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venerdì 18 gennaio 2013

IL MIRACOLO


Mi devo alzare, pensò l’uomo, anche se non ne ho voglia. Guardò l’ora e vide che erano quasi le sei. Sto diventando pigro, non ho più la vitalità di un tempo. Scostò le coperte e rabbrividì. La stanza era gelida. Si era sempre rifiutato di installare un impianto di riscaldamento. Lo farà chi ci sarà dopo di me, ripeteva. Il freddo mi conserverà più a lungo, diceva scherzando ai suoi parrocchiani. Si alzò, infilò ai piedi le pantofole sformate e si diresse alla finestra. Aprì le imposte. Fuori era ancora buio. I profili delle montagne erano avvolti da un manto scuro e si intravedevano appena. Respirò a pieni polmoni una boccata di aria gelata e poi richiuse la finestra. A passo lento si avviò verso il bagno. Si sciacquò il viso e si lavò le mani con molta cura. Si esaminò allo specchio e decise che non si sarebbe rasato. Avrebbe dovuto far scaldare dell’acqua e forse non ne aveva il tempo. Che importa se un vecchio prete di montagna ha qualche pelo bianco sulle guance? Si sfilò il pesante maglione e i lunghi mutandoni di lana e iniziò a vestirsi, coprendosi con più strati di indumenti. Alla fine indossò la tonaca, ormai logora. Sono magro, osservò, sono tutto pelle e ossa eppure ho il ventre gonfio. I bottoni tirano proprio lì. La vecchiaia rimodella il corpo, lo rende rigido e sgraziato. Per non parlare dello spirito. Con l’età si diventa insofferenti e rancorosi.
L’uomo scese in cucina e si avvicinò al mucchio di legna accatastata con cura in un angolo, sulle mattonelle di pietra grigia. Lo osservò con sguardo critico. Scelse alcuni ramoscelli, li avvolse in carta di giornale e riempì la stufa. Poi la accese e, poco per volta, aggiunse dei pezzi più grandi. Quest’anno sono ancora riuscito a spaccare la legna, considerò tre sé, vuol dire che non sono ancora del tutto decrepito. Ma il prossimo? Si sedette al tavolo e si versò un bicchiere di vino. Il liquido denso e scuro era freddo e lo sorseggiò con lentezza. Non mi basta più il vino dell’Eucaristia! Ho bisogno di una dose supplementare. Finirò con il diventare alcolizzato. Scosse il testone per scacciare quel pensiero e si tagliò una fetta di formaggio che mangiò accompagnandola con del pane ormai duro. Rivolse un’occhiata all’orologio a pendolo. Si sta facendo tardi, devo sbrigarmi. Uscì dalla cucina, oltrepassò uno stretto corridoio e, attraverso una minuscola porta, entrò in chiesa. L’unica navata dell’edificio era avvolta dal buio. Accese le luci e vide che, inginocchiata nel primo banco, c’era una donna con il capo avvolto in un foulard. Stava pregando. Le indirizzò un cenno di saluto al quale lei rispose con un sommesso mormorio. Era la vedova di Tonio. Tuo marito l’ho seppellito io, ricordò, quasi un anno fa. Il vecchio era stanco e malato, non aveva più voglia di vivere, e arriva un momento in cui si dice basta.
La campana rintoccò sette volte e proprio in quell’istante un’altra vecchietta entrò in chiesa. Il prete indossò i paramenti e iniziò a recitare la messa. Due sole persone! Sempre peggio. Finirà che un giorno mi ritroverò da solo. In estate la chiesa a volte si riempie, ma sono tutti villeggianti. Adesso l’inverno incalza, sta per nevicare, e nessuno ha voglia di abbandonare il caldo del letto per venire ad ascoltare un vecchio come me, che dice sempre le stesse cose.
Il prete sbrigò in fretta l’impegno quotidiano. Neanche mezz’ora e tutto finì. Le due donne, dopo una genuflessione e un segno di croce, serrarono i cappotti, si avvolsero nelle sciarpe e uscirono. Si voltò verso l’altare per riporre il calice, dopo averlo ben strofinato, e notò quella strana cosa. Com’è possibile? Proprio qui? Si chinò per vedere meglio. Passò la mano in un punto preciso della superficie di pietra e la ritirò bagnata. Sembrava acqua. Portò un dito alla bocca e assaggiò. Questo liquido sembra salato. Non ci credo. Perché deve capitare proprio a me, un vecchio e stanco servitore di Dio, una cosa del genere? Si tolse di dosso i paramenti, gettandoli a terra. Dalla tasca estrasse un fazzoletto, sporco, e strofinò l’altare finché quel punto non fu perfettamente asciutto. Poi arretrò di qualche passo e osservò l’intero bassorilievo. Conosco bene la storia di questa scultura. È bizzarra. Mi è stata raccontata appena sono arrivato in paese, tanti anni fa. Tutti la sanno. Questa è l’opera di Bastianino, un ragazzo cui toccò di andare in guerra. Partì, e per quattro anni non si seppe nulla di lui. Nessuna lettera, nessuna notizia di alcun genere. Erano tutti convinti che fosse morto. I genitori si disperarono a lungo; a un certo punto quasi si rassegnarono. Invece alla fine tornò, ma non volle mai raccontare che cosa era veramente successo. Era felice di essere sopravvissuto e intendeva ringraziare il Signore. Decise che avrebbe scolpito una pietra da sistemare alla base dell’altare. Una specie di ex-voto. Bastianino era bravo in tutte le attività manuali e molto abile con lo scalpello. Non voglio soldati e cannoni sull’altare, questa è pur sempre una chiesa, aveva raccomandato il vecchio don Anselmo. Non si preoccupi, aveva risposto il ragazzo. E si era messo subito all’opera. Aveva lavorato quasi senza sosta per due mesi per ultimare la scultura, questa immagine che, dopo quasi cent’anni, ho davanti agli occhi. Il prete ne scrutò l’insieme. Un enorme trono, sul quale è seduto Dio, circondato da angeli, arcangeli e cherubini. Il suo sguardo è fiero e severo allo stesso tempo. Sotto il suo piede destro, con un’espressione sofferente, è raffigurato un demone, forse Lucifero. Un’opera di grande pregio. Bastianino, nonostante il suo grande talento, dopo quel bassorilievo non volle scolpire mai più.
E ora che faccio? Nulla. Forse questo strano fenomeno non si ripeterà. Però sono agitato, rimuginò, e molto turbato. I miei ultimi anni di vita, che immaginavo tranquilli, saranno invece terribili. Sconsolato, tornò a letto.
Il mattino dopo, purtroppo, l’evento si ripeté. È inutile, rifletté ormai rassegnato il prete, tanto vale che lo chiami con il suo vero nome: miracolo, prodigio, segno. Dopo la messa andò nel piccolo studio adiacente alla sacrestia. Non lo usava mai. Se qualche parrocchiano mi vuole parlare, mi manda a chiamare, e non viene certo qui. Si sedette alla vecchia scrivania. Notò che il piano era pieno di crepe, e impolverato. Cominciò a frugare nei cassetti, nei quali regnava un grande disordine. Alla fine recuperò un foglio di carta un po’ ingiallito. Cercò una penna e la impugnò tra le dita nodose. Non scrivo mai, rimuginò, chissà se ne sono ancora capace. Una volta, a Natale e a Pasqua, mandavo gli auguri a mia sorella. Ma adesso non più. Maria, ormai da qualche anno, è ricoverata in una casa di riposo. Ha passato la vita a pregare, ad andare in chiesa e ai funerali, per qualche tempo mi ha fatto da perpetua, e adesso non riesce neppure a reggersi in piedi. Doveva fare la suora, mentre io avrei dovuto costruire una famiglia, avere dei figli. Abbiamo sbagliato entrambi, abbiamo sprecato le nostre vite. E adesso è troppo tardi per rimediare. Sospirò e poi iniziò a scrivere, dapprima in modo incerto e via via con maggiore fluidità. Quando terminò, si rese conto di essere sudato, nonostante l’ambiente non fosse riscaldato. Attraverso la finestra vide alcuni timidi fiocchi di neve che volteggiavano in aria a lungo prima di decidersi a cadere a terra. Ho dovuto farlo, ragionò, era mio dovere. Che dirà il vescovo? Darà retta a un povero e vecchio prete di montagna o lo prenderà per pazzo? Sigillò la busta, scrisse l’indirizzo e appiccicò un francobollo. E si augurò che la lettera andasse perduta. Rientrò in cucina e si versò un bicchiere di vino. Ne aveva proprio bisogno.


