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martedì 9 dicembre 2025

I GUANTI DI LANA

Era una giornata fredda e ventosa, e Marta camminava a passo svelto lungo il viale alberato. Quando, al mattino, aveva percorso al contrario lo stesso tragitto, si era seduta un attimo su una panchina per fare una telefonata. Aveva sfilato i guanti e li aveva appoggiati al suo fianco. Poi, assalita dalla fretta, quando si era alzata aveva dimenticato di riprenderli. Chissà, forse i suoi guanti erano ancora sulla panchina, pensava Marta mentre procedeva, anche se in realtà non nutriva alcuna speranza di ritrovarli. Era ormai trascorso troppo tempo. Aveva appena finito il turno in ospedale, era stanca, e sentiva il bisogno di tornare a casa. Mentre era quasi giunta al termine del viale, notò un uomo seduto proprio su quella panchina. Marta si avvicinò. Lui, quasi di sicuro un senzatetto, aveva il capo chino e le mani arrossate dal gelo. Indossava un giaccone logoro e scarpe consumate. Accanto, sul sedile, c'erano un paio di guanti di lana, avvolti con cura in un fazzoletto di carta. Erano quelli di Marta.

"Sono suoi? " domandò con tatto la ragazza, indicando i guanti. L’uomo alzò lo sguardo, sorpreso. "No, li ho trovati lì stamattina. Qualcuno li ha lasciati. Non li ho voluti usare perché sembrano troppo belli per me" disse. Marta sorrise. "Non esistono guanti troppo belli per mani che ne hanno bisogno. Li metta, sono sicura che chi li ha perduti avrà ormai rinunciato a ritrovarli. E non li starà più cercando".

Poi raccolse i guanti e glieli porse. L’uomo esitò  un istante, poi li infilò lentamente. "Sono davvero caldi" disse con un filo di voce. "Mi chiamo Giorgio" aggiunse.

Nei giorni seguenti, Marta rifece spesso la stessa strada. Giorgio era sempre lì, le mani ben protette dai guanti di lana. Cominciarono a parlare. Lei a volte gli portava caffè caldo, lui le raccontava della sua vita: un lavoro perso, una casa svanita, una figlia che non vedeva da anni. Marta ascoltava, senza giudicare, lo esortava a riappacificarsi con la figlia, e gli parlava del suo lavoro in ospedale.

Una mattina, Giorgio non c’era. Neppure il giorno dopo. Né quello dopo ancora. Marta si preoccupò, chiese in giro, ma nessuno sapeva nulla. Finché, una settimana dopo, al suo ingresso in ospedale, fu fermata da una collega dell'accoglienza. In mano aveva un pezzo di carta.

"Qualcuno l'ha lasciato per te" le disse, porgendole un biglietto scritto a mano su carta ruvida.

"Cara Marta, quei guanti mi hanno scaldato le mani, ma tu mi hai scaldato il cuore. Ho trovato il coraggio di cercare mia figlia. Mi ha accolto. Ora ho un tetto, un letto, e una seconda possibilità. Grazie per avermi visto, quando nessuno lo faceva. E grazie per i guanti. Con affetto, Giorgio".

Marta lesse il biglietto più volte, con le lacrime agli occhi. Giorgio aveva capito che i guanti erano suoi. E aveva compreso che dietro quel piccolo dono c'era la forza di un incontro, la potenza dell'ascolto, la bellezza dell'umanità. Aveva ricambiato sforzandosi di fare proprio ciò che lei aveva suggerito. 

 

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