Mi sveglio e il primo
pensiero non può che essere quello.
Vent'anni! Oggi compio
vent'anni!
Per niente assonnato
balzo giù dal letto come una molla che scatta all'improvviso.
Vent'anni! Da oggi in
poi si comincia a vivere sul serio. La vita è nelle mie mani, il mondo intero è
ai miei piedi. Vado in bagno, svuoto il canarino, mi rinfresco, passo il rasoio
canticchiando felice.
"Dei diciotto me ne fotto, mentre i venti son
bollenti. A diciotto niente botto, mentre a venti siam contenti".
Mi fiondo in cucina,
devo assolutamente ingurgitare qualcosa.
Vedo mia madre seduta
al tavolo, con lo sguardo perso. È ancora in pigiama, gli occhi cisposi, i
capelli arruffati, il volto esangue. Avrà già fumato almeno dieci sigarette e
bevuto chissà quanti caffè. E pensato che cosa?
"Ciao mamma".
"Oh, ciao. Già
sveglio?"
"Sì. Non devi
dirmi nulla?"
"Non
saprei..."
"Oggi compio
vent'anni!"
"È vero. Tanti
auguri". Tutto lì.
"Senti..."
Mi interrompe.
"Vuoi di nuovo
fare la festa?"
"Eh?"
"Sì, come quella
che abbiamo fatto per i diciotto anni".
"No, vorrei
chiederti qualcosa".
"Che cosa?"
Le sue labbra sono blu.
"Che cosa hai
pensato quando hai compiuto vent'anni?"
Si accende un'altra
sigaretta poi mi guarda. I suoi occhi sono ancora belli.
"Non mi
ricordo" dice.
"Come? Non ti
ricordi? Possibile?"
"Lo sai quanti
anni ho, vero?"
"Certo, ne hai
quaranta".
"E tu ne hai
venti, proprio oggi".
Rifletto un attimo, poi
ci arrivo.
"Ah! Ho
capito". Distolgo lo sguardo, imbarazzato. Mi ficco in bocca tre biscotti,
sorseggio un succo di frutta e poi mi alzo.
"Dove vai?"
"A fare due
passi".
Esco. Imbocco la
stradina che conduce al paese. Poco prima di arrivare in piazza c'è
l'abitazione di Carletto. Lui, come sempre, è seduto davanti casa su una panca.
Carletto ha poco più di
quarant'anni e non lavora. Anzi, non lavora più. Lo ha fatto per molti anni ma
da qualche tempo ha smesso. Non è in pensione, d'altra parte è troppo giovane
per esserlo, ma vive di rendita. Una rendita che non deve essere granché, dal
momento che Carletto ha persino venduto la macchina, ma che tuttavia sembra
essergli sufficiente per sopravvivere. Per spostarsi usa una vecchia bicicletta
che era di suo padre, non frequenta bar o ristoranti o cinema, non compra
giornali, non è mai andato in vacanza e non frequenta nessuno. Ogni tanto si
alza dalla sua panchetta, va a comprare il pane e quel poco che gli serve,
oppure si prende cura di alcuni cespugli di rose che crescono nel suo piccolo
cortile e che sua madre aveva piantato. Nient'altro. In paese si mormora: Carletto,
ormai, ha fama di sfaccendato. Lui se la ride. Eppure una volta non era così.
Quand'ero bamboccio mi ricordo che andava sempre di fretta, era sempre
affannato. Carletto era proprietario di un'officina di autoriparazioni molto
ben avviata. Aveva diversi meccanici alle sue dipendenze. Me lo ricordo eccome
quando tornava a casa per il pranzo, frettoloso e agitato. Allora era magro
come un chiodo e non svestiva mai la tuta blu sempre sporca di grasso. Adesso
si è appesantito ma il suo viso tondo ha la pelle liscia e levigata come quella
di un bambino, non c'è la minima traccia di rughe sul quel volto pacioso.
"Ciao Carletto"
lo saluto.
"Ohi!"
Lentamente si alza, mi si
avvicina restando aggrappato alla rete di metallo che circonda la sua casetta,
la stessa dei genitori e dei nonni.
"Tutto bene?"
dico.
Lui si guarda attorno.
"Tutto
tranquillo" risponde sorridendo.
"Lo sai che oggi
compio vent'anni?"
"Bravo" dice,
poi annuisce più volte.
"Carletto, ti
posso chiedere una cosa?"
"Pronti, ho tutto
il tempo del mondo".
"Quando tu hai
compiuto vent'anni, che cosa pensavi?"
Lui mi guarda, non ha
capito ciò che intendevo.
"Voglio dire,
quali erano le tue aspirazioni, i tuoi progetti di vita?" preciso.
Carletto, prima di
rispondere, si umetta le grosse labbra.
"Pensavo soltanto
a lavorare. Già allora avevo capito che più avrei lavorato, più soldi avrei
guadagnato. Andavo avanti per dodici-quattordici ore al giorno, senza mai un
attimo di respiro. E di riposo".
"Volevi diventare
ricco?" domando.
Carletto fa una
smorfia.
"Io ai ricchi ci
piscio sopra" dice.
"Allora?"
"Allora niente. Prima
avessi messo da parte tanti soldi, prima avrei potuto smettere di lavorare. E
così ho fatto, come ben sai".
Lo guardo. E un po' lo
invidio, perché sembra davvero contento della sua attuale non-vita.
"Sai che ti
dico?" riprende dopo un lungo silenzio. "Goditi i vent'anni, fai
tutti i progetti che vuoi, ma sappi che tanto nulla di ciò che immagini si
realizzerà. In realtà ti devi concentrare su una cosa soltanto: cerca di essere
in pace con te stesso".
Non so che dire.
"Guarda, hai visto
che le mie rose stanno sbocciando?"
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