Intorno a me, una
distesa fredda e desolata. Non so dove mi trovo, e non riconosco il suolo che
sto calpestando. Sono circondato dalla nebbia, una coltre scura e spessa,
caliginosa. Avanzo tentoni, quasi alla cieca. Cerco, invano, di penetrare con
lo sguardo quella bruma ostile ma, da ogni parte, intravedo soltanto il nulla.
Proprio mentre sto per
essere soverchiato dal greve senso di angoscia che mi opprime sempre più, di
fronte a me si stagliano alcune ombre. Dapprima vaghe e indistinte, poi sempre
più nette. Si tratta di persone.
Mi fermo, e loro fanno
altrettanto. Sebbene i contorni delle loro figure non siano ancora
perfettamente tracciati, scruto con attenzione i lineamenti indistinti dei loro
volti, finché non li riconosco. Quando ciò avviene, provo un tuffo al cuore.
Non ho alcun dubbio, sono loro, sono i cinque martiri.
C’è Ovidio, con il suo
solito disarmante sorriso. Accanto a lui, con l’espressione corrucciata, scorgo
Lauro. Più discosti distinguo Afro ed Emilio, seri e impettiti e, dietro di
loro, nell’abituale atteggiamento umile, Marino.
Le loro fisionomie sono
rimaste inalterate, il tempo sembra non essere trascorso. Adesso non ho più
paura, l’ansia mi ha abbandonato per lasciare posto a un sentimento di
benevolenza. E di compassione.
“Siete voi! Siete usciti?”
esclamo, profondamente toccato.
“Sì, siamo venuti
fuori” dice Ovidio, con voce sommessa.
Poi si avvicina a me.
Mi appoggia le dita sull’avambraccio. Sono gelide.
“Mia madre, dimmi di
mia madre” chiede, accorato.
“Tua madre non c’è più”
rispondo.
Lui scuote la testa,
sconsolato.
“Il tempo per noi non
esiste” dice Afro, con mestizia. “E Anita?” aggiunge all’improvviso Ovidio.
“Ti ha pianto a lungo,
subito non riusciva a trovare consolazione. Poi, per forza di cose, ha
proseguito la sua vita.”
Ovidio annuisce,
pensieroso, quindi si allontana.
“È servito a qualcosa?”
domanda Emilio. “Il nostro sacrificio, intendo” precisa.
“Sì, è servito.”
“Dopo però ce ne sono
stati altri, vero?” chiede Lauro, cupo.
“È vero, dopo ce ne
sono stati tanti altri. E tutti inseguivano lo stesso vostro ideale, la
libertà. Nulla, però, è stato vano.”
Tutti tacciono. So bene
che cosa vorrebbero domandarmi. Li abbraccio con lo sguardo.
“I vostri familiari,
genitori, mogli e figli, non hanno mai smesso di invocare giustizia. Si sono
battuti per anni come leoni.”
“Come i leoni di San
Prospero?” domanda, timido, Marino.
“Sì, proprio come loro.
E sono riusciti a mantenere viva la memoria, il ricordo del vostro sacrificio.”
A Marino, per chissà
quale motivo, sono sempre piaciute quelle sculture di pietra rossa. Ciò suscita
in me un’ondata di tenerezza.
“Voi non vi conoscevate,
vero? Prima, voglio dire” domando.
Fanno segno di no.
Soltanto Marino guarda in direzione di Lauro.
“Ho conosciuto lui”
dice. “Ma in quel momento era già morto.”
“E tu?” mi chiede all’improvviso
Emilio, fissandomi negli occhi. “Tu c’eri?”
“No” dico. “Sono venuto
al mondo subito dopo.”
Lui acconsente.
“Perché lo fai,
allora?” mi interroga ancora.
“Non lo so. Credo sia
mio dovere farlo. Non si può dimenticare.”
“No, non si dovrebbe,
anche se a volte purtroppo accade.”
“Adesso è ora di
andare” dice Afro. “Siamo stanchi, dobbiamo tornare da dove siamo venuti, anche
se quel luogo è buio, freddo e triste. ”
Gli altri, arrendevoli,
approvano le sue parole.
“Prima di lasciarti, lo
possiamo fare?” chiede Marino.
“Che cosa?” rispondo,
colto alla sprovvista. Poi comprendo.
“Certamente” dico.
I cinque martiri si
dispongono l’uno accanto all’altro. Mi accorgo che le loro figure stanno
cominciando a sbiadire. Abbasso lo sguardo e faccio appena in tempo a scorgere,
ai piedi di Lauro, un paio di ciabatte, le stesse che portava quel tragico giorno.
Subito dopo, mentre
loro, poco per volta, stanno ridiventando ombre, sento un canto. Dapprima soltanto
un lieve sussurrare, che poi diventa sempre più forte e chiaro. Quelle voci
però sono profonde, cupe, come se provenissero da un altro mondo.
Avanti o popolo, alla riscossa
bandiera rossa, bandiera rossa
Avanti o popolo, alla riscossa
bandiera rossa, bandiera…
Qualcosa si spezza
dentro di me e non riesco più a trattenere le lacrime. E quasi non mi rendo
conto che la nebbia sta diventando sempre più fitta.
Infine non scorgo più
nulla, e mi ritrovo di nuovo solo.
(tratto dal mio romanzo "Sangue del nostro sangue" - prologo)
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