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domenica 10 febbraio 2013

LA SANZIONE



Stava con il naso incollato al vetro della grande finestra, al trentaduesimo piano dell’imponente e lussuoso palazzo. La spessa cappa di smog si diradò per un attimo e lui riuscì a scorgere, in basso, l’ampio viale brulicante di automobili e di persone, queste ultime affaccendate e frenetiche come tante formiche. Nell’ufficio non penetrava alcun rumore, neppure smorzato, e l’atmosfera era di quiete assoluta.
L’uomo si sedette alla sontuosa scrivania, ne osservò compiaciuto il piano del tutto sgombro di carte. Sospirò, poi accese un sigaro. Ne aspirò soddisfatto alcune boccate e inondò l’ambiente di fumo. Proprio in quel momento squillò l’interfono. Premette un tasto.
“Sì? Dimmi Melody…”
“Ingegnere, ma io mi chiamo Franca…”
“Preferisco chiamarti Melody. Allora?”
“Come vuole lei, ingegnere. C’è il dottor Boschi, vorrebbe parlare con lei.”
“Riccardo? Il mio amico Riccardo? E c’è bisogno di farsi annunciare? Accompagnalo subito da me!”
“D’accordo, ingegnere.”
Dopo qualche istante il dottor Boschi, scortato da una vistosa ragazza, fece il suo ingresso nell’ufficio dell’ingegner Rusconi. Il nuovo venuto, un ometto stempiato infagottato in un abito grigio, appariva un po’ timoroso. Si guardò intorno, circospetto, poi si accomodò su una comoda poltrona, tenendo le mani raccolte in grembo. Era il responsabile della contabilità di tutte le aziende dell’ingegnere ma, al cospetto del potente principale, si sentiva sempre come uno scolaretto al suo primo giorno di scuola.
Rusconi lo squadrò a lungo, poi annuì.
“Un sigaro?” domandò.
“No, grazie. Sai che non fumo…”
“Davvero? Me n’ero scordato. Qualcosa da bere? Melody, vai a preparare due caffè!”
“Certo ingegnere. Però il mio nome…”
“Ancora? Abbiamo già affrontato la questione, no? Sbrigati!”
La ragazza chinò il capo e uscì, ancheggiando suo malgrado.
“Bella ragazza” disse il dottor Boschi, per rompere il ghiaccio. “E deve essere pure brava” aggiunse.
Rusconi scoppiò a ridere.
“Brava? Non sa fare nulla!”
“Ma allora…”
“L’ho assunta perché è ornamentale.”
“Ah!”
Poi l’ingegnere assunse un’espressione seria.
“Novità?” domandò in modo brusco.
Boschi, prima di rispondere, inghiottì un po’ di saliva.
“C’è stata l’ispezione degli uomini del fisco.”
“Bene. Com’è andata?”
“Hanno scoperto quella parte di contabilità in nero. Solo quella, ovviamente.”
“Ottimo, proprio ciò che volevo.”
Il dottor Boschi approvò senza capire.
“Se non fossimo stati avvertiti sarebbe stato un vero guaio” disse.
“Prima o dopo doveva capitare. Adesso per un po’ ci lasceranno in pace.”
“Posso fare una domanda un po’ delicata?”
“Riccardo! Non lo devi neppure chiedere. Tra di noi non ci sono segreti!”
“Non era facile scoprire quelle operazioni illegali, e loro sapevano esattamente che cosa cercare. Chi è stato a fornire quei particolari?”
L’ingegner Rusconi ammiccò, sornione. Poi soffiò una enorme nube di fumo puzzolente in direzione del contabile, che non riuscì a trattenere un accesso di tosse.
“Semplice! Lo stesso che li ha mandati, vale a dire io!”
“Tu?”
“Certo! Non potevamo continuare ad apparire sempre virtuosi. Ciò, alla lunga, avrebbe alimentato troppi sospetti. In una azienda come la mia è normale che ci possa essere qualche irregolarità. Ci dimostreremo pentiti di fronte alle istituzioni, onoreremo il nostro debito, e tutto il resto potrà continuare come prima. Era questo, in realtà, il vero obiettivo.”
“Già, hai ragione. Tuttavia ci sarà una sanzione da pagare.”
“Naturale. E lo faremo, da buoni cittadini. Chi sbaglia paga, no?”
“Abbiamo ricevuto una convocazione dall’Ufficio Centrale del Fisco per discutere la faccenda e definirla. Che faccio? Dico all’avvocato Sbrogli che se ne occupi lui?”
“No!”
“No?”
“Ci andrò di persona, in quel cazzo di Ufficio…”
“Tu? Stai parlando sul serio?” domandò Boschi, piuttosto meravigliato.
L’ingegnere, prima di rispondere, spense il sigaro.
“Certamente, mio caro Riccardo. Sai, a volte mi annoio terribilmente, perché non ho mai nulla da fare. Guarda la mia scrivania, è del tutto vuota! Da anni ormai…”
Proprio allora la segretaria portò i caffè. Il contabile osservò con vivo interesse il posteriore della ragazza, fasciato in un abito aderente.
