É una bella mattinata
di primavera e sto percorrendo in automobile una strada di campagna.
All'improvviso trovo la
carreggiata ostruita da una vettura che sta effettuando una manovra. All'auto è
agganciato un carrello e l'uomo al volante sta tentando di imboccare in
retromarcia uno stretto viottolo. L'operazione, sia per la sua complessità, sia
per l'evidente imperizia del conducente, si presenta piuttosto difficile.
L'uomo prova e riprova più volte, ma ogni suo tentativo non è premiato dal
successo. A un certo punto mi guarda, abbozza un sorriso imbarazzato, poi si
ributta in un nuovo tentativo di manovra. Anche se non le vedo, riesco a
immaginare le gocce di sudore che ormai imperlano la sua fronte spaziosa.
Dietro di me adesso si arresta un'altra automobile, e questo rende ancora più
febbrili e concitati gli sforzi dell'inesperto autista.
Io ho arrestato la
vettura, ho messo in folle e tirato il freno a mano. Sbircio con la coda
dell'occhio i ripetuti fallimenti dell'automobilista ma, nello stesso tempo, mi
guardo attorno. Vedo il cielo azzurro, le minuscole foglie degli alberi, di
colore verde acceso; sulla mia destra scorgo alcune galline che, con grande
impegno grattano il terreno con le zampe alla ricerca di cibo. Sono paziente,
mi sento molto paziente e, soprattutto, mi sento in pace con me stesso.
Di colpo la situazione
si sblocca. L'uomo è riuscito, chissà se per abilità tardiva o intervenuta
fortuna, a indirizzare il carrello nella giusta direzione e a liberare
finalmente la strada. Mi rimetto in moto. Lui mi indirizza un cenno, come a
chiedere scusa per il tempo che mi ha fatto perdere. Io sorrido e ricambio il
gesto, ma il mio non è un segno di accettazione puro e semplice, bensì un
ringraziamento. Sono davvero riconoscente a quell'autista incapace, perché mi
ha permesso di dare un senso a cinque minuti della mia esistenza che altrimenti sarebbero
stati insignificanti.
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