La pistola è stata
acquistata due giorni prima. Adesso riposa, e pesa, nella saccoccia dei suoi
calzoni sformati. Non si tratta di una vera pistola, perché quelle costano
troppo, e chi ha appena perso il lavoro e non sa come pagare la prossima rata
del mutuo un'arma autentica non se la può permettere. No, si tratta di una
semplice scacciacani, che all'occorrenza può scacciare anche i gatti, perché
no, pensa l'uomo. Ma a lui non interessano né i cani né i gatti, bensì i soldi,
poiché è di quelli che ha bisogno.
Cena: mangiato ha
mangiato e bevuto ha bevuto. Adesso si alza, trattiene un rutto e fa per
uscire.
"Dove stai
andando?" lo blocca la moglie.
La moglie! Lui la
squadra un istante, la fotografa con la mente, e la fotografia è uguale a tutte
quelle scattate negli ultimi anni: i capelli un cespuglio incolto, la pelle del
viso grigia e macchiata, gli occhi da tapiro e il naso bombato, le labbra
assenti. E poi, quel seno smisurato e quelle ridicole gambette!
"Vado in
garage" risponde.
"A fare che?"
"Non rompermi i
coglioni!"
Esce. In garage serra
la pistola nella morsa e inizia a lavorare con cacciavite punteruolo lima
martello (e bestemmie) finché lo stupido tappo rosso sguscia fuori dalla canna,
che rimane tutta sfregiata e deve essere ritoccata con un po' di vernice nera.
Ecco, adesso il ferro non sembra più un giocattolo, ma quasi una vera rivoltella.
Ficca dentro il tamburo sei colpi di quelli che fanno solo bum bum, sputa e poi
torna nell'appartamento, che è già tutto buio. Quella se n'è già andata a
ronfare, lui dopo aver guardato un po' di televisione rimane a dormire sul
divano.
Il giorno dopo
parcheggia l'auto scassata nella piazzetta del paese, a cento metri
dall'ufficio postale. Non il suo, di paese, ma un altro, perché lì nessuno lo
conosce e lui è mica scemo. Lascia le chiavi nel quadro, dopo potrebbe avere
fretta, e scende. Le precauzioni, tuttavia, non sono mai troppe. Allora prende
una calza di sua moglie, che prima di uscire ha rubato dal cesto della roba
sporca e tagliato, e se la infila in testa. Subito sente puzza di sudore. Che
maiala, quella! Era meglio se prendeva delle calze nuove, o almeno pulite, ma
ormai è fatta. Con quella cosa sugli occhi non è che ci veda benissimo ma,
tempo alcuni istanti, si abitua. Appena prima di entrare nell'ufficio postale. Apre
la porta, tira fuori la pistola e urla: "Fermi tutti, questa è una
rapina!" Subito si pente di non aver pensato a qualcos'altro da dire, di
più originale, di meno ridicolo. In ogni caso, ormai è andata.
I tutti sarebbero un campagnolo
corpulento con i gambali incrostati di merda di bestia e una vecchietta vestita
di nero. L'unica impiegata lo guarda con gli occhi sbarrati. È giovane, con i
baffetti e i capelli unti. Niente concorsi di bellezza per te, mia cara.
Si avvicina allo
sportello, arma spianata, e porge alla ragazza, facendola passare sotto la
fessura, una busta di plastica firmata CONAD.
"Ficcaci dentro
tutti i biglietti che hai" dice, con una voce che non sembra la sua. La
tensione? No, la maledetta calza.
L'impiegata ubbidisce,
la borsa si gonfia.
"Non passa
più" dice la brutta.
"Eh?"
"Non passa più
nella fessura, come faccio a ridargliela?"
"Cazzo!"
esclama l'uomo, che si trova ad affrontare una difficoltà del tutto imprevista.
Mantiene il sangue freddo e la risolve.
"Apri la porta,
esci da lì dentro e dammela!" ordina imperioso.
"Non posso, sono
chiusa dentro e non ho la chiave. Sa, è per motivi di sicurezza..."
Saltano i nervi. La
pistola, puntata contro il soffitto, esplode un colpo. Una bella fiammata, e
tanto fumo. Puzza.
"Il buco, sul
soffitto non c'è il buco, quel ferro è farlocco. E adesso ti spacco il
culo". Il campagnolo fa sentire la sua voce, mentre la vecchietta è quasi
schiattata per lo spavento, è a terra accartocciata e mormora Madonna,
Madonna..."
"Stai zitto,
mentecatto. Guarda che carico il revolver un colpo buono e uno no, e il prossimo
è quello buono, quello che bucherà la tua pancia". L'altro se ne sta calmo
calmo. Un buco in pancia per difendere i soldi della posta? No.
Però il furfante adesso
è preoccupato. Chissà quanti hanno sentito lo sparo! Magari qualcuno avrà già
chiamato i carabinieri. Esce di corsa, dopo aver dato un'ultima occhiata
all'impiegata. No, non vincerebbe lo stesso Miss Italia neanche buttando giù
tutto e ricostruendo da capo.
Ancora con la pistola
in pugno e la calza infilata sul muso raggiunge la macchina. Monta. Le chiavi
non ci sono! Dirimpetto, attraverso il parabrezza lercio, scorge un ragazzino,
tra le dita ha le chiavi e le fa oscillare. E ride pure, il disgraziato!
Scende dall'auto,
incazzato come una iena alla quale hanno sottratto una carogna. Non ci pensa un
attimo e spara al giovane briccone. Quello non fa una piega. Anzi, sembra
ancora più divertito. Il furfante si avventa sul moccioso, che si allontana
facendogli delle smorfie di dileggio. Nel frattempo in piazza sta accorrendo
gente, non c'è più tempo da perdere o lo acciuffano.
Si ferma, prende bene
la mira e scaglia con tutta forza il ferro verso un ginocchio del ragazzino.
Toc, lo colpisce secco. Quello si accascia urlando e piangendo e finalmente
molla le agognate chiavi.
"Ladro, ben ti
sta" urla all'indirizzo dello sbarbatello. "Che ti serva da
lezione!"
Poi sale in macchina e
mette in moto. Cioè, tenta di mettere in moto, perché la scassona non parte.
Con la coda dell'occhio intravede il campagnolo che sta arrivando di corsa e
impugna una vanga. Ma dove mai l'avrà presa, una vanga? Ce l'aveva per caso in
tasca?
Allora si mette a
correre pure lui. Attraversa la piazza, aggira la chiesa, e si lancia nei
campi. Salta fossi, abbatte nodosi steli di granoturco, affonda gli scarponi
nell'erba alta. Si è scordato di levarsi la calza e, nella foga della fuga,
anche se il suo tronco è bianco, non vede la grossa betulla che interrompe
bruscamente la sua breve carriera di furfante. Testa contro albero, vince
sempre l'albero.
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