Era
una giornata fredda e ventosa, e Marta camminava a passo svelto lungo il viale
alberato. Quando, al mattino, aveva percorso al contrario lo stesso tragitto,
si era seduta un attimo su una panchina per fare una telefonata. Aveva sfilato
i guanti e li aveva appoggiati al suo fianco. Poi, assalita dalla fretta,
quando si era alzata aveva dimenticato di riprenderli. Chissà, forse i suoi
guanti erano ancora sulla panchina, pensava Marta mentre procedeva, anche se in
realtà non nutriva alcuna speranza di ritrovarli. Era ormai trascorso troppo
tempo. Aveva appena finito il turno in ospedale, era stanca, e sentiva il
bisogno di tornare a casa. Mentre era quasi giunta al termine del viale, notò
un uomo seduto proprio su quella panchina.
Marta si avvicinò. Lui, quasi di sicuro un senzatetto, aveva il capo chino e le
mani arrossate dal gelo. Indossava un giaccone logoro e scarpe consumate.
Accanto, sul sedile, c'erano un paio di guanti di lana, avvolti con cura in un
fazzoletto di carta. Erano quelli di Marta.
"Sono
suoi? " domandò con tatto la ragazza, indicando i guanti. L’uomo alzò lo
sguardo, sorpreso. "No, li ho trovati lì stamattina. Qualcuno li ha lasciati.
Non li ho voluti usare perché sembrano troppo belli per me" disse. Marta
sorrise. "Non esistono guanti troppo belli per mani che ne hanno bisogno.
Li metta, sono sicura che chi li ha perduti avrà ormai rinunciato a ritrovarli.
E non li starà più cercando".
Poi
raccolse i guanti e glieli porse. L’uomo esitò
un istante, poi li infilò lentamente. "Sono davvero caldi"
disse con un filo di voce. "Mi chiamo Giorgio" aggiunse.
Nei
giorni seguenti, Marta rifece spesso la stessa strada. Giorgio era sempre lì, le
mani ben protette dai guanti di lana. Cominciarono a parlare. Lei a volte gli
portava caffè caldo, lui le raccontava della sua vita: un lavoro perso, una
casa svanita, una figlia che non vedeva da anni. Marta ascoltava, senza
giudicare, lo esortava a riappacificarsi con la figlia, e gli parlava del suo
lavoro in ospedale.
Una
mattina, Giorgio non c’era. Neppure il giorno dopo. Né quello dopo ancora.
Marta si preoccupò, chiese in giro, ma nessuno sapeva nulla. Finché, una
settimana dopo, al suo ingresso in ospedale, fu fermata da una collega
dell'accoglienza. In mano aveva un pezzo di carta.
"Qualcuno
l'ha lasciato per te" le disse, porgendole un biglietto scritto a mano su
carta ruvida.
"Cara Marta, quei guanti mi hanno
scaldato le mani, ma tu mi hai scaldato il cuore. Ho trovato il coraggio di
cercare mia figlia. Mi ha accolto. Ora ho un tetto, un letto, e una seconda
possibilità. Grazie per avermi visto, quando nessuno lo faceva. E grazie per i
guanti. Con affetto, Giorgio".
Marta
lesse il biglietto più volte, con le lacrime agli occhi. Giorgio aveva
capito che i guanti erano suoi. E aveva compreso che dietro quel piccolo dono
c'era la forza di un incontro, la potenza dell'ascolto, la bellezza
dell'umanità. Aveva ricambiato sforzandosi di fare proprio ciò che lei aveva
suggerito.


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