Un’auto, lussuosa, si arrestò di fronte alla chiesa. Erano le dieci del mattino e anche quel giorno faceva molto freddo. Il prete, seduto accanto alla stufa, stava sonnecchiando. Quando udì il rombo del motore, si riscosse. Sbirciò. Mio Dio! Si alzò in piedi, lisciò la tonaca e uscì.
“Buongiorno, don Pietro.”
“Eccellenza…”
“Mi scusi se non l’ho avvisata. Sono di passaggio da queste parti e ho pensato di fermarmi un attimo da lei. Sa, quella sua lettera mi ha incuriosito”
Il prete annuì e scrutò il vescovo. Era la prima volta che lo incontrava di persona e ne era un po’ intimorito. Da bambino, quando ancora non pensavo certo di prendere i voti, immaginavo vescovi e cardinali come persone molto grasse. Invece questo è alto e magro. Completamente calvo, con la pelle tirata sugli zigomi e il naso a becco. E non è vero che è passato per caso, è venuto apposta per me e per l’altare della mia chiesa. Bugiardo.
“Venga.”
Le due figure, una alta e solenne, l’altra minuta e con la testa grossa, percorsero lentamente la navata buia. Giunsero ai piedi dell’altare.
“È questa la pietra?”
“Sì, è quella. Guardi, sta ricominciando.”
Il vescovo si accovacciò. Passò la mano sul bassorilievo. La ritirò bagnata.
“E questo quando succede?”
“Tutti i giorni, da un paio di mesi.”
“Qualche suo parrocchiano se n’è accorto?”
“No. Ogni mattina, prima della messa, asciugo tutto.”
“Ha fatto bene. E lei come si spiega questo strano fenomeno?”
Il vescovo, mentre aspettava la risposta, ripassò ancora una volta le dita adunche sugli occhi del demone, dai quali sgorgavano copiose e calde lacrime.
“È un segno, ormai ne sono convinto.”
“Ma questa è opera di Satana!”
“No. Lo vede? Lui sta piangendo. Si è pentito, ha compreso di avere commesso un terribile sbaglio e adesso vuole il nostro perdono.”
“Si rende conto di che cosa sta dicendo? Se così fosse, non esisterebbe più la distinzione tra il Bene e il Male! I figli di Dio vivrebbero in pace. E allora quale sarebbe il nostro compito, d’ora in avanti? Che cosa ci rimarrebbe da fare?”
“Nulla.”

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