Proprio di fronte a me,
appesa al muro, c’è una stampa che raffigura un dipinto di Degas: la classe di danza. Per scorgerla mi è
sufficiente alzare di poco il capo. Un movimento minimo, quasi impercettibile,
mi permette di assistere a quella scena, a mio avviso così ricca di fascino. Vedo le giovani allieve, con i loro abiti vaporosi, i nastri tra i capelli,
assistere attente alle spiegazioni dell’anziano maestro.
Abbasso gli occhi e
guardo il muro. Lo scruto a lungo, concentrato, e ne percepisco il vuoto. Assaporo
l’assenza di elementi in quella parete chiara. Per un attimo me ne compiaccio. Prima
di smarrirmi del tutto volto la testa ed esamino i tasti. Sì, i tasti. Quello
rotondo, solitario e un po’ buffo della cuffia; quelli minuscoli e di tutte le
forme del telecomando, che sembrano poco adatti a dita umane, e quelli
disseminati, quasi in maniera casuale, sull’impianto stereo.
Sotto ancora c’è una
gran confusione. I tanti CD
sono in
disordine, appaiati affiancati sovrapposti impilati, con un pesante libro di
storia che suggella uno dei vari cumuli. E poi alcuni quaderni, con qualche
pagina strappata, pieni zeppi di disordinate annotazioni, di appunti vergati
dalla stessa persona con scritture diverse, tante quante sono state le emozioni
che ne hanno accompagnato la mano, che hanno guidato l’incolpevole penna lungo
il suo percorso. Un ombrello, ovviamente chiuso. Un’agenda dalla brutta
copertina verde, chissà perché unico oggetto impolverato, non considerato e
abbandonato. Sulla sinistra, sul piano del tavolo, c’è un portamatite a sezione
quadra color rosso vivo, semivuoto. Sulla sua faccia anteriore è raffigurato un
gatto rosso, tra le sue zampe c’è una ciotola blu, colma di latte. Il gatto è
felice.
Ad occupare quasi tutto
lo spazio dello scrittoio, che non è molto ampio, c’è il computer. Di lui non c’è
nulla da dire. Il mouse, invece, compie le sue evoluzioni su un singolare
tappetino. Si tratta della custodia di cartone di un CD, un disco di Springsteen. Il volto del povero Bruce
è tutto graffiato dai ripetuti passaggi dello strumento, che lo ha trasformato
in un reticolo di rughe chiare.
Infine ci sono io.
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