Quando lo vedemmo la
prima volta, ne fummo tutti intimoriti. Non che fossimo dei novellini, quello
era già il nostro quinto anno di scuola e, negli anni trascorsi, avevamo avuto
quattro diversi insegnanti. Cambiare maestro era divenuta di conseguenza per
noi faccenda assai consueta. Al di fuori di qualche piccolo contrattempo nel
corso del primo anno (la maestra assegnata per il nostro esordio scolastico era
persona con evidenti e manifesti problemi di equilibrio psichico), gli anni
successivi erano filati lisci, allietati da maestre serene e pacifiche e con
spiccate doti materne. Adesso, invece, ci trovavamo di fronte quell'uomo
dall'aria severa e provvisto di minacciosa barba nera. In realtà il Maestro era
un ragazzo di poco più di venticinque anni, impegnato in una delle sue prime
esperienze di insegnamento; ma noi lo percepimmo, da subito, come persona molto
adulta. In fondo noi non eravamo che bambini.
La nostra era una
piccola scuola di campagna, frequentata per lo più da figli di contadini e
operai. Cinque classi e cinque aule in un grazioso edificio di inizio secolo. Non
c'era la palestra, naturalmente, ma soltanto un minuscolo cortile ricoperto di
ghiaia, utilizzato per la ricreazione.
Il Maestro vestiva
maglie dolcevita, pantaloni dal taglio antico, grosse scarpe, e sfoggiava una
inusitata risolutezza, rara in una persona così giovane. La sua voce, dal
timbro grave e sicuro, riusciva nello stesso tempo a mettere soggezione e a
calamitare all'estremo la nostra attenzione. Era ipnotica. Il suo metodo di
insegnamento era moderno e innovativo. Rispettava i programmi scolastici
desueti del tempo, insistendo molto sull'apprendimento dell'aritmetica e della buona
e corretta scrittura, tuttavia dedicava quantità rilevanti di tempo anche ad
altri aspetti della nostra educazione didattica. Il suo scopo principale era
quello di allargare la nostra conoscenza del mondo. A tale proposito ogni giorno si
presentava in classe con almeno due quotidiani, uno dei quali era sempre la sua
prediletta Unità. Intendiamoci,
all'epoca il giornale fondato da Antonio Gramsci era un quotidiano con i
fiocchi, che dedicava ampio spazio, oltre che alla politica interna, agli
avvenimenti internazionali. D'accordo, era pure un foglio di partito, ma a noi
quell'aspetto interessava poco. Non così fu per alcuni dei nostri genitori.
Alcuni di loro protestarono. Non ritenevano giusto che tali letture venissero
sottoposte a ragazzini. Il Maestro, di fronte a tali rimostranze, non batté
ciglio. Non si scompose neppure quando qualcuno minacciò di rivolgersi alle
autorità scolastiche. Non se ne fece nulla e fu una fortuna. Continuammo a
sfogliare e leggere i giornali che ci proponeva il Maestro, compresa la
discussa Unità, e tale attività
rivestì un ruolo di rilievo nella nostra preparazione, e ci consentì di
frequentare le scuole medie senza il minimo affanno. Era pure interessante e
sorprendente, ai nostri occhi di bamboccetti, l'atteggiamento del Maestro nei
confronti dell'insegnamento della religione. Quando, una volta la settimana,
veniva in classe il vecchio don Felice per la sua lezione di religione, il Maestro
lo salutava con gentilezza e rispetto e poi usciva dall'aula, per tornare
soltanto quando il prevosto aveva terminato.
Quelli erano gli anni
della guerra del Vietnam, e in quel bellissimo e appagante anno scolastico noi,
attraverso le notizie dei giornali, ne avevamo seguito il tragico svolgimento
in maniera scrupolosa. Un giorno di primavera il Maestro richiamò la nostra
attenzione. Disse che aveva per noi una sorpresa: l'indomani avrebbe portato in
classe una sua amica, una famosa giornalista che era stata inviata di guerra
per un giornale milanese che ben conoscevamo. Poi, serissimo come sapeva essere
lui, aggiunse che avremmo dovuto preparare delle domande da rivolgere alla
giornalista, e il tema era proprio il Vietnam, perché quella donna la guerra
l'aveva seguita proprio sul campo, e sarebbe stata in grado di soddisfare tutte
le nostre curiosità. Ma che le domande fossero precise, interessanti e ben
pertinenti, disse ancora, altrimenti gli avremmo fatto fare brutta figura.
Concluse dicendo che aveva parlato molto bene di noi alla sua amica. Il giorno
successivo tutti noi eravamo molto emozionati. Il Maestro arrivò in classe
accompagnato da una donna molto bella, che dimostrava meno dei suoi quarant'anni,
vestita in maniera sportiva, con la fronte spaziosa e capelli lunghi e lisci. La
giornalista ci donò, per la biblioteca di classe, alcune copie di due suoi libri.
Uno parlava del periodo di tempo che lei aveva trascorso alla base americana di
Cape Canaveral, insieme agli astronauti che in quel periodo si preparavano a
dare l'assalto alla Luna. L'altro era il resoconto della sua esperienza in
Vietnam. E fu di questo che ci parlò, sollecitata dalle nostre domande e dai
puntuali interventi del Maestro. In conclusione ci raccontò anche di quando era
stata ferita, un paio di anni prima, in una sparatoria avvenuta a Città del
Messico, (e non in Vietnam!) quando la polizia aveva aperto il fuoco contro gli
studenti che manifestavano. Insomma, quella fu per noi una giornata memorabile.
Quella giornalista, a noi allora sconosciuta, era Oriana Fallaci.
Il Maestro, nel seguito
della sua vita, ha fatto una meritata carriera. Già l'anno successivo
all'esperienza con la nostra classe, ottenne una cattedra alla scuola media.
Nel corso degli anni è diventato docente universitario, importante filologo e
critico letterario, nonché apprezzabile storico della lingua italiana, collaboratore di diverse riviste e quotidiani, curatore di progetti
editoriali.
Qualche anno fa gli ho
scritto una mail, alla quale lui ha prontamente risposto. Si ricordava
perfettamente l'esperienza giovanile nella piccola scuola di campagna.
Rammentava ancora i nomi di alcuni miei compagni di classe, in particolare
quelli dei ragazzi più problematici, dei quali mi ha chiesto notizie.
È raro che un semplice
insegnante elementare rivesta un ruolo così fondamentale nella formazione
educativa e culturale di una persona, di un ragazzino. Per me è stato così e
ancora oggi ringrazio il mio Maestro dalla barba nera.
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