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domenica 17 marzo 2013

HABEMUS... PRESIDENTI



Finalmente abbiamo assistito all’auspicato scatto del Partito Democratico, e proprio in una occasione molto importante, l’elezione dei presidenti di Camera e Senato. Quando la situazione appariva ormai bloccata, a causa della mancanza di qualsiasi accordo tra le forze politiche presenti in Parlamento, la coalizione guidata da Bersani ha estratto il coniglio dal cilindro proponendo per le presidenze delle assemblee due personalità di grande prestigio e non appartenenti ad apparati di partito: la terzomondista Laura Boldrini e l’ex procuratore nazionale antimafia Piero Grasso. Entrambi, alla fine, sono stati eletti. E i cittadini, riconoscenti, ringraziano.
Indubbiamente si tratta di una vittoria per il segretario del Partito Democratico, che negli ultimi giorni era apparso sempre più in difficoltà. L’essere riuscito a imporre due figure di spicco come Boldrini e Grasso, nonché nuove alla politica, è un elemento che, per ora, gioca decisamente a suo favore. Tra l’altro, a Palazzo Madama, si è verificata una situazione imprevista: alcuni esponenti del Movimento Cinque Stelle (i senatori siciliani?) si sono espressi a favore del magistrato palermitano contravvenendo così agli ordini di scuderia che prevedevano di imbucare la scheda bianca. E quasi subito c’è stata la scomunica nei loro confronti da parte del padrone del movimento, Beppe Grillo, il quale ha invitato i “colpevoli” di tale misfatto ad auto-denunciarsi e a trarne le inevitabili conseguenze, vale a dire le dimissioni. Il M5S, in ogni caso, si presenta già spaccato.
Sempre in Senato, il raggruppamento di Scelta Civica, che fa capo a Mario Monti, ha votato compatto scheda bianca. Un atteggiamento del tutto incomprensibile, legato a schemi di vecchia politica. Monti aveva presentato con forza la sua candidatura a presidente del Senato, proposta che era stata ritenuta inopportuna e prontamente bloccata dal Presidente della Repubblica attraverso una decisa opera di persuasione. Il premier infine ha ceduto, ma l’atteggiamento tenuto dal suo gruppo durante la votazione è esecrabile. Chi rappresenta i cittadini in Parlamento è comunque chiamato a decidere, e il non averlo fatto, tanto più in un ballottaggio tra Grasso e Schifani, è degno di biasimo.   
Se da un lato Bersani può cantare vittoria, riguardo alla prospettiva di poter formare un governo la situazione diventa più complicata. L’atteggiamento di chiusura del M5S di sicuro perdurerà. Bersani, se riceverà l’incarico, presenterà in ogni caso le sue proposte, sperando di raccogliere in Parlamento un consenso sufficiente a far nascere il governo. Tale impresa appare al momento alquanto proibitiva. E non si intravedono soluzioni alternative, se non quella di un altro esecutivo tecnico garantito dal Capo dello Stato e con obiettivi limitati nel tempo e nella sostanza. Si potrebbe anche prospettare la possibilità che, a un certo punto, Giorgio Napolitano decida di rinunciare al suo tentativo di dare un governo al Paese e che ceda il compito al suo successore, che dovrà essere eletto tra poco più di un mese. Tra l’altro il nuovo presidente disporrebbe della prerogativa (che Napolitano attualmente non possiede poiché in scadenza di mandato) di poter sciogliere le Camere se si rivelasse impossibile trovare una soluzione per la formazione di un esecutivo. Sorge però spontanea una domanda: quale Presidente della Repubblica, come suo primo atto, manderebbe a casa il Parlamento che lo ha appena eletto?
Ne vedremo ancora delle belle.   

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