“Posa qui, Melody” disse brusco Rusconi. “E poi sgomma in fretta che ci stai disturbando. Sciò!”
“Subito, ingegnere…” disse lei, umiliata.
“Ah! Melody! Chiama Aurelio e digli di venire a prendermi tra mezz’ora. Questo lo sai fare, vero?”
La ragazza, sempre più mortificata, annuì e uscì.
“Perché la tratti così male?” chiese il dottor Boschi al suo principale.
L’altro sbuffò, infastidito.
“Ha parlato il paladino delle povere fanciulle indifese! Riccardo, se ti piace così tanto questo modello di donna, perché non te ne compri una? Con tutti i soldi che ti becchi! Taccagno! Vergogna!”
Il viso di Boschi diventò color porpora. L’uomo si rannicchiò nell’enorme poltrona, spaventato.
“Forse è il caso che io vada…” sussurrò.
“Eh? Come dici? Guarda che sono io che ti congedo.”
“Certo, certo…”
Boschi si alzò e, quasi strisciando, raggiunse l’uscita. Rusconi scosse il capo, sconsolato. La maggior parte dei suoi dipendenti erano dei veri buoni a nulla, uomini senza spina dorsale, considerò.
Dopo meno di mezz’ora l’ingegnere stava con il naso incollato al finestrino della lussuosa berlina blindata. Aurelio, il suo autista, cercava di farsi largo in mezzo a un traffico infernale di mezzi, di pedoni e di ombre. Il mantello di smog si era abbassato ed era molto fitto. Anche se era ancora giorno, la vettura procedeva con tutti i fari accesi, nel faticoso tentativo di aprirsi una strada di luce attraverso quell’ambiente da incubo, al quale tutti sembravano comunque assuefatti.
L’ingegner Rusconi azionò l’interfono dell’automobile.
“Aurelio, è così tutti i giorni? In queste strade, dico…” domandò all’autista.
“Uh? Da quanto tempo non esce dal suo quartiere, ingegnere?”
“Non lo so, non ricordo più. Lo sai, quando occorre mi sposto con l’aereo, o con l’elicottero.”
“Già.”
La macchina procedeva lentamente. Rusconi si sforzava di mettere a fuoco quelle figure che, all’improvviso, apparivano di fronte a lui per poi scomparire inghiottite dalla nebbia spessa e lurida.
“Ehi! Che ci fanno tutte quelle persone sedute sui marciapiedi?”
“È gente senza lavoro che chiede l’elemosina, credo.”
“Dici? A me sembrano tanti sfaccendati. Possibile che non riescano a trovare un’occupazione? Ti pare dignitoso per un essere umano trascorrere la giornata in strada?”
L’autista diede un’occhiata nello specchietto retrovisore. Intendeva capire se il suo principale stesse celiando oppure parlando seriamente. Decise per la seconda ipotesi.
“Pare che lavoro per tutti non ci sia…” rispose infine.
“Eppure le mie aziende stanno continuando ad assumere…” obiettò l’ingegnere.
“Già, le vostre…”
“In ogni caso si tratta di uno spettacolo indecoroso! Quella gente non potrebbe almeno starsene a casa?” sbottò Rusconi.
“Non credo abbiano una casa” disse l’autista.
“Com’è possibile non avere una casa? Tutti hanno una casa!”
“Forse non proprio tutti…”
L’ingegner Rusconi, con stizza, spense l’interfono.
Dopo pochi minuti la vettura si arrestò di fronte all’ingresso principale dell’Ufficio Centrale del Fisco, un palazzo grigio e fatiscente. In paziente coda, in prossimità di un ingresso laterale, c’era una moltitudine di persone. L’ingegner Rusconi rivolse loro uno sguardo distratto, poi entrò nel portone dove trovò ad attenderlo un impiegato dell’amministrazione del fisco.
“Di qua, ingegnere” disse l’uomo. “Dov’è la vostra scorta?” aggiunse.
Rusconi si bloccò.
“Non ho bisogno di nessuna scorta” disse. “Che cosa dovrei temere?”
“All’interno del palazzo… nulla. Mi scusi, ingegnere. Prego, venga con me.”
“Chi è quella gente in fila? Fuori, dico…” domandò Rusconi.
“Quelli? Si tratta di contribuenti comuni che devono regolare pendenze con il fisco” rispose il solerte impiegato.
“Ma li ha visti? Sono vestiti di stracci!”
L’altro non rispose, si limitò a stringersi nelle spalle. Poi guidò l’ingegnere attraverso una selva di corridoi. Ovunque c’era umidità e odore di muffa. Alla fine i due giunsero di fronte alla porta di un ufficio, priva di maniglia e con il vetro incrinato.
“Prego, il direttore la sta aspettando…” disse l’impiegato, prima di socchiudere l’uscio e introdurre il visitatore.
