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domenica 4 settembre 2011

HIGHLANDER



Lo studio medico era in penombra. Lo psichiatra, il dottor Menti, era seduto di fonte al suo paziente. Studiò a lungo l’uomo, ancora giovane, che il giorno prima l’aveva chiamato per chiedere il suo aiuto. Si accarezzò la barba grigia, tamburellò in modo insistito con una penna sul piano della scrivania e alla fine si decise a parlare.
“Mi spieghi meglio il suo problema.”
“Sono immortale” rispose l’uomo, diretto, senza alcun preambolo.
L’esperto medico non si scompose e riuscì a nascondere bene il proprio turbamento.
“Ciò le procura disagio?” domandò.
“Lei che ne pensa?” rispose il paziente, ironico.
Il dottor Menti annuì.
“Capisco” disse.
L’uomo abbassò lo sguardo e assunse un atteggiamento stanco e rassegnato. Il suo aspetto, come detto, era giovanile, tuttavia la sua età era indefinibile. Il viso era bello, dai tratti regolari, e in quell’ovale spiccavano i penetranti occhi azzurri. I suoi capelli, biondi, erano lunghi e scomposti.
“Prova noia?” riprese lo psichiatra.
“No, non particolarmente. In fondo, ci si abitua a vivere, anche se si tratta di un’esistenza infinita.”
“A quando risalgono i suoi ricordi più lontani?”
“Questo è uno dei miei problemi. Vede, io esisto da sempre, ma sto perdendo la memoria. Rammento, sebbene in maniera distorta, ciò che ho fatto negli ultimi cinque secoli, ma non riesco ad andare oltre.”
“Non deve preoccuparsi di questo, ritengo sia una cosa normale. I suoi ricordi sono rapportati all’intero periodo della sua esistenza, e i naturali limiti della mente umana comportano che essi non possano estendersi per un lasso di tempo superiore. Anch’io non ricordo tutto ciò che ho fatto nella mia – a quel punto il medico ebbe un’esitazione – pur breve vita.”
Il dottor Menti aveva appena compiuto settantacinque anni.
“Non mi considero umano” disse il paziente.
“Si rassicuri. Lei è un essere umano sotto tutti punti di vista. È semplicemente affetto da una disfunzione, che potremmo definire come un’imprecisione di programmazione a livello genetico.”
“Incurabile” commentò l’uomo.
“Temo di sì” rispose lo psichiatra.
L’altro scosse il capo, sconsolato.
“A lei piace il calcio?” disse dopo una lunga riflessione.
“Eh?” domandò il medico, stupito da quella domanda.
L’uomo non gli badò e, con lo sguardo perso nel vuoto, proseguì.
“In questo periodo della mia vita mi sono appassionato a questo sport. So che non potrò coltivare questa mia passione a lungo, perché tra qualche centinaia d’anni – o forse anche prima – questa disciplina sportiva non sarà più praticata. Purtroppo mi è già capitato altre volte, tutto cambia ma io continuo a esistere.” Sospirò.
“Mi faccia capire meglio” disse il medico, interessato. “Che cosa intendeva dire?”
L’uomo rimase un attimo in silenzio, come se volesse raccogliere le idee, poi proseguì.
“Ieri ho assistito a una partita…”
“Anch’io!” lo interruppe lo psichiatra, sorridendo.
“Già, la finale…” continuò l’immortale. “Ebbene, di quella gara non ricordo praticamente nulla. Ripensandoci adesso, per me è come se fosse durata non più di un secondo.”
“Mmm…”
“E lo stesso sarà per questo nostro incontro. Domani si sarà ridotto a un colloquio di non più di mezzo secondo, forse ancora meno, e sarà per me impossibile ricostruirne la sostanza. Comprende, adesso?”
“Si tratta sempre del medesimo effetto distorsivo di cui abbiamo parlato in precedenza. Il ricordo degli eventi che lei vive va a spalmarsi sull’arco dell’intera esistenza trascorsa, e ne risulta ridotto in termini temporali. Temo che lo sarà sempre di più, quindi il suo disturbo è destinato ad aggravarsi.”
“C’è una spiegazione?”
“Vede, non sono un esperto in materia. Credo che nessuno lo sia, in verità. I casi come il suo sono molto rari. Personalmente, è la prima volta che ho a che fare con una questione di immortalità. In letteratura medica poi… be’, non esiste nulla.”
“Non c’è proprio niente da fare?” domandò l’uomo, angosciato.
“Come le ho già detto, temo proprio di no.”
“Allora, quale sarà il mio destino?”
“Il suo corpo vivrà per sempre, la sua mente invece riuscirà a trattenere frammenti sempre più brevi di ricordo. Naturalmente, si tratta di un processo molto lento.”
“Lento, veloce, si rende conto che per un immortale tali enunciati non possiedono alcun significato? Che il concetto di tempo in pratica non esiste?” disse il paziente, accalorandosi.
Lo psichiatra annuì, con aria grave.
“Mi dispiace…” disse soltanto.
L’altro appariva sgomento.
“Prima ha affermato che il mio disturbo è incurabile. Mi ha detto la verità?” ebbe la forza di domandare.
“Non completamente” disse il dottor Menti.
“Dunque esiste una cura?”
“Più che altro si tratta di un rimedio.”
“Si riferisce a quello?”
“Certamente.”
“Potrebbe provvedere lei personalmente? Nel caso decidessi di farlo, intendo.”
Nonostante l’atmosfera cupa e tesa che si era venuta a creare nello studio, il dottor Menti non riuscì a trattenere un lieve sorriso.
“No, mi spiace, dovrà rivolgersi a qualcun altro. Io curo le teste, ma non le taglio” disse, prima di ritornare immediatamente serio.

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