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domenica 9 giugno 2013

MARTIRI DI REGGIO EMILIA


Intorno a me, una distesa fredda e desolata. Non so dove mi trovo, e non riconosco il suolo che sto calpestando. Sono circondato dalla nebbia, una coltre scura e spessa, caliginosa. Avanzo tentoni, quasi alla cieca. Cerco, invano, di penetrare con lo sguardo quella bruma ostile ma, da ogni parte, intravedo soltanto il nulla.
Proprio mentre sto per essere soverchiato dal greve senso di angoscia che mi opprime sempre più, di fronte a me si stagliano alcune ombre. Dapprima vaghe e indistinte, poi sempre più nette. Si tratta di persone.
Mi fermo, e loro fanno altrettanto. Sebbene i contorni delle loro figure non siano ancora perfettamente tracciati, scruto con attenzione i lineamenti indistinti dei loro volti, finché non li riconosco. Quando ciò avviene, provo un tuffo al cuore. Non ho alcun dubbio, sono loro, sono i cinque martiri.
C’è Ovidio, con il suo solito disarmante sorriso. Accanto a lui, con l’espressione corrucciata, scorgo Lauro. Più discosti distinguo Afro ed Emilio, seri e impettiti e, dietro di loro, nell’abituale atteggiamento umile, Marino.
Le loro fisionomie sono rimaste inalterate, il tempo sembra non essere trascorso. Adesso non ho più paura, l’ansia mi ha abbandonato per lasciare posto a un sentimento di benevolenza. E di compassione.
“Siete voi! Siete usciti?” esclamo, profondamente toccato.
“Sì, siamo venuti fuori” dice Ovidio, con voce sommessa.
Poi si avvicina a me. Mi appoggia le dita sull’avambraccio. Sono gelide.
“Mia madre, dimmi di mia madre” chiede, accorato.
“Tua madre non c’è più” rispondo.
Lui scuote la testa, sconsolato.
“Il tempo per noi non esiste” dice Afro, con mestizia. “E Anita?” aggiunge all’improvviso Ovidio.
“Ti ha pianto a lungo, subito non riusciva a trovare consolazione. Poi, per forza di cose, ha proseguito la sua vita.”
Ovidio annuisce, pensieroso, quindi si allontana.
“È servito a qualcosa?” domanda Emilio. “Il nostro sacrificio, intendo” precisa.
“Sì, è servito.”
“Dopo però ce ne sono stati altri, vero?” chiede Lauro, cupo.
“È vero, dopo ce ne sono stati tanti altri. E tutti inseguivano lo stesso vostro ideale, la libertà. Nulla, però, è stato vano.”
Tutti tacciono. So bene che cosa vorrebbero domandarmi. Li abbraccio con lo sguardo.
“I vostri familiari, genitori, mogli e figli, non hanno mai smesso di invocare giustizia. Si sono battuti per anni come leoni.”
“Come i leoni di San Prospero?” domanda, timido, Marino.
“Sì, proprio come loro. E sono riusciti a mantenere viva la memoria, il ricordo del vostro sacrificio.”
A Marino, per chissà quale motivo, sono sempre piaciute quelle sculture di pietra rossa. Ciò suscita in me un’ondata di tenerezza.
“Voi non vi conoscevate, vero? Prima, voglio dire” domando.
Fanno segno di no. Soltanto Marino guarda in direzione di Lauro.
“Ho conosciuto lui” dice. “Ma in quel momento era già morto.”
“E tu?” mi chiede all’improvviso Emilio, fissandomi negli occhi. “Tu c’eri?”
“No” dico. “Sono venuto al mondo subito dopo.”
Lui acconsente.
“Perché lo fai, allora?” mi interroga ancora.
“Non lo so. Credo sia mio dovere farlo. Non si può dimenticare.”
“No, non si dovrebbe, anche se a volte purtroppo accade.”
“Adesso è ora di andare” dice Afro. “Siamo stanchi, dobbiamo tornare da dove siamo venuti, anche se quel luogo è buio, freddo e triste. ”
Gli altri, arrendevoli, approvano le sue parole.
“Prima di lasciarti, lo possiamo fare?” chiede Marino.
“Che cosa?” rispondo, colto alla sprovvista. Poi comprendo.
“Certamente” dico.
I cinque martiri si dispongono l’uno accanto all’altro. Mi accorgo che le loro figure stanno cominciando a sbiadire. Abbasso lo sguardo e faccio appena in tempo a scorgere, ai piedi di Lauro, un paio di ciabatte, le stesse che portava quel tragico giorno.
Subito dopo, mentre loro, poco per volta, stanno ridiventando ombre, sento un canto. Dapprima soltanto un lieve sussurrare, che poi diventa sempre più forte e chiaro. Quelle voci però sono profonde, cupe, come se provenissero da un altro mondo.

Avanti o popolo, alla riscossa
bandiera rossa, bandiera rossa
Avanti o popolo, alla riscossa
bandiera rossa, bandiera…

Qualcosa si spezza dentro di me e non riesco più a trattenere le lacrime. E quasi non mi rendo conto che la nebbia sta diventando sempre più fitta.

Infine non scorgo più nulla, e mi ritrovo di nuovo solo. 

(tratto dal mio romanzo "Sangue del nostro sangue" - prologo)

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