napolitano decida di rinunciare al suo tentativo di dare un governo
al Paese e che ceda il compito al suo successore, che dovrà essere eletto tra
poco più di un mese. Tra l’altro il nuovo presidente disporrebbe della
prerogativa (che Napolitano attualmente non possiede poiché in scadenza di mandato)
di poter sciogliere le Camere se si rivelasse impossibile trovare una soluzione
per la formazione di un esecutivo. Sorge però spontanea una domanda: quale
Presidente della Repubblica, come suo primo atto, manderebbe a casa il Parlamento
che lo ha appena eletto?
Ne vedremo ancora delle belle.
Ne vedremo ancora delle belle.
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