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domenica 24 gennaio 2016

VENT'ANNI


Mi sveglio e il primo pensiero non può che essere quello.
Vent'anni! Oggi compio vent'anni!
Per niente assonnato balzo giù dal letto come una molla che scatta all'improvviso.
Vent'anni! Da oggi in poi si comincia a vivere sul serio. La vita è nelle mie mani, il mondo intero è ai miei piedi. Vado in bagno, svuoto il canarino, mi rinfresco, passo il rasoio canticchiando felice.
"Dei diciotto me ne fotto, mentre i venti son bollenti. A diciotto niente botto, mentre a venti siam contenti".
Mi fiondo in cucina, devo assolutamente ingurgitare qualcosa.
Vedo mia madre seduta al tavolo, con lo sguardo perso. È ancora in pigiama, gli occhi cisposi, i capelli arruffati, il volto esangue. Avrà già fumato almeno dieci sigarette e bevuto chissà quanti caffè. E pensato che cosa?
"Ciao mamma".
"Oh, ciao. Già sveglio?"
"Sì. Non devi dirmi nulla?"
"Non saprei..."
"Oggi compio vent'anni!"
"È vero. Tanti auguri". Tutto lì.
"Senti..."
Mi interrompe.
"Vuoi di nuovo fare la festa?"
"Eh?"
"Sì, come quella che abbiamo fatto per i diciotto anni".
"No, vorrei chiederti qualcosa".
"Che cosa?" Le sue labbra sono blu.
"Che cosa hai pensato quando hai compiuto vent'anni?"
Si accende un'altra sigaretta poi mi guarda. I suoi occhi sono ancora belli.
"Non mi ricordo" dice.
"Come? Non ti ricordi? Possibile?"
"Lo sai quanti anni ho, vero?"
"Certo, ne hai quaranta".
"E tu ne hai venti, proprio oggi".
Rifletto un attimo, poi ci arrivo.
"Ah! Ho capito". Distolgo lo sguardo, imbarazzato. Mi ficco in bocca tre biscotti, sorseggio un succo di frutta e poi mi alzo.
"Dove vai?"
"A fare due passi".
Esco. Imbocco la stradina che conduce al paese. Poco prima di arrivare in piazza c'è l'abitazione di Carletto. Lui, come sempre, è seduto davanti casa su una panca.
Carletto ha poco più di quarant'anni e non lavora. Anzi, non lavora più. Lo ha fatto per molti anni ma da qualche tempo ha smesso. Non è in pensione, d'altra parte è troppo giovane per esserlo, ma vive di rendita. Una rendita che non deve essere granché, dal momento che Carletto ha persino venduto la macchina, ma che tuttavia sembra essergli sufficiente per sopravvivere. Per spostarsi usa una vecchia bicicletta che era di suo padre, non frequenta bar o ristoranti o cinema, non compra giornali, non è mai andato in vacanza e non frequenta nessuno. Ogni tanto si alza dalla sua panchetta, va a comprare il pane e quel poco che gli serve, oppure si prende cura di alcuni cespugli di rose che crescono nel suo piccolo cortile e che sua madre aveva piantato. Nient'altro. In paese si mormora: Carletto, ormai, ha fama di sfaccendato. Lui se la ride. Eppure una volta non era così. Quand'ero bamboccio mi ricordo che andava sempre di fretta, era sempre affannato. Carletto era proprietario di un'officina di autoriparazioni molto ben avviata. Aveva diversi meccanici alle sue dipendenze. Me lo ricordo eccome quando tornava a casa per il pranzo, frettoloso e agitato. Allora era magro come un chiodo e non svestiva mai la tuta blu sempre sporca di grasso. Adesso si è appesantito ma il suo viso tondo ha la pelle liscia e levigata come quella di un bambino, non c'è la minima traccia di rughe sul quel volto pacioso.
"Ciao Carletto" lo saluto.
"Ohi!"
Lentamente si alza, mi si avvicina restando aggrappato alla rete di metallo che circonda la sua casetta, la stessa dei genitori e dei nonni.
"Tutto bene?" dico.
Lui si guarda attorno.
"Tutto tranquillo" risponde sorridendo.
"Lo sai che oggi compio vent'anni?"
"Bravo" dice, poi annuisce più volte.
"Carletto, ti posso chiedere una cosa?"
"Pronti, ho tutto il tempo del mondo".
"Quando tu hai compiuto vent'anni, che cosa pensavi?"
Lui mi guarda, non ha capito ciò che intendevo.
"Voglio dire, quali erano le tue aspirazioni, i tuoi progetti di vita?" preciso.
Carletto, prima di rispondere, si umetta le grosse labbra.
"Pensavo soltanto a lavorare. Già allora avevo capito che più avrei lavorato, più soldi avrei guadagnato. Andavo avanti per dodici-quattordici ore al giorno, senza mai un attimo di respiro. E di riposo".
"Volevi diventare ricco?" domando.
Carletto fa una smorfia.
"Io ai ricchi ci piscio sopra" dice.
"Allora?"
"Allora niente. Prima avessi messo da parte tanti soldi, prima avrei potuto smettere di lavorare. E così ho fatto, come ben sai".
Lo guardo. E un po' lo invidio, perché sembra davvero contento della sua attuale non-vita.
"Sai che ti dico?" riprende dopo un lungo silenzio. "Goditi i vent'anni, fai tutti i progetti che vuoi, ma sappi che tanto nulla di ciò che immagini si realizzerà. In realtà ti devi concentrare su una cosa soltanto: cerca di essere in pace con te stesso".
Non so che dire.
"Guarda, hai visto che le mie rose stanno sbocciando?"


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