Scorgemmo quasi subito
il muro. Rimanemmo attoniti, quella costruzione non doveva esserci, non poteva
esserci. Non lì. Era alto quasi tre metri e si estendeva per almeno un
chilometro. Era stato fabbricato con grossi mattoni, utilizzando quella sabbia
rossiccia che era dappertutto intorno a noi. Sembrava antico, ma era ancora
solido. Il capo della spedizione diede l'ordine ad alcuni di noi di aggirarlo,
per vedere che cosa potesse esserci dietro. Non c'era nulla. Soltanto pietre e
sabbia. Mentre mi trovavo dall'altra parte del muro provai una sensazione
strana. Si trattava di una specie di risentimento per i compagni che erano rimasti
dalla parte opposta. Provai addirittura odio per alcuni di loro, senza alcun
motivo razionale. Avevamo passato anni ad addestrarci per quella missione.
Eravamo tutti molto legati, tra noi c'era autentica amicizia. Avevamo condiviso
gioie e dolori, speranze e delusioni, e proprio adesso che avevamo coronato il
nostro sogno li detestavo. Senza condividere tra noi in maniera esplicita lo sgomento,
nonostante la certezza che fosse sensazione comune, ci affrettammo a tornare
dall'altra parte del muro. In qualità di responsabile della squadra, toccò a me fare rapporto al capo spedizione.
Il maggiore mi apparve turbato. Appena mi ero avvicinato a lui si era scansato,
come se avesse paura di me. Aveva subito ripreso l'autocontrollo, mi aveva
invitato a riferire. Poco alla volta, mentre stavo parlando, la sua espressione
si era rasserenata. Anch'io, a quel punto, sentivo di aver ritrovato la
tranquillità. Ciò che era accaduto in precedenza era soltanto uno spiacevole
ricordo. Anche le altre squadre avevano terminato la breve esplorazione di quel
settore. Il muro era stato eretto nel nulla. Attorno, e oltre, non c'erano
resti di altre costruzioni. Non riuscivamo a comprendere quale potesse essere
la sua funzione. Ci avrebbero pensato gli esperti al nostro ritorno a tentare
di decifrare quell'enigma. Prima di proseguire, documentammo con cura ciò che
avevamo scoperto con rilevazioni, filmati e fotografie. Al termine il
comandante ordinò di creare un varco nel muro, un'apertura che potesse
permettere di vedere dall'altra parte. Sbigottiti, gli uomini protestarono in
tutti i modi. Non si poteva rovinare un manufatto di tale importanza. Lui fu
irremovibile, disse addirittura che la soluzione migliore sarebbe stata quella
di abbattere completamente quella costruzione, ma che non avevamo gli strumenti
adatti per farlo. In futuro occorrerà comunque procedere in tal senso,
concluse. I miei compagni, a malincuore, scontenti, si apprestarono a eseguire
l'ordine. L'unico che non aveva tentato di opporsi alla disposizione del capo
spedizione ero stato io. Non l'avevo fatto perché avevo capito. Quel muro non
doveva esserci, non poteva esserci. Non lì. Eppure c'era, incombeva su noi e in
qualche modo condizionava le nostre coscienze, la nostra consapevolezza, la
nostra percezione degli altri. Non potevamo permettere questo. Non anche su
Marte.
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