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domenica 24 luglio 2016

IL CONTE


Il suo nome era Conte, ma noi fin da subito lo chiamammo il Conte. Era arrivato da noi con un incarico di tre mesi, nel quadro di un programma di reinserimento lavorativo per persone non più giovani che avevano perso l'occupazione. Lui diceva di avere cinquant'anni, ma noi pensavamo che ne avesse almeno dieci in più. Ne dimostrava settanta. Aveva un viso con guance paffute e il naso rosso, i pochi capelli rimasti, sempre in disordine e unti, gli contornavano i lati del cranio. Un grosso ventre cirrotico gli tendeva la camicia. Il Conte camminava con passetti brevi e veloci, scivolando sul pavimento senza alzare i piedi.
Ci raccontò che aveva lavorato tutta la vita sulle navi da crociera. Era un pianista. Aveva girato tutto il mondo, toccato tutti i porti. Aggiunse che negli ultimi anni, tuttavia, preferiva non scendere più dalla nave. Preferiva starsene da solo in cabina, oppure passeggiare per i ponti deserti, per godere di un po' di tranquillità, lontano dalla confusione che regnava durante i giorni di navigazione, quando la nave era come un immenso formicaio. In più poteva dedicarsi alle sue passioni, che in realtà era una sola: bere.
Il Conte ci disse che, al momento di stipulare un contratto di ingaggio, la sua preoccupazione era una soltanto. Non l'entità del compenso, del quale gli importava poco, ma l'inserimento della clausola che gli consentisse di avere bevande a volontà. In pratica era sempre ubriaco, sia quando dormiva sia quando rallegrava gli ospiti suonando il pianoforte. Ci confessò che di interi periodi della sua vita non si ricordava nulla. Alla fine, aggiunse, quel genere di esistenza gli era venuto a noia e aveva così deciso di non imbarcarsi più. Sospettammo che quella fosse una pietosa bugia. La verità era che, a causa dei suoi eccessi alcolici, non era più in grado di svolgere il suo lavoro. Notammo che le sue mani erano sempre percorse da un leggero tremito.
Il Conte non nominava mai nessun compositore o autore di musica. Non citava mai alcun brano musicale. Quando gli chiedevamo quali musiche eseguisse durante le lunghe serate sulla nave lui sorrideva, poi scrollava le spalle e diceva: musica da intrattenimento, pezzi romantici e roba simile.
Essendo un appassionato di pianoforte e tastiere, nonché esecutore dilettante, gli chiesi se fosse stato disposto a darmi qualche lezione. Pagando, naturalmente. Il Conte si indignò, si offese, poi mi disse che mi avrebbe impartito tutte le lezioni che desideravo, ma non voleva sentire parlare di compenso. Al più, gli avrei potuto offrire qualcosa da bere. Non se ne fece nulla. Non intendevo approfittare della sua generosità, né tanto meno alimentare il suo vizio.
Il Conte non era tagliato per il lavoro d'ufficio. Non imparò mai neppure a utilizzare la fotocopiatrice. Confondeva le pagine, inceppava di continuo la macchina, le sue fotocopie quasi sempre consistevano in un foglio bianco. Rinunciammo e ci accontentammo dei racconti delle sue avventure.
Il Conte, a suo dire, era stato un gran dongiovanni. Durante le crociere le occasioni di sicuro non mancavano: mogli annoiate, gruppi di amiche in cerca di trasgressioni, ragazzine che non vedevano l'ora di sfuggire al controllo dei genitori. Una vera pacchia. Ma quelli erano vecchi tempi. Al momento, il nostro amico doveva accontentarsi di amori mercenari. Ci raccontò, ammiccando, che una volta alla settimana si recava in un grande parco cittadino, a piedi perché non aveva la macchina, munito di una coperta. Sceglieva una ragazza, sempre nera perché erano le sue preferite, e con lei si appartava dietro a qualche cespuglio. Diavolo di un Conte.
Quando mancavano pochi giorni al termine del suo periodo di presunto lavoro, il Conte si ammalò. Cercammo di avere sue notizie, tentammo di rintracciarlo ma non sapevamo dove abitasse, e lui non aveva il telefono. Non lo vedemmo più.

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