L’interno dell’ufficio era freddo e buio. Seduto dietro a una minuscola scrivania c’era un uomo intento a esaminare un fascio di carte sotto la luce gialla di una vecchia lampada da tavolo. Indossava un pesante giaccone sgualcito in più punti. Sollevò lo sguardo verso l’ingegner Rusconi.
“Si accomodi” disse in tono stanco e piatto.
Rusconi emise un lieve grugnito di disapprovazione prima di sedersi su una scricchiolante sedia di legno posta di fronte alla scrivania.
“Buongiorno, ingegnere. Non mi aspettavo venisse proprio lei…”
“È un problema?” disse Rusconi, aggressivo.
“No, assolutamente. Il fatto è che - come può ben vedere - le nostre stanze non sono molto accoglienti. Sarebbe stato nostro desiderio riceverla in un ambiente più…”
“Non perdiamo tempo!” lo interruppe Rusconi. “Mi rendo conto di quanto questo posto sia schifoso. Mi chiedo come possiate fare il vostro lavoro in tali condizioni!”
Il direttore approvò.
“Lo Stato è sempre più povero, tuttavia noi cerchiamo di compiere ugualmente il nostro dovere con i pochi mezzi a nostra disposizione.”  
L’ingegner Rusconi scosse il capo, incredulo.
“Ma è pazzesco! La nostra nazione è tra le più ricche al mondo!” sbraitò.
“È vero” approvò l’altro. “Nel nostro territorio è concentrata una notevole fetta di ricchezza planetaria.”
“Quindi?” lo incalzò Rusconi.
“Lasciamo stare, ingegnere. Piuttosto, pensiamo a noi. Stavo appunto esaminando la questione delle sue aziende…”
“Allora? È possibile concordare subito la sanzione?”
Il direttore lo guardò, poi fece una smorfia.
“Non è prevista alcuna sanzione” disse.
Rusconi sorrise.
“Vuol dire che ci perdonate?” chiese, divertito.
“Non proprio. In casi del genere le nuove norme appena approvate non prevedono più pene pecuniarie.”
“Quali nuove norme?” domandò l’ingegnere.
“Mi scusi, ma non ha parlato con il suo avvocato prima di farci visita?” indagò il direttore, guardingo.
“Al diavolo l’avvocato! Sono in grado di occuparmi personalmente di qualsiasi questione che riguardi le mie aziende senza dover ricorrere a quei succhiasangue! Sono o non sono il più grande imprenditore di questo Paese?”
“Non lo metto in dubbio. In ogni caso dovremo applicare la nuova legge, nella sua universalità.”
“Eh?”
“Intendevo dire che la legge è uguale per tutti” precisò il direttore.
“Ah! Certamente. Vede, negli ultimi tempi non ho seguito molto le varie vicende politiche. Ovviamente ho saputo della vittoria di quello strano partito progressista alle ultime elezioni, ma ormai gli affari pubblici non mi appassionano più…”
“Capisco la sua posizione, tuttavia finché la politica eserciterà un’influenza nella vita di tutti noi ne dovremo tenere conto.”
“Sono d’accordo, mi piace essere considerato un cittadino consapevole e responsabile” disse Rusconi, che non riusciva più a celare una certa impazienza. Spesso sbirciava il lussuoso orologio d’oro che portava al polso.
Il direttore fu scosso da un brivido di freddo. Annuì, poi riprese le carte tra le mani. Le esaminò per qualche istante, quindi sollevò lo sguardo verso il suo inquieto interlocutore.
“Non le voglio far perdere ulteriore tempo, ingegnere. In caso di lievi violazioni del codice tributario, e mi riferisco a quanto rilevato dagli ispettori nelle sue aziende, è prevista una punizione alternativa.”
“Venga al sodo, direttore!”
“D’accordo. Lei, in qualità di presidente della holding che porta il suo nome, dovrà ospitare per un anno dieci senzatetto e provvedere a tutte le loro necessità. La legge tra l’altro prevede che gli ospiti soggiornino nell’abitazione del sanzionato o in locali immediatamente attigui. Quest’ultimo rappresenta l’aspetto… rieducativo della norma. Almeno, così ha lasciato intendere il legislatore.”
“Sta scherzando?” domandò l’ingegner Rusconi, il cui viso era diventato paonazzo.
“Assolutamente no.”
“Mi ritroverò un branco di puzzolenti straccioni per casa per un intero anno?” strepitò Rusconi.
“Mi perdoni, ingegnere. Credo che lei disponga di stanze da bagno e che sia in grado di fornire abiti dignitosi ai suoi futuri ospiti…”
“E se decidessi di non accettare questa… sanzione?” chiese Rusconi.
Il direttore scosse il capo.
“L’alternativa è il carcere. Un anno di reclusione, senza la concessione di alcuna attenuante.”
Rusconi, nonostante il freddo, stava sudando.
“Qual è lo scopo di tutto ciò?” domandò, soprattutto a se stesso. “Perché tormentare in questo modo la parte sana del Paese, l’unica produttiva, la sola che può garantire prosperità alla nazione?”
“E lo chiede a me?” disse il direttore. Si accorse di avere le mani ghiacciate.


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