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domenica 22 ottobre 2017

LA CINA E' VICINA


Negli ultimi tempi il tema dell'immigrazione è stato di grande attualità, e lo sarà per molto tempo ancora. Si parla del problema degli sbarchi nel sud del nostro paese, e delle altre rotte via terra attraverso le quali i migranti cercano di entrare in Italia e in Europa, mentre si accenna ben poco, se non per nulla, a un genere di migrazione che tuttavia ha assunto un carattere sistematico: quella dei cinesi.
La comunità cinese è la quarta, per consistenza numerica, in Italia. Si tratta di quasi 350.000 persone, metà delle quali sono donne.
Per quale motivo si accenna così poco a questa pur importante migrazione, tra l'altro da un paese così lontano dai nostri confini?
Le ragioni, a mio avviso, sono più di una. Passiamo a esaminarle in maniera sintetica.
Innanzitutto i cinesi non arrivano mai in massa, ma con un flusso costante e continuo, attraverso canali quasi misteriosi. Ciò fa sì che il fenomeno non sia avvertito con evidenza, che passi quasi inosservato, che non sia percepito come una specie di invasione, a differenza di quanto avvenga nei confronti di chi giunge nel nostro paese, ad esempio, dall'Africa.
La comunità cinese è una comunità estremamente chiusa, autonoma e quasi del tutto autosufficiente. I cinesi che si trovano nel nostro paese non accampano richieste di diritti, sembrano essere poco interessati all'integrazione, per nulla attirati dall'ottenimento della cittadinanza del paese che li ospita.
I cinesi arrivati in Italia assumono un basso profilo. Raramente sono coinvolti in episodi di criminalità, anche se di sicuro non mancano i regolamenti di conti all'interno della comunità, ma ciò avviene senza clamore, senza creare e alimentare allarme sociale.
L'autosufficienza, economica e sociale della comunità cinese, è dovuta soprattutto al fatto che insieme alle persone arrivano anche capitali. Esistono, in Cina, società che investono e ricavano profitto dai migranti. Gli immigrati si ritrovano a gestire, per conto di tali società, numerose e varie attività commerciali: ristoranti, bar, sartorie, lavanderie. Il loro lavoro serve per ripagare la possibilità di migrare che hanno avuto. Diversamente da ciò che si crede, soltanto una metà degli immigrati cinesi è impegnato in una qualche attività commerciale. Gli altri risultano occupati, e spesso sfruttati, come operai nelle numerose piccole fabbriche di confezionamento di abiti. Insomma, come si può dedurre, si tratta di un fenomeno migratorio guidato dall'alto, rivolto a un preciso tornaconto, allo stesso modo in cui avviene, sempre da parte della Cina, in Africa, sebbene con modalità alquanto differenti (acquisto di grandi estensioni terriere da destinare a coltivazioni intensive).
I cinesi, una volta conclusa la loro attività lavorativa, immancabilmente fanno ritorno al loro paese di origine. É assai raro scorgere anziani cinesi nelle nostre città.
Un altro aspetto importante, che fa sì che l'immigrazione dalla Cina non sia colta nella sua reale dimensione, è quello religioso. La religione dei cinesi (qual è?) non disturba, non provoca la minima apprensione, è ridotta a forma del tutto irrilevante.
Da tutto quanto esposto si può dedurre che l'immigrazione cinese rappresenta un qualcosa di particolare, di unico, all'interno di un fenomeno che invece riproduce caratteristiche più comuni e condivise.


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