Mi hanno detto:
"Vai in giro a fare un po' di domande, vedi che cosa si ricorda la gente,
che ne pensa, e poi scrivi un breve articolo che te lo pubblichiamo nel
prossimo numero, abbiamo ancora un piccolo spazio da riempire".
Bravi loro! Anzi, bravo
lui, il capo redattore, quello stronzo di Miccoli. A me non frega niente di
lavorare nel giornale studentesco, perché preferirei di gran lunga andare a
tirare due calci al pallone oppure fare un giro in bicicletta, invece mi tocca
subire questa odiosa corvée.
"Vedrai, il
professor Sensi avrà un occhio di riguardo nei tuoi confronti al momento di
decidere l'ammissione all'esame" dice sempre Miccoli. Magari ha pure
ragione, quel cazzone! Già, perché in italiano e storia non sono certo un
mostro, e scrivere articoli a sfondo storico sul foglio della scuola mi
permetterebbe di gabbare quel borioso insegnante di italiano e storia.
Ho detto a Miccoli:
"Cosa faccio, chiedo della guerra?"
Lui mi ha guardato come
se fossi un perfetto cretino.
"Che stai dicendo?
Quale guerra? Mica c'è n'è stata una sola!"
Ha pure ragione, il
brutto stronzo, di guerra c'è n'è stata più di una, questo lo so pure io.
"Devi definire
meglio l'argomento. Perché non ti concentri su un particolare periodo, non
molto conosciuto?"
"Fammi un esempio
e io eseguo" ho risposto.
L'altro ha sospirato a
lungo, scuotendo il testone.
"Chiedi del primo
periodo coloniale italiano, quello di fine Ottocento in Africa Orientale. Sai,
Crispi, Menelik, Adua..."
Ho annuito perché non vedevo
l'ora di farla finita e sono andato al bar a riflettere. Ci ho ragionato su il
tempo di tre consumazioni, poi ho preso un taccuino e una matita, sono salito
su un autobus e sono sceso in pieno centro, dove posso trovare più gente che
non ha un cazzo da fare e che magari si degna di darmi retta.
Vediamo: Crispi è
meglio non nominarlo, su di lui non ho le idee chiare e poi lo confondo sempre
con Depretis. Adua non so che cazzo sia, se un posto o una persona, quindi
meglio lasciare perdere. Ecco, chiederò di Menelik, che mi pare fosse il re di
qualche tribù africana che noi cercammo di colonizzare.
Vedo una anziana
signora venirmi incontro, infagottata in una vecchia pelliccia spelacchiata. Le
serro il passo.
"Signora, che cosa
sa dirmi di Menelik?"
Quella si blocca e
sbarra gli occhi, si stringe al petto la
borsetta.
"Le studiate tutte
per derubare le povere vecchie, eh?" dice a brutto muso.
"Sono uno
studente, sto conducendo un'inchiesta per il giornale scolastico" mi
difendo.
"Sì, e io sono la
regina Elisabetta" fa lei. No, non è la regina, ma di sicuro è una sua
coscritta.
"Non mi vuole aiutare?"
dico, cercando di intenerirla.
"Pussa via!
Ladrone!"
Rinuncio e la lascio
proseguire. Stupida vecchia! Incrocio lo sguardo di un ragazzo più o meno della
mia età. Non me lo lascio sfuggire.
"Menelik?"
gli faccio, al volo.
"Menelik vallo a
dire a tua sorella!" dice lui e poi mi fa un gestaccio. Che razza di ignorante!
Sdegnato, continuo la mia ricerca.
Mi avvicino a un uomo
di mezz'età vestito modestamente. Accetta di parlare e allora gli pongo la
solita domanda.
"Certo che so chi
è!" dice. Poi ci pensa un po' su.
"É nero?"
chiede infine.
"Sì".
"Feroce?"
"Be'... direi di
sì".
"Abbaia di
continuo?"
"Eh?"
"Ci sono! É il
cane dei miei vicini. Mi pare si chiami proprio Menelik!" dice con
entusiasmo.
"Ma..."
"Che cosa ho
vinto? Una maglietta? Un buono sconto?"
Mi allontano dallo
squilibrato e attiro l'attenzione di una donna che cammina lentamente
trascinando due pesanti sporte ricolme di frutta e verdura.
"Sa chi è
Menelik?" chiedo, mostrando il taccuino.
Sguardo vacuo, poi il
suo viso si illumina.
"Menelicche?
Quelle che si usano a Carnevale che ci soffi dentro e si allunga la
lingua?"
"Non proprio,
signora. Grazie lo stesso" dico. Lei, delusa, riprende i borsoni e
prosegue la sua camminata da casalinga-automa.
Il mio notes è
desolatamente intonso. Maledico Miccoli. Questa gente non sa un cazzo di robe
così vecchie. Se facessi domande su attori e cantanti avrei di sicuro più
successo, ma non posso scrivere di cantanti e attori sul giornale della scuola.
Non io, almeno.
Incontro un uomo un po'
in sovrappeso. Impugna una valigetta di cuoio e procede a piccoli passi. Lo
fermo.
"Il nome Menelik
le dice qualcosa?" domando.
Lui annuisce, si umetta
le piccole labbra rosse e poi dice: "Il Negus, vero?"
Centro! Aspetto che il
grassone prosegua. Lo fa rivolgendo lo sguardo al cielo.
"Mi ricordo che,
quando ero piccolo e mi sporcavo la faccia, mia madre mi diceva che sembravo il
Negus!" esclama. Poi la sua voce pigolante diventa all'improvviso triste.
"Ah, la mia povera
mamma! Ricordo che, nei giorni di festa, quando tutta la famiglia era riunita
intorno al tavolo da pranzo..."
Mi allontano mentre sta
ancora parlando, perso nei ricordi d'infanzia.
Ultimo tentativo, poi
tornerò da Miccoli e gli farò ingoiare il taccuino. E la matita invece...
Scorgo un vecchietto
all'angolo della strada, Sta fumando, pensieroso.
"Sa chi era
Menelik?" gli chiedo a bruciapelo. Lui mi lancia un'occhiata cattiva. Poi
sputa a terra.
"Quel porco!"
esclama rabbioso.
"Che cosa sa dirmi
di lui?" domando speranzoso.
"Siete dei
vigliacchi, tu e quelli come te! Vi siete fatti sconfiggere da un branco di
negri!"
"Che cosa?"
dico, interdetto. Perché se la prende con me?
"Voi giovani siete
degli smidollati. Avete disonorato l'Italia!"
"Scusi ma..."
"Siete scappati, e
vi hanno massacrato lo stesso. Vi hanno infilzato le chiappe con le lance. E
voi avevate i fucili!"
Mi accorgo che il
vecchio delirante è munito di un bastone e che ora lo sta brandendo. Cerca di
colpirmi in testa. Lo evito per poco, indietreggio. Lui ha la schiuma alla
bocca. Potrei neutralizzarlo facilmente, ma preferisco darmela a gambe. Mi insegue
per un paio di isolati, il vecchio demonio addirittura corre! Finalmente riesco
a seminarlo, mi fermo per prendere fiato e mi accorgo che ho pure perso il
taccuino. Disfatta completa, non mi resta che ritornare alla base.
"Che cosa hai
combinato?" chiede Miccoli appena mi vede. Lui è seduto al tavolo della
redazione del giornale studentesco, circondato da un paio di ragazze.
"Guardati, sei
stravolto. e sudato come un maiale" aggiunge. "Sembri un reduce della
battaglia di Adua". Poi ridacchia, e le due stangone gli fanno eco.
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