Un lungo palo era stato
issato proprio nel mezzo della piazzetta. Sergio e Giors, con l'aiuto di una
scala a pioli, avevano provveduto a ingrassare per bene l'asta e a sistemare
sulla sua sommità i premi. I due compari avevano fatto un ottimo lavoro: il palo
era più scivoloso di un'anguilla appena pescata.
Come di consueto, i
primi a cimentarsi nell'ardua impresa furono i giovani. Ci provarono a lungo,
prima uno poi l'altro poi un altro ancora. Non ci fu nulla da fare. Quei
giovanotti ben vestiti riuscivano a salire sull'albero viscido per non più di
un paio di metri, per poi ricadere a terra come sacchi tra le risate generali.
Magnìn gettò a terra il
mozzicone tutto insalivato, poi lo schiacciò bene facendo ruotare su di esso lo
scarpone.
"Non hanno energia"
commentò.
"Per forza, non
bevono" rispose Luigino. L'altro approvò convinto.
L'albero della cuccagna
era ancora inviolato. Lo sguardo dei presenti, a quel punto, si spostò verso un
angolino appartato della piazza.
"Ci deve provare
Gelu! Lui ci può riuscire!" urlò Costantino, il calzolaio.
Gelu era una persona
mite e schiva, che preferiva sempre stare in disparte. In quel momento era
seduto su una panchetta, in grembo aveva un bottiglione di vino quasi vuoto e
stava ascoltando la musica. Gli piacevano molto i valzer e le mazurke, e non si
stancava mai di starle a sentire, tuttavia non aveva mai avuto il coraggio di
cimentarsi nel ballo. Era troppo timido, e poi le donne gli facevano paura.
Gelu portava, ben calcato, il solito cappellino di paglia. Del suo viso si
intravedevano soltanto le guance non rasate, dalla pelle dura come il cuoio non
conciato, e il grosso naso. Sentendo pronunciare il suo nome, Gelu si alzò in
piedi. L'uomo era alto e smilzo, tuttavia aveva delle braccia molto muscolose e
smisuratamente lunghe, che gli arrivavano fin sotto le ginocchia.
"Gelu, provaci
tu!"
"Se non ci riesci
tu non ci riesce nessuno!"
"Dai che ce la
fai!"
La folla ormai lo
acclamava. Gelu, che non era abituato a essere al centro dell'attenzione, si
emozionò. Iniziò a correre verso l'albero della cuccagna, pronto a scalarlo ma,
anche a causa del troppo vino bevuto, calcolò male la distanza e cozzò con
violenza, di testa, contro il palo. Stramazzò al suolo, intontito. Alcuni
volenterosi lo portarono via.
Dolfo, il camionista,
diede una robusta spinta a Luigino e lo scaraventò al centro della piazza.
"Ci prova
lui!" disse.
Luigino, sebbene un po'
disorientato, annuì. Da quando sua madre e la scopa erano finalmente andate a
dormire aveva potuto rilassarsi e bere in pace. In più, con un'abile e furtiva
mossa, era riuscito a sottrarre la fiaschetta di liquore di prugna dal seno di
Michelina. L'aveva scolata tutta, l'equivalente di cinque sei cicchetti. Provò
per quasi mezz'ora ad avvicinarsi al palo, tra l'incitamento del pubblico, ma
non ci riuscì. Il fatto è che di alberi della cuccagna ne vedeva almeno una
decina, invece di uno, e non riusciva mai ad azzeccare quello vero. Ogni volta
abbracciava il vuoto e piombava rovinosamente a terra. Alla fine dovette
rinunciare.
"Eh! Per salire lì
sopra ci vogliono delle braccia d'acciaio" sentenziò Giovannino, un
anziano contadino con una pancia enorme.
"Braccia? Bastano
le gambe" disse Magnìn.
"Che cosa?
Vorresti farmi credere che tu riesci a salire senza usare le braccia?"
ribattè l'altro.
Magnìn lo guardò torvo.
"Ho detto che
salgo senza usare le braccia e lo faccio!"
L'intera piazza
ammutolì.
Magnìn, a grandi passi,
si avvicinò all'albero della cuccagna. In una mano aveva una sigaretta,
nell'altra una bottiglia di vino da un litro. Rifletté un attimo, poi
attorcigliò le gambe attorno al palo e, senza apparente sforzo, iniziò a sollevarsi.
Dopo pochi istanti era in cima. Tirò un paio di boccate dalla cicca e bevve un
sorso di vino, poi iniziò a staccare i premi e a buttarli di sotto. Centrò in
pieno il suo amico Romualdo con un grosso salame e lo mise fuori combattimento.
Almeno la moglie non potrà dire che è svenuto perché ha alzato troppo il
gomito, considerò tra sé il figlio dello stagnino.
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