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domenica 3 febbraio 2013

DI FRONTE AL MURO



Proprio di fronte a me, appesa al muro, c’è una stampa che raffigura un dipinto di Degas: la classe di danza. Per scorgerla mi è sufficiente alzare di poco il capo. Un movimento minimo, quasi impercettibile, mi permette di assistere a quella scena, a mio avviso così ricca di fascino. Vedo le giovani allieve, con i loro abiti vaporosi, i nastri tra i capelli, assistere attente alle spiegazioni dell’anziano maestro.
Abbasso gli occhi e guardo il muro. Lo scruto a lungo, concentrato, e ne percepisco il vuoto. Assaporo l’assenza di elementi in quella parete chiara. Per un attimo me ne compiaccio. Prima di smarrirmi del tutto volto la testa ed esamino i tasti. Sì, i tasti. Quello rotondo, solitario e un po’ buffo della cuffia; quelli minuscoli e di tutte le forme del telecomando, che sembrano poco adatti a dita umane, e quelli disseminati, quasi in maniera casuale, sull’impianto stereo.
Sotto ancora c’è una gran confusione. I tanti CD sono in disordine, appaiati affiancati sovrapposti impilati, con un pesante libro di storia che suggella uno dei vari cumuli. E poi alcuni quaderni, con qualche pagina strappata, pieni zeppi di disordinate annotazioni, di appunti vergati dalla stessa persona con scritture diverse, tante quante sono state le emozioni che ne hanno accompagnato la mano, che hanno guidato l’incolpevole penna lungo il suo percorso. Un ombrello, ovviamente chiuso. Un’agenda dalla brutta copertina verde, chissà perché unico oggetto impolverato, non considerato e abbandonato. Sulla sinistra, sul piano del tavolo, c’è un portamatite a sezione quadra color rosso vivo, semivuoto. Sulla sua faccia anteriore è raffigurato un gatto rosso, tra le sue zampe c’è una ciotola blu, colma di latte. Il gatto è felice.
Ad occupare quasi tutto lo spazio dello scrittoio, che non è molto ampio, c’è il computer. Di lui non c’è nulla da dire. Il mouse, invece, compie le sue evoluzioni su un singolare tappetino. Si tratta della custodia di cartone di un CD, un disco di Springsteen. Il volto del povero Bruce è tutto graffiato dai ripetuti passaggi dello strumento, che lo ha trasformato in un reticolo di rughe chiare.
Infine ci sono io.